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De Domenica anca Dio se riposa – racconto di P. D. Hax

Il parroco, Don Sebastiano, si passò la mano sulla tunica sporca di polvere e si aggiustò gli occhiali sul naso. Era venuto a trovare il suo vecchio amico d’infanzia, Luigi Machiut, l’unico suo compaesano che ancora non era riuscito a convertire alla fede cattolica.
Era una grande sfida la loro, che durava ormai da decenni. Luigi, soprannominato da tutti in paese con il nomignolo di Gigi, era un uomo sano di principi ma un po’ scorbutico. Palesemente ironico con il suo permanente ghigno disegnato sul volto, non perdeva occasione per tirare a Don Sebastiano qualche frecciatina, quando questi lo veniva a trovare.

Abitava in periferia, tra campi di soia e frutteti. Vestiva con indumenti consunti, ma non dava mai l’impressione d’essere trasandato.
I suoi vivi occhi grigi scrutarono il parroco e lo sbeffeggiarono già prima che la sua bocca si aprisse.
«Oh, Don. Xé già passà un mese?» gli aveva chiesto appena l’aveva sentito varcare il cancello d’entrata, dove grossi pezzi di gesso e intonaco giacevano in terra, assieme ad alcune assi e a degli attrezzi che il contadino usava per ristrutturare alcune parti della sua fattoria.
«Sì, Gigi. Ė già passato un mese. Tempus fugit, amico mio.»
«Come la disi lei, Don. Mi no metto parola.»

Don Sebastiano era molto affezionato a Gigi, nonostante la fatica che gli era costata e che ancora gli stava costando la sua conversione. Ciò nonostante, il suo modo di punzecchiarlo a ogni occasione lo innervosiva. Non era più tanto giovane e si sentiva affaticato e pronto per la pensione.
«Non t’ho visto neppure ieri in chiesa, Gigi, come mai?»
In realtà Don Sebastiano poneva quella domanda più per ascoltare le fantasiose risposte che di mese in mese quell’uomo era in grado di dargli, piuttosto che per conoscere effettivamente le sue ragioni.
Il contadino non lo deluse neppure questa volta. Guardò il parroco con l’espressione canzonatoria di sempre e dandosi una pacca su un ginocchio esclamò: «Ostrega! Iera domenica?»

«Sì, Gigi. La domenica è quel giorno dopo il sabato e prima del lunedì. Solitamente casca ogni sette giorni e ce ne sono 4 o 5 al mese.»
«Sì, sì Don. Ne go sentì parlar. Xé quel giorno che Dio usa per riposar, xé vero?»
Don Sebastiano intuì immediatamente dove sarebbe andato a parare, ma gli diede comunque corda.
«Sì, è proprio quello», disse. «Ė il giorno di riposo di nostro Signore. Se lo concede per aver tempo d’incontrare i propri fedeli.»
«Eh, ma se xé el giorno che lui el riposa, non go capì, perché mi no posso riposar? Posso prender appuntamento — che so — de màrte o mércole, cussì che entrambi semo bei svei e riposai e se la podemo contar?»

Il parroco, sebbene non volesse darlo a vedere, si trovò a sorridere. Cercò di mascherare l’ilarità dietro un colpo di tosse, ma l’espressione furba di Gigi gli fece comprendere di non essere stato abbastanza svelto e soprattutto credibile.
«Ah, Gigi. Quando eri giovane eri troppo occupato con il lavoro nella campagna, ora che scuse hai?»
«Oh, Don. Xé passà tanto de quel tempo. La pensi che quando che iero giovane mi, le mele le stava sui alberi e no le vegniva quotade in borsa; quando se parlava de funghi, tutti i correva per andar a tavola no per nasconderse ta i rifugi “tomici”; e gli attori drammatici i faseva pianser mentre quei comici i faseva rider, e no el contrario come che xé oggi!»
«Eh già», commentò ironico il parroco togliendosi gli occhiali e pulendone le lenti con un fazzoletto bianco di cotone. «E quando ero giovane io, i comici stavano su un palco e non nelle fattorie a fingersi contadini per farmi perdere tempo!»
Gigi sghignazzò mentre osservava il parroco approntarsi per andarsene e poco prima che uscisse dal cancello lo richiamò.
«Don, non la ga dimenticà qualche cossa?» gli chiese divertito.

Il parroco si tastò la tonaca e controllò che gli occhiali fossero al loro posto. «Non credo. Cosa avrei dimenticato?»
Il contadino si avvicinò al parroco con una grande busta di carta marrone per alimenti, che sembrava parecchio pesante, e una bottiglia incartata con dei fogli di giornale, porgendoglieli.
«Per i meno fortunai, Don», specificò il contadino e attese che Don Sebastiano prendesse i suoi doni prima di rientrare nella propria dimora.
Il parroco scosse la testa con uno stanco sorriso sulle labbra e uscì dal cancello chiudendolo dietro di sé. Fece qualche passo sulla strada sterrata e poi si fermò, girandosi verso la casa di Luigi.

“Per i meno fortunati” pensò fra sé e sé, distendendo le labbra.
Osservò il tetto con delle tegole mancanti, le finestre del piano superiore sbarrate dalle assi di legno e con i vetri assenti, il cancello arrugginito dal quale era appena uscito, tenuto in piedi da due fili di ferro altrettanto arrugginiti, e alzò gli occhi al cielo: «Signore, tu che sei buono e giusto, ricordati di quest’uomo che ogni mese toglie a se stesso per dare agli altri; anche se non viene a visitare la tua casa è pur sempre un buon cristiano, non credi?»
Abbassò gli occhi alla strada di ghiaia e si fece il segno della croce. Un alito di vento mosse la tunica accarezzandola lievemente, mentre l’imbrunire apriva le braccia per accompagnare il suo cammino.
«Amen», bisbigliò Gigi davanti al piatto di minestra e, sorridendo sornione, si fece il segno della croce prima di consumare il proprio pasto.

 

 

P. D. Hax

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