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Grata Aura – di Marcella Nardi

Liberamente ispirato alla storia dei due amanti di Gradara.

PROLOGO

Milano, Anno Domini 1330

Come ogni giorno, rivolgo lo sguardo al tramonto. La sua luce, intensa e calda, è ormai l’unica amica e l’unica dolcezza di una lunga vita che sento volgere al declino.
In nome della Giustizia, troppo a lungo celata, voglio raccontare i veri eventi che sconvolsero Gradara in quel lontano Marzo 1275.
Il mio nome?
Pazientate e leggete la mia storia…

Gradara, metà Febbraio 1275

Tutto ebbe inizio in quel lontano giorno del 1275.
Mentre le notti, implacabilmente fredde, appartenevano ancora all’inverno, durante il giorno si poteva assaggiare la dolcezza di una primavera imminente.
Era febbraio, un mese di cambiamenti, proprio come la mia vicenda.
Come ogni giorno al mio risveglio, avevo aperto le finestre della mia camera per contemplare le raffinate merlature delle mura di cinta. Nelle giornate di sole di qualunque stagione dell’anno, il castello risaltava con il colore ocra dei mattoni sull’azzurro del cielo e il verde delle campagne circostanti.
Amavo Gradara, un bellissimo borgo di cui mio padre era il signore. Ero nata lì quindici anni prima, proprio nel mese di febbraio. La cittadina offre agli occhi un magnifico spettacolo: un piacevole paesaggio collinare, ultima propaggine delle alte montagne che le fanno da sfondo mentre il luccichio del mare è appena accennato in lontananza.
Tuttora, ripensando alla sua bellezza, capisco perché spesso l’amore per un luogo possa spingerci a fare cose che normalmente non faremmo.
Forse capirete, dopo aver letto la mia storia, perché decisi per molto tempo di non infangare ulteriormente il buon nome della mia città. Preferii che il tempo stendesse sul mio borgo il pietoso mantello dell’oblio.
Proprio in quella radiosa mattina d’inverno, vidi il suo bel volto.
Sapevo che avremmo avuto un ospite importante e ne conoscevo la ragione. Mio padre e mia madre lo attendevano nel salone. Ricordo ancora quella scena, come se fosse ieri. Avevano indossato gli abiti migliori e sebbene fosse una bella giornata, per l’occasione tutti i candelabri e i lampadari erano stati accesi. Centinaia di candele proiettavano ovunque la luce delle loro allegre fiammelle. Per far risaltare l’effetto, le tende erano state chiuse, come se fosse pomeriggio inoltrato. La tavola era un vero incanto e i miei genitori sedevano alle due estremità del lungo tavolo.
Ero ansiosa e curiosa al tempo stesso. Il mio futuro stava per compiersi.
Come poter vedere ciò che stava accadendo nel salone senza che mi scoprissero?
Trovai la soluzione.
Mi nascosi in una stanza di una torre del castello. Da lì, dietro una finestra, potevo osservare ciò che ivi accadeva senza esser vista. «Quegli è colui che dee esser mio marito», pensai.
Me ne innamorai subito!
Secondo tradizione, lo avrei conosciuto personalmente solo dopo la stipula degli accordi matrimoniali.

1 Marzo

La festa del fidanzamento fu uno splendore!
Il salone era gremito di ospiti in un bellissimo gioco di colori di stoffe pregiate. Le melodie dei musici facevano da piacevole sottofondo alle conversazioni tra gli invitati. Ero felice e mi muovevo tra gli ospiti come se volassi.
Dopo la festa, il tempo mise le ali!
Per le strade e i vicoli di Gradara non si parlava d’altro. Dai pettegolezzi della mia fantesca, pareva che in ogni bottega i padroni auspicassero a lauti ordinativi per quello che si prospettava il più importante matrimonio degli ultimi anni. Non saprei dire se fosse una mia impressione, ma sembrava che l’intero borgo fosse più bello, come se si preparasse anch’esso alla festa del matrimonio. Nei giorni successivi, passeggiando per le strade, notai una maggior quantità di fiori non solo alle finestre ma anche presso gli ingressi delle botteghe.
Mi divertivo a sceglier le stoffe di Fiandra per il corredo matrimoniale. Ridevo di gusto con le mie dame, intente a ricamare e a spettegolare. Ricordo ancora quando m’introdussero, con piccanti allusioni, ai piaceri della prima notte di nozze.
Fu un bel periodo!
Nulla faceva presagire l’imminente tragedia.
20 Marzo

Con l’incedere della primavera, Gradara risplendeva ancor di più in tutta la sua magnificenza! Le mura di cinta sembravano avvolgerla in un tenero abbraccio. Voci, colori e profumi di fiori ne permeavano le strade. Il sole e fantastiche giornate dai cieli azzurri, facevano il resto.
Le calde giornate primaverili avevano risvegliato nella popolazione il piacere delle passeggiate per le vie del borgo.
Anch’io, con le mie dame, facevo camminate sempre più lunghe. Avevo avuto il permesso di andare al mercato, purché in loro compagnia. Non era consono al mio rango fare spese in pubblico, ma mi divertivo ugualmente a zigzagare per le bancarelle. Il benessere del borgo di Gradara attirava mercanti che esibivano mercanzie rare talora provenienti dal lontano Oriente.
Quel giorno, al desco lui fu accomodato accanto a mio padre ed io di fronte. Chiacchierava allegramente con gli ospiti e i suoi occhi incontravano spesso i miei.
Finito il pranzo, gli mostrai il roseto. Una scusa per stare finalmente soli, lontano dagli altri! Inoltre, giacché mio padre non lo aveva ancora fatto, avrei voluto conoscere maggiori dettagli in merito alle imminenti nozze ma, nonostante i miei propositi, lui rimase stranamente sul vago.
Pur contrariata, lì per lì non diedi peso a quel tono così piatto di una conversazione che, tra futuri sposi, avrei immaginato diversa. Mostrò di conoscere la storia del mio borgo, forse meglio di me. Mi disse che l’aria sempre tersa e luminosa aveva dato nei secoli origine al nome della mia graziosa cittadina. Poi fu la volta della storia delle rose e di come gli antichi romani le avessero rese più belle nei secoli, dopo vari esperimenti con innesti tra famiglie diverse.
Inutile ogni mio tentativo di riportare la conversazione su di noi e sul matrimonio.
Gli ospiti lasciarono presto il castello ed anche lui, a malincuore, si congedò da me. Delusa, andai nella mia stanza a leggere.
Amavo i Classici: la maga Circe, la saggia Penelope, la sfortunata Didone e lo scaltro Ulisse. Avevo avuto una buona educazione. Ancora oggi non capisco come mai alle donne fosse concessa quest’opportunità così raramente. Mio fratello Lorenzo, invece, era stato educato al sol mestiere delle armi. I miei stessi genitori a malapena sapevano apporre le loro firme ai documenti ufficiali.

***
Mi assopii, pensando a quella splendida giornata.
Mi svegliai dopo qualche ora.
«Avranno già cenato, lasciandomi riposare», pensai. Mi guardai attorno e mi chiesi dove fosse Luisa. Andai a cercarla.
La mia fantesca era sparita!

***

Dormivo da diverse ore, quando un rumore mi svegliò di soprassalto.
«Le campane del Mattutino» pensai.
Poi tutto accadde in un istante.
Seduta sul letto, vidi prima un’ombra, quindi riconobbi la figura. Era lui. Percepivo dal suo respiro che qualcosa non andava.
«Messere, cosa Vi turba?» chiesi coprendomi.
«Non potete stare qui, non siamo ancora sposati!»
Un lampo attraversò i suoi occhi.
«Avete ragione, ma le Vostre parole mi confondono. Perché parlate di me come del Vostro promesso? Sapete bene che sposerete mio fratello. Sono qui su sua procura».
Non lo sapevo!
Sgomenta, non riuscii a proferir parola.
Fu lui a continuare, con voce mesta.
«Capisco. Siete all’oscuro di tutto!»
Avrei voluto morire. Conoscevo le voci che circolavano su suo fratello. Di molti anni più vecchio di me, forse anche più di mio padre, la sua fama lo precedeva ovunque tra le famiglie nobili. Era brutto, claudicante e dai modi poco gradevoli.
Un uomo ributtante e scorbutico!
E lui continuò: «Non sarebbe dovuto succedere, ma il mio cuore, come avete già compreso, oramai Vi appartiene. Purtroppo qualcosa di ben più grave sta accadendo tra le mura di questo castello. Ciò mi spinge ora a prendere delle rapide e importanti decisioni. Il mio fido Agilulfo ha colto una conversazione fra Vostro padre e il Suo segretario, Messer Rodolfo. Una donna è stata uccisa nel salone e un’altra nella dispensa. Potremmo esserne accusati noi due. Io ne ignoro persino i nomi».
Col cuore in gola, gli chiesi perché sospettare di entrambi.
«Madamigella, uno dei corpi è di una nobildonna. Inoltre, sono stati ritrovati oggetti che mettono me in relazione con Voi e con lei. È assurdo, ma al momento questo è tutto. Dobbiamo fuggire. Non c’è via di scampo, ma non so ancora come e dove andare. Ho amici fidati a Milano. Forse lì è la nostra salvezza. Agilulfo è già partito con una richiesta di aiuto».
Tutto accadeva così in fretta!
«Siamo persone serie, mio padre ci difenderà strenuamente presso il Podestà» dissi ingenuamente, ma il giovane era troppo spaventato.
«Sotto questa panca c’è una botola. Conduce a valle, oltre le mura del castello. Fuggite Voi. Io rimarrò qui. È la mia casa, mi sento sicura. Andate». Un tarlo, però, si era già insinuato nella mia testa.
Lui mi guardò teneramente. Aprì la botola.
«Tornerò. Lo prometto».
Poi, veloce come il vento… sparì.

***

Fu una notte tormentata da mille incubi. Al risveglio, ancora nessuna notizia dai miei genitori.
Andai da mia madre, senza dirle ciò che sapevo. Era seduta lì, accanto al focolare. Immersa nei suoi pensieri, sussultò al rumore dei miei passi. Con occhi gonfi d’angoscia, mi parlò con un filo di voce: «Cara, che disgrazia! Madonna Beatrice! Brutalmente assassinata nel salone. La tua nuova vita sta per iniziare sotto cattivi auspici. Tuo padre è andato dal Podestà».
«È orribile, madre mia! Avete notizie di Luisa? È scomparsa».
«Non so nulla» ma era poco convincente. Mia madre era sempre stata una donna di buon cuore e totalmente incapace di mentire.
Capii più avanti. Sapeva ma non poteva parlare.
Lui aveva accennato a due cadaveri. E di Luisa nessuna notizia!
Dovevo indagare…

***

«La servitù ha orecchie e lingua lunga» diceva mio padre. Le mie indagini sarebbero iniziate lì.
Dopo pranzo attesi qualche ora e quando fui certa di non esser vista, andai verso la cucina. Arrivata lì, mi fermai davanti alla porta rimasta socchiusa; sentii un brusio di voci sommesse.
Ascoltai. Rimasi impietrita!
«…e poi credimi, Luisa è morta perché ha visto» disse una voce di donna.
«Taci Giselda, o farai la sua stessa fine. Nessuno ci crederebbe. I delitti del Padrone rimarranno impuniti».
Riconobbi la voce del capocuoco Galdino, uomo buono e saggio. E aggiunse: «Sai bene che il Podestà non farà nulla, come in passato. Sa, ma deve tacere. Ricordi quando trovammo l’altro cadavere nelle stalle? Un incidente, dissero. Il Padrone è un mostro, ricordalo!»
Incredibile! Mio padre un mostro? Assurdo solo pensarlo!
Dovevo capire…
Sapevo che se fossi entrata, sebbene figlia del loro signore, non mi avrebbero dato retta. Nel giro di un paio d’ore sarebbe stata servita la cena. Sarei tornata dopo il pasto.
In preda a un terribile sospetto e spaventata, tornai nella mia stanza. Per farmi coraggio aprii le finestre tentando di ascoltare il brusio delle voci per le strade mentre le botteghe concludevano le ultime vendite e le massaie si ritiravano a casa per sfamare mariti e figli.

***

I raggi argentei della luna mi avvertirono che era giunta l’ora di cena.
Al desco sedevamo solo mia madre, mio fratello ed io. Mio padre era ancora dal Podestà.
Finito il pasto, sgattaiolai di nuovo in cucina. Inutile dire lo stupore della servitù. «Madamigella, cosa fate qui?»
«Devo parlare subito con Galdino in privato. Vedo che non è qui. Che qualcuno vada ad avvisarlo» dissi con fermezza. Giselda accennò alla stalla, poi come un fulmine sparì.
Poche e piccole finestre creavano uno strano gioco di ombre. Forse non ero mai stata nella stalla. Mi sentivo a disagio e a stento riuscivo a muovermi, temendo di inciampare. Vedevo a malapena l’interno.
Celato dal buio, l’omone dalla folta barba attendeva nascosto. Avvisato da Giselda, quando si rese conto della mia presenza si fece avanti.
«Madamigella, che disgrazia!»
Avevo poco tempo e giunsi subito al dunque.
«Buon Galdino, stamane vi ho udito in cucina. Devo sapere la verità su mio padre. So che siete un uomo giusto». Il mio tono non ammetteva il silenzio come risposta.
«Temo per la vita del nobile giovane…» si fermò, poi proseguì: «Altre dame sono state uccise al castello. Eravate bambina. Ora pensiamo che Luisa abbia assistito all’omicidio di Madonna Beatrice. È l’unica spiegazione per la sua scomparsa». Le lacrime gli rigavano il volto.
«Galdino, mio padre non può aver commesso tali crimini». Ero incredula.
Imbarazzato, ma scuro in volto al tempo stesso, continuò: «Madamigella, i nostri non sono solo sospetti. Non è la prima volta che, nel cuore della notte, sentiamo voci provenire dai vari saloni. A turno ci aggiriamo nel castello per assicurarci che i focolari nelle stanze siano sempre accesi, estate e inverno. Quella voce maschile è impossibile da confondere! Quattro donne sono state trovate morte in passato. Ogni volta il Podestà ha dato la colpa ad incidenti o alla servitù. Ricordate Vinicio e Orazio? Furono ingiustamente rinchiusi in prigione a vita».
Ancora un’altra pausa. «È naturale per Voi non credermi. Siete la figlia. Ora però le cose sono cambiate. Luisa deve aver assistito all’omicidio e temo abbia pagato con la vita. Vostra madre ne è di certo a conoscenza, ma non può parlare. Era così allegra i primi anni di matrimonio. Poi il suo umore mutò per sempre. Troppi tradimenti… troppe tragedie!» e abbassò gli occhi.
«Ditemi Galdino, per quale motivo il nobile giovane pensiate possa essere in pericolo? Tutto mi sta crollando addosso. Questa tragedia, mia madre che non parla e ho appena scoperto chi sposerò realmente. Ho bisogno di un saggio consiglio».
Dopo quella che a me sembrò un’eternità, Galdino rispose: «Ora Vostro padre non può più accusare la servitù; non sa se Luisa abbia avuto il tempo di confidarsi con noi o con qualcuno che conta di più. So che sta macchinando un tranello a Voi e uno peggiore al nobile giovane. Non chiedetemi come faccia a saperlo, ma Vi giuro sul mio onore che è la verità. Siete entrambi in pericolo. Altro non posso dire».
Poi si girò e, veloce come un fulmine, sparì nelle tenebre.
Le solide pareti della stalla e il buio ci avevano permesso di parlare protetti da orecchie e occhi indiscreti.
Per qualche minuto mi fu difficile fare anche un solo passo per rientrare nella mia stanza. Ciò che avevo ascoltato aveva prodotto lo stesso effetto di un macigno sul cuore.
Infine mi feci forza e lasciai la stalla.

22 Marzo

Un’altra alba era sorta e la sua luce filtrava, timidamente, dalla finestra.
Dinanzi al mio letto, sulla specchiera, aprii il portagioie e vidi un minuscolo rotolino di pergamena. Stupita, lo aprii. Era la scrittura di Luisa. Ebbi un tuffo al cuore.
«Madamigella, devo fuggire. Inutile dirVi il mio dolore. Ho udito Vostro padre mentre confessava l’omicidio di Madonna Beatrice a Messer Rodolfo. Mi hanno scoperto mentre ascoltavo. Sono in pericolo. Addio».
Tutto era chiaro! Braccata durante la fuga, Luisa era stata uccisa.
Mi tornarono in mente le parole di Galdino e mentre cercavo di organizzare i pensieri, un frastuono giunse dalla piazza d’armi. Mi affacciai. Non potevo credere ai miei occhi! Lui, legato a un palo, era alla mercé del capo delle guardie, sotto gli occhi severi di mio padre.
La sua fuga era miseramente fallita…
Mentre osservavo sbigottita la scena, Gilda, la fantesca di mia madre, bussò alla porta accompagnata da Messer Rodolfo.
«Madamigella, dovete subito scendere in cortile».
Appena giunta, fui fulminata dallo sguardo di mio padre. «Lo riconosci?» mi chiese sventolando un fazzoletto di lino con le mie iniziali.
«Certo, Padre mio» risposi a fil di voce. «Dove lo avete trovato? E perché lui è legato come un volgare delinquente?»
«Portatelo via» disse rivolgendosi a un armigero.
«E tu, dopo pranzo presentati al mio cospetto, da sola, nel salone. Abbiamo molto di cui discutere».
Avvertendo un terribile presagio di sventure, tornai, a testa china, nella mia stanza.
Ero triste e indignata.
Che cosa stava succedendo nella mia casa e nella mia famiglia? Avrei voluto ribellarmi, ma non potevo. Ero sua figlia e, per di più, ero una donna!

***

Andai più tardi nel salone.
Mio padre era già lì.
«Sai dove ho trovato questo fazzoletto?». I suoi occhi erano di fuoco. «Sei una sgualdrina!». Poi prese dalla scarsella un delizioso monile, che riconobbi essere di Madonna Beatrice. Un pezzo raro, finemente lavorato dal miglior orafo di Gradara.
«Sei stata disonorata e anche tradita dal tuo bel giovane!»
Ero senza parole.
Come faceva ad avere quel mio fazzoletto che fino a poche ore prima avevo in mano nella mia camera, ancor prima che Gilda venisse a chiamarmi? Avevo fazzoletti con ricami diversi, uno per ogni giorno della settimana.
Ovviamente mio padre non lo sapeva!
Poteva essermi stato sottratto da qualcuno scaltro, con mano veloce, mentre scendevo nella piazza d’armi.
Rodolfo, solo lui…
Mi feci forza e risposi: «Padre, quel fazzoletto era con me fino a poco fa. Come lo avete avuto? E Luisa, so che è stata uccisa. Mia madre finge di esserne all’oscuro. Che cosa sta succedendo?»
«Tu non capisci cosa sta succedendo? Non sei tu a fare le domande qui. Come osi mentirmi rispondendo a tuo padre in questo modo?» Era furente. «E questa spilla?»
«Ma Padre, cosa dovrei capire? Ho solo visto quel giovane legato e ora mi si accusa di non so cosa. Inoltre, mi avete fatto credere che lui sarebbe stato il mio sposo» dissi con le lacrime agli occhi.
Egli continuò eludendo la mia ultima frase: «Il tuo fazzoletto e questa spilla sono stati trovati nel baule di quel giovane. Avete gettato disonore su questa casa. La tua fantesca? Non ti riguarda!»
Iniziavo a capire!
Poco importava ciò che Luisa avesse rivelato. Era morta quindi non avrebbe parlato più.
Poi continuò quel gioco perverso: «Il tuo bel giovane si è macchiato di un feroce delitto e ti ha anche disonorato. Che cosa potrò mai dire a suo fratello che ti voleva in sposa? Sai bene la punizione che or v’attende!»
Lo sapevo…lo sapevo bene!
Con un sol colpo mio padre aveva trovato l’assassino e il sistema per levarsi di torno una figlia ormai scomoda.
Senza dire altro andò via. Un armigero entrò nel salone.
«Venite con me, Madamigella» disse con fare imbarazzato.
Mi avviavo, così, verso il mio destino!

EPILOGO

Milano, Anno Domini 1330

Per ironia della Sorte, il giorno successivo fui rinchiusa proprio in quella stanza da cui avevo visto, per la prima volta, il nobile giovane.
Sicuramente su ordine di mio padre, erano state apportate delle modifiche a quel locale situato nella torre principale del castello. Una massiccia porta di solido legno e due sole finestrelle: una rivolta verso la vallata e una verso la volta del salone. Per impedirmi di esser udita, una finestra fu sigillata. Piccoli fori all’altra mi permettevano di respirare.
Quasi al buio stavo impazzendo!
La vita non aveva più senso per me. Non sapevo nemmeno cosa fosse successo al giovane incatenato.
Una donna che non avevo mai visto si prendeva cura di me. Mi portava tre pasti al giorno, ripuliva un secchio per i miei bisogni corporali e mi consegnava pezze umide con cui mi era concesso lavarmi.
Le mie giornate sembravano non finire mai e la paura di topi e insetti mi teneva sempre in tensione. Iniziavo anche ad avvertire dolori alle articolazioni.
L’umidità stava corrodendo non solo la mia anima, ma anche il mio corpo.
Di tanto in tanto, mi sembrava di sentire voci e suoni provenire dalle strade di Gradara. Sapevo che era impossibile ma ogni piccola cosa, fosse anche una semplice illusione, contribuiva a tenermi in vita.
In quell’angusta cella, quasi del tutto al buio, era difficile tener conto dello scorrere del tempo.

***

Forse erano trascorsi alcuni mesi da quel triste giorno quando mio fratello entrò nella stanza. Credevo di aver perso ogni speranza e invece… tutto nuovamente cambiò!
«Nostro padre è morto poche ore fa» disse con un tono per nulla velato di tristezza. Lo potevo ben capire! Per quanto figlio maschio, e quindi unico erede dei beni e del castello di famiglia, era sempre stato trattato da nostro padre con estrema freddezza. Mai una sola parola gentile, mai un sorriso. Poi, come si conveniva, fu subito gettato tra le braccia del capo delle guardie, uomo violento e crudele, affinché imparasse il mestiere delle armi.
Anch’io sentendo questa notizia non provai alcun sentimento. Nessun dolore sfiorò il mio cuore.
Notai uno strano luccichio nei suoi occhi. Percepii la presenza di qualcuno dietro la porta. «Chi c’è?»
Lorenzo era ansioso di parlarmi, non poteva aspettare un solo minuto di più.
«Ti devo spiegare ogni cosa, prima» e iniziò a raccontare.
«Nostro padre è morto per un attacco di cuore. Stavamo pranzando. Udimmo un forte clangore di spade provenire dai corridoi. Poco dopo un giovane, seguito da alcuni soldati e da un nostro servo, fece irruzione nel salone».
«Chi era costui?» chiesi col cuore in gola.
«Cara sorella, pazienta». E Lorenzo riferì cosa disse il giovane dinanzi ai commensali.
«Messer Guido, è arrivata la resa dei conti. Mi credevate morto, vero? Avete commesso un grave errore a non verificarlo di persona. Come Voi, anch’io avevo e ho amici fidati».
Il ritmo del mio cuore cambiò.
Iniziavo a capire. Ma volevo ascoltare tutta la storia. Il giovane continuò: «Ho le prove della mia innocenza e anche quelle della Vostra colpevolezza. Un Vostro servo, ora sotto la mia protezione, sa molte cose, troppe! Non temo nemmeno il Vostro Podestà. Sotto diverso nome, a Milano, ho acquisito una nuova posizione sociale e ricchezza. Seppi che quel giorno a Vostra figlia fu risparmiata la vita. A tutti diceste che anch’ella era morta. Spero per Voi che nel frattempo non lo sia davvero, altrimenti, Vi giuro sul mio onore, Vi passerò a fil di spada in un sol battito di ciglia. Mio fratello non sa e non dovrà mai sapere che sono vivo. Mi ritiene un fedifrago e un assassino. Non è più mio fratello. Ora dovrete restituire quella vita che per mesi avete tolto a Vostra figlia e a me. In quei giorni, mentre portavate avanti il Vostro tranello facendole credere che io fossi il suo promesso, ci innamorammo. Voglio portarla via e vivere insieme lontano da qui. Per il nostro bene lasceremo che il mondo pensi quello che Voi avete fatto credere quel giorno».
Lorenzo proseguì col resto della storia. Mi disse che col viso paonazzo mio padre iniziò a soffocare e a gridare «Il cuore, il cuore!»
Vano ogni aiuto. Pochi secondi dopo stramazzò al suolo, oramai privo di vita.
Difficile dire come mi sentissi.
Rabbia per quella ingiusta e lunga prigionia?
Comprensione per mio fratello?
Avrei voluto urlare, ma non vi riuscii.
Dalle mie labbra uscirono solo alcune ovvie domande: «Tutto mi è chiaro, Lorenzo. Ma come mai ora hai fiducia in lui? Perché io sono ancora viva e ho dovuto stare qui per mesi, in pena e senza sapere nulla?»
Con fare mesto, rispose: «Come nostra madre, anch’io nutrivo da qualche tempo dei sospetti sugli incontri notturni di nostro padre. Ma non ero io il signore del castello. Non potevo fermare quanto accadeva. Ho solo potuto implorare che ti risparmiasse la vita, in attesa di un suo perdono. Inoltre, solo oggi ho saputo quello che negli anni la mia coscienza ha sempre voluto tacere. Tutti quegli omicidi erano una triste realtà e non solo un mio sospetto. Tu eri viva, ma per il mondo dovevi essere morta. Ora siete entrambi liberi, ma se vogliamo mantenere i nostri beni e tu la tua dote, tutto dovrà restare nascosto. Che si continui a credere ciò che quel giorno fu dato ad intendere. Anche il nobile giovane è d’accordo con me».
E lui entrò, seguito da mia madre che sorrideva per la prima volta dopo tanti anni!
Fu un momento magico e intenso. Lei mi corse incontro. Sembrava leggera, come se volasse.
«Scusa, bambina mia, per il male che hai subito e per averti nascosto la morte di Luisa. Non potevo parlare! Avremo tanto tempo per raccontare la triste storia della mia vita tra le mura di questo castello».
Quella vita che credevo mi fosse stata rubata per sempre, mi era stata finalmente restituita!

***

Seguii il mio amore a Milano. Avemmo quattro figli e una vita intensa. Morì anni fa, ma molti ne trascorremmo felicemente insieme.
Triste? Immensamente… ma altrettanto grata al Fato per il dono che mi aveva concesso.
Spesso, nelle mie lunghe notti insonni, rivedo con la mente la mia Gradara: le sue strade, i fiori, le allegre risa dei bambini accanto alle loro madri e il bel volto del mio sposo!
Quanti anni ho? Non sono più in grado di tenerne il conto. Adesso attendo solo che la mia vita passi dal tramonto…alla notte eterna!

I nostri nomi?
… Oramai li sapete già…

 

Marcella Nardi

 

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