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E il lucchetto della bici? – Racconto di Alessandra Biagini

Arrivai in macchina all’agriturismo, nel pomeriggio di un luglio infuocato. Il sole era ancora alto e faceva un caldo infernale. Tutt’intorno, una distesa interminabile di campi, coltivati perlopiù a girasoli e pomodori, dominava la scena.

“Pleased to meet you, hope you guess my name, oh yeah. Ah, what’s puzzling you, is the nature of my game, oh yeah. Woo woo, woo woo!”

Dall’autoradio proveniva l’inconfondibile melodia di un famoso pezzo degli Stones. Parcheggiai sotto una tettoia in canniccio. Aprii la portiera e, prima di appoggiare anche il secondo piede sul ghiaino, colsi un’ombra con la coda dell’occhio. Ebbi un sussulto. Girai la testa di scatto. Vidi una donna anziana, in piedi, a due passi da me.

«Ah, salve…» balbettai. «Sono…»

«La signora Alessandra Biagini» disse, anticipandomi, con la mano protesa. «Molto lieta, Luisa Cifarelli, proprietaria della struttura» aggiunse, indicando con l’indice ossuto la grande casa colonica alle sue spalle.

A dispetto del fisico gracile, aveva una stretta sorprendentemente vigorosa (quel breve contatto mi trasmise un certo disagio, ma lì per lì non ci feci caso più di tanto). Mi colpì pure il suo sguardo: ipnotico e scuro come una notte senza luna. Nonostante la calura, venni percorsa da un brivido gelido.

La seguii fino alla reception per sbrigare le pratiche della registrazione. Poi mi accompagnò alla stanza, al piano superiore, sottolineando che il bagno era in comune con un’altra camera.

«Li ho letti tutti i suoi libri, sa?» dichiarò, di punto in bianco.

Mi fissò per qualche istante, senza fiatare. Ed ebbi, di nuovo, la stessa strana sensazione iniziale. Come se quella donna inquietante fosse in grado di leggermi nel pensiero, insinuandosi nei più reconditi meandri della mia mente. Per quanto mi sforzassi, non ce la facevo a staccare gli occhi dai suoi. Ero pietrificata.

«E… le sono… piaciuti?» riuscii a biascicare, alla fine, interrompendo quel lungo e irreale silenzio.

«Ooh sì… Ooooh sììì… Ooooooh sììììì!» fece, a mo’ di disco rotto, con un inaspettato tono baritonale.

La guardai, immobile, tremando di nuovo. L’anziana si congedò in un attimo, augurandomi una buona permanenza. Mentre scendeva gli scalini, mi sembrò di sentirla ridacchiare malignamente.

Pensai di essere più stressata di quanto potessi immaginare. Disfeci il bagaglio, misi qualche vestito nell’armadio, e mi fiondai sotto la doccia. Dopo essermi cambiata inviai un messaggio alla mia amica Nora, per avvertirla che ero arrivata. Anche lei alloggiava nell’agriturismo insieme al suo compagno Sebastiano. Era stata proprio Nora, in realtà, a chiedermi se mi andava di raggiungerli, per trascorrere il fine settimana con loro. Le risposi subito di sì, perché pensai che, in fin dei conti, mi avrebbe fatto bene prendermi una pausa dal romanzo a cui stavo lavorando. La stesura del mio ultimo thriller, infatti, procedeva a rilento. La verità è che, in quel periodo, mi sentivo tristemente prosciugata a livello creativo; inoltre c’era il problema della scadenza per la consegna del manoscritto, che si stava avvicinando senza pietà: temevo, per la prima volta nella mia carriera, che non ce l’avrei fatta a rispettarla.

Così, senza pensarci due volte, presi un borsone e ci buttai dentro dei vestiti, il costume, un paio di sandali, un telo da spiaggia. Poi salii in macchina alla volta della Maremma, convinta che il sole, il mare, qualche bella mangiata di pesce, e la compagnia dei miei amici, mi avrebbero di sicuro aiutata a superare quel brutto momento d’impasse.

La sera stessa del mio arrivo prendemmo un aperitivo nell’unico bar aperto di Alberese – il paesino che si trovava nelle immediate vicinanze dell’agriturismo.

«Brindiamo al tuo nuovo capolavoro, amica!» disse Nora, alzando il bicchiere ricolmo di mojito.

«A tutti noi, e a questa splendida serata!» replicai, mentre cozzavamo i calici.

Dopo aver trangugiato i cocktail, decidemmo di cenare a una sagra poco distante. Una volta seduti al tavolo, in attesa che arrivassero le ordinazioni, alzai lo sguardo e vidi la proprietaria dell’agriturismo, a un tavolo poco distante dal nostro.

Mi stava fissando, lunare e immobile.

In un lampo le sue pupille diventarono enormi, nere come la pece, e il suo volto venne trasfigurato da un ghigno spaventoso. Iniziò a divorare un cuore umano ancora pulsante. E rideva, rideva, rideva come una forsennata, con la bocca e le mani completamente ricoperte di sangue, affondando i raccapriccianti denti aguzzi nel muscolo cardiaco.

Udii un grido spaventoso, mentre mi coprivo gli occhi con le mani. Dopo pochi istanti mi accorsi di avere la bocca spalancata: l’urlo usciva proprio da lì.

Nora e Sebastiano fecero un gran balzo. Diverse persone mi puntarono gli occhi addosso.

«Ehi, Ale, che ti succedeee?!» mi chiese la mia amica.

«Ti senti bene…?» aggiunse Seba.

«Lei… lei è… guardate!» esclamai, indicando un punto alle loro spalle.

Ma la signora Cifarelli era scomparsa.

Forse sto impazzendo… oppure, molto più probabilmente, sono sull’orlo di un esaurimento nervoso di portata epocale…

«Lei…? Lei chi, Alessandra?» disse Nora.

Feci finta di nulla, evitando di raccontare ciò che, in quel momento, ero sicura di aver visto. Scoppiai a piangere. La mia amica si alzò e venne ad abbracciarmi.

«Sono stanca, Nora… Mi sento così vuota, così arida, ultimamente. Ho paura che non riuscirò a finire in tempo il nuovo romanzo…» le confessai tra i singhiozzi.

«Va tutto bene, tesoro, non ti preoccupare. Adesso torniamo all’agriturismo, okay? Hai soltanto bisogno di riposo: troppa pressione, da qualche mese a questa parte.»

Adesso torniamo all’agriturismo…

In realtà non ne avevo alcuna voglia. Dopo quell’orribile allucinazione (o cos’altro, sennò…?) non volevo rischiare di incontrare di nuovo la signora Cifarelli.

La sua bocca… le mani piene di sangue. Il ghigno terrificante. I denti lunghi, appuntiti, come quelli di uno squalo. E quelle pupille: enormi, magnetiche, scure come un abisso; buchi neri che cercavano di risucchiarmi con una forza sovrumana…

Non riuscivo a liberarmi da quelle immagini agghiaccianti, assurde, ai confini della realtà. E, da qualche parte, giù nel profondo, ebbi la netta impressione che, ciò a cui avevo assistito – lo spettacolo grandguignolesco riservato esclusivamente alla sottoscritta – non fosse soltanto il frutto della mia immaginazione. Venni scossa dall’ennesimo brivido.

«E se, invece… facessimo un salto alla festa organizzata dai ragazzi del bar?» buttai lì, con ostentata convinzione, sempre più sicura che tornare subito all’agriturismo sarebbe stata una pessima idea.

«Ti va sul serio di andarci?» mi domandò Seba.

«Ho bisogno di fare due salti e bere qualcosa di forte…» dichiarai, sforzandomi di sorridere, mentre strizzavo l’occhio a entrambi.

«E allora… io dico: e festa sia!» sentenziò Nora.

Al party ci divertimmo parecchio. Il dj sapeva il fatto suo. L’alcol non mancava. La gente era tranquilla, e l’atmosfera gioiosa e rilassata.

“So if you meet me, have some courtesy, have some sympathy, and some taste. Woo woo, woo woo!”

Di nuovo la voce di Mick Jagger…

Ballai fino alle tre di notte in compagnia di Giulio, un bel tipo conosciuto alla festa. Nora e Sebastiano se ne erano già andati da un pezzo. A un certo punto gli chiesi se voleva accompagnarmi all’agriturismo. Mi afferrò per la vita, stringendomi a sé e baciandomi sulle labbra.

Però, un bel modo per dire “sì”!

Una volta arrivati in camera non dovetti insistere molto affinché Giulio rimanesse anche a dormire. Lui mi piaceva, ma devo ammettere che mi feci avanti in modo così sfacciato soprattutto per la paura di passare il resto della notte da sola. Finito il sesso, poco prima di cedere al sonno, mi sembrò di sentire una risata cupa, cattiva, provenire da fuori la finestra… Travolta dalla stanchezza, dopo essere caduta tra le braccia di Giulio, precipitai anche tra quelle di Morfeo.

 

Riaprii faticosamente gli occhi verso le undici, al termine di una notte senza sogni. Giulio non c’era più. Avevo un dannato cerchio alla testa, e le tempie mi pulsavano.

Mi sa che, ieri sera, ho un tantino esagerato con l’alcol…

Feci una lunga doccia fresca; presi un analgesico; buttai giù mezzo litro d’acqua minerale; a pranzo optai per un’insalata.

Verso le tre di pomeriggio ero come nuova. Io, Nora e Seba saltammo in sella a delle bici noleggiate all’agriturismo e ci dirigemmo verso il mare, pedalando sulla ciclabile che attraversava il Parco dell’Uccellina, fino alla spiaggia. Un percorso suggestivo di una decina di chilometri, immerso nel verde, e durante il quale con un po’ di fortuna avremmo incrociato qualche animale selvatico.

Sebastiano procedeva in testa, tallonato da Nora. Io chiudevo il gruppo, duecento metri dietro. Nei tratti rettilinei, riuscivo a scorgere le loro sagome pedalare in lontananza. Muovevo in continuazione la testa a destra e a sinistra, sperando in qualche incontro faunistico degno di nota. Vidi una volpe guizzare dietro a un cespuglio. La seguii con lo sguardo e, dopo che ebbi superato un ponticello di legno, mi trovai in uno spiazzo, circondata da imponenti pini secolari. D’improvviso, il canto delle cicale, fino a quel momento assordante, cessò di colpo.

E fu proprio lì che la rividi.

Luisa Cifarelli se ne stava in ginocchio, con la testa infossata nella carcassa di un essere umano. Alzò il capo di scatto e mi salutò con la mano insanguinata. Aveva un sorriso demoniaco, che metteva in mostra due file di zanne acuminate, intrise di sangue. Il suo ghigno da iena riecheggiava tutt’attorno, come un boato ultraterreno. Chiusi gli occhi, travolta da tremori così forti che mi scuotevano dalla testa ai piedi. Il cuore prese a martellarmi a un ritmo forsennato.

Devo fuggire. Ora!

Iniziai a pedalare a più non posso, consapevole che se fossi rimasta lì un secondo in più sarei morta. Non avevo il coraggio di girare il capo per guardare dietro. Pedalavo e basta.

Veloce.

Più veloce.

Sempre più veloce.

Non voltarti, non voltarti, non voltarti…

Ero convinta che il mostro orribile si fosse lanciato al mio inseguimento, e stesse correndo a quattro zampe come una belva affamata. Ringhiava e si avvicinava, metro dopo metro, trascinando con sé il suo odore nauseabondo. Poi, finalmente, raggiunsi Nora. Avevo il fiatone ed ero pallida, zuppa di sudore. Lei mi guardò sorpresa, chiedendomi se stessi bene. Ci fermammo. Mi distesi sotto un pino. Con gli occhi chiusi cercai di rilassarmi in modo da riprendere a respirare normalmente. Dopo qualche minuto andava un po’ meglio.

«Che ti succede, Ale? Ti va di dirmelo… eh?» domandò Nora, accarezzandomi una guancia.

La guardai negli occhi. Iniziai a piangere. Vuotai il sacco. Le raccontai tutto quello che avevo visto, a partire dalla serata precedente.

«Ma chi…? Luisa Cifarelli? E daiii!» disse, sghignazzando.

Nora ha sempre avuto una certa maestria nel riuscire ad alleggerire le situazioni difficili, anche quelle più pesanti. Accennai un sorriso.

«È stato un anno impegnativo per te, Ale… Credimi: lo stress può giocare davvero brutti scherzi».

«Forse hai ragione, amica. Però, boh, non so… È come se non si fosse trattato soltanto di allucinazioni. Sembravano più che altro dei sogni lucidi, ma con la differenza che riuscivo, non so come, anche a “percepirli” qui dentro» le dissi, toccandomi la bocca dello stomaco. «Insomma, è tutto così assurdo. Non saprei proprio come spiegarlo diversamente».

Risalimmo sulle bici per andare in spiaggia. Raggiungemmo Seba che, nel frattempo, si era fermato ad aspettarci un centinaio di metri più avanti. Una volta raggiunta la rastrelliera, a un passo dal mare, Nora iniziò a rovistare dentro al suo zaino.

«Cazzo, non trovo il lucchetto… Va beh, chi se ne frega, la Cifarelli mica ci ucciderà per questo!» disse, facendomi l’occhiolino. «Usiamo il tuo, Ale, leghiamo le bici con un’unica catena» aggiunse, sorridendo.

Io, invece, non sorrisi affatto quando venni colpita all’addome da un pugno invisibile che mi lasciò senza fiato. Mi sforzai di nasconderlo al meglio. Non volevo, infatti, che i miei amici si preoccupassero ulteriormente; li avevo già spaventati abbastanza.

Il pomeriggio al mare, in compenso, fu molto rilassante. Sebastiano montò una tenda extra lusso, aiutandosi con dei legni raccattati sulla battigia. Sotto il telone c’era posto per tutti, e tra un pisolino e l’altro, delle piacevoli letture, qualche tuffo rinfrescante, si fecero le sette di sera.

Quando passammo davanti al bar della spiaggia per andare a recuperare le bici, sentii di nuovo le parole di quella canzone provenire dagli altoparlanti dello stabilimento.

“As heads is tails, just call me Lucifer. ‘Cause I’m in need of some restraint. Who whooo, who whooo!”

Ormai era chiaro che mi seguiva ovunque andassi. Proprio come Luisa Cifarelli.

O chiunque sia in realtà.

Tornati all’agriturismo, parcheggiammo le bici sotto il patio, e andammo nelle nostre camere a fare una doccia e a preparare i bagagli. In meno di un’ora eravamo già pronti per tornare a Firenze. Dopo aver caricato le valigie in macchina, ci dirigemmo verso la reception per riconsegnare le chiavi delle stanze alla proprietaria.

La incrociammo a metà strada: Luisa Cifarelli aveva le braccia conserte e uno sguardo assassino.

«E il lucchetto della bici?» domandò, cupa, indicando il patio con un cenno della testa.

«Ecco… purtroppo, signora Luisa, credo di averlo perso durante il tragitto verso la spiaggia. Mi dispiace, davvero, mi disp…» cercò di spiegare Nora.

Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che, la vecchia, muovendosi a velocità impossibile, l’afferrò per un braccio e glielo staccò di netto. La mia amica fece un urlo agghiacciante e si accasciò a terra. Io e Sebastiano la guardavamo urlare, imbambolati, senza credere ai nostri occhi: il sangue le usciva dall’arto, tranciato di netto all’altezza della spalla, con dei lunghi fiotti intermittenti.

Da quel punto in poi, divenni la protagonista inconsapevole di un maledetto film horror.

La fiera diabolica sfoderò un’unghia di una ventina di centimetri, affilata come un rasoio, e tagliò la gola a Nora, ululando di piacere.

Prima che avessimo il tempo di accennare la benché minima reazione, la bestia immonda aprì le enormi fauci e si scaraventò come una furia sul collo di Seba, che tentò inutilmente di opporre resistenza. Sentii un colpo secco, come un ramo che si spezza, e il fidanzato di Nora smise di agitarsi.

Fu allora che iniziai a correre all’impazzata in direzione della strada. La creatura demoniaca mi inseguiva, sbavando e ringhiando alle mie spalle. Raggiunsi la carreggiata e continuai a correre, correre, correre fino a farmi scoppiare i polmoni. Era buio pesto, pareva notte fonda, nonostante fossero passati solo pochi minuti dal tramonto. Barcollavo, in apnea. Non ce la facevo più. Le scariche di adrenalina mi spingevano in avanti, ma le gambe stavano per cedere.

Vidi i fari di una macchina arrivare nella mia direzione. Quando l’auto fu abbastanza vicina mi buttai a terra, stremata. L’ultimo pensiero che ebbi, prima di perdere i sensi, fu che non avrei più rivisto la luce del sole.

 

Mi risvegliai distesa su un letto d’ospedale, con l’ago della flebo infilato nel braccio, e un sensore al dito che monitorava il battito.

«Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai?» disse Nora, mentre mi teneva la mano.

Ero talmente felice di rivederla che scoppiai in lacrime. Anche Sebastiano era sano e salvo. Mi stringeva l’altra mano, ripetendomi di stare tranquilla, e che era tutto sotto controllo. Mi spiegarono che ero svenuta, cadendo come un sasso, poco prima di salutare la signora Cifarelli. Spaventatissimi, mi avevano immediatamente caricata in macchina e portata di corsa in ospedale. Un volta lì, il medico li aveva tranquillizzati dicendo che si era trattato soltanto di un banale calo di zuccheri, dovuto probabilmente alla stanchezza, allo stress, o magari a una forte emozione.

Già. Chissà…

Il dottore mi consigliò di passare la notte in ospedale; Nora e Seba rimasero a farmi compagnia.

La mattina seguente andammo a recuperare la mia auto all’agriturismo. Nora decise di fare il viaggio di ritorno con me. Per precauzione volle guidare lei. Non protestai e mi sedetti al posto del passeggero. Mentre stavamo per superare il cancello, gettai un’occhiata distratta sullo specchietto laterale. Ed ecco che la vidi per l’ultima volta: Luisa Cifarelli, ricoperta di sangue dalla testa ai piedi, mi stava salutando con un braccio alzato e un sorriso raggelante stampato in faccia. Mentre l’arpia spalancava le fauci, per mostrare meglio le zanne affilate, Nora accese la radio.

Chiusi gli occhi senza proferire parola.

“Pleased to meet you, hope you guessed my name, um yeah. Who, who. But what’s puzzling you is the nature of my game, um mean it, get down. Woo woo, woo wooo!”

Quando li riaprii eravamo già lontane.

 

Alessandra Biagini

 

 

 

 

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