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Buio – Racconto di Margherita Biasi

Buio, buio più totale.
Arrancavo nel buio, dopo essermi svegliata sul pavimento di un posto qualsiasi, non sapevo esattamente dove mi trovassi, sapevo solo di non esserci arrivata da sola. Per quanto potessi vedere sembrava un luogo molto polveroso, a giudicare dalla polvere sul pavimento che mi aveva fatto starnutire almeno dieci volte negli ultimi cinque minuti. Provai a trascinarmi, senza forze, in un punto indefinito solo per scoprire altro della stanza, ma quello che trovai fu solo una sedia tutta rotta, abbandonata vicino al muro freddo.
Dopo poco ci rinunciai ed appoggiai la testa sul muro per sostenerla, non avevo la forza nemmeno di fare quello e mi addormentai nell’oscurità di quella stanza senza un’ identità, ancora ignota alla mia curiosità senza fine.
Non avendo il senso del tempo mi risvegliai senza sapere quanto avessi dormito, ma in una situazione come quella, il tempo era proprio l’ultima cosa a cui pensavo.
Provai a pensare a come fossi finita lì, a provare ad immaginare cosa stessi facendo prima di essere teletrasportata in un posto del genere, che in un certo senso incuteva un po’ di paura. Alla fine mi rassegnai, non riuscivo a ricordare nulla, come se mi fosse stata cancellata poco a poco la memoria. Per ingannare il tempo, provai ad avvicinarmi al muro, tastando sul materiale freddo, in cerca di un interruttore della luce ma nulla da fare, sembrava che quest’ultimo fosse stato come inghiottito dalla pietra che ricopriva quel posto lugubre e sporco.
Ad un certo punto in lontananza si sentì una specie di voce, una voce melodiosa e soave che cantava sulle note di quello che poteva sembrare un pianoforte, un ritmo incalzante e pieno di musicalità. Mi appoggiai al muro nuovamente, come se ormai fosse una routine e rimasi in piedi ad ascoltare quella melodia con un certo interesse, ma la musica sembrava sempre più lontana man mano che passava il tempo, e ad un certo punto scomparve del tutto, lasciandomi ancora per una volta sola in quel silenzio straziante.

Mi svegliai di soprassalto dopo aver udito un rumore simile ad un ticchettio e ad un leggero bussare ma, non sapendo dove fosse la porta, rimasi immobile seduta ad aspettare qualcuno o qualcosa, non sapevo nemmeno io cosa aspettarmi in quel momento.
Dopo alcuni minuti udii dei leggeri passi farsi strada verso di me, sempre più vicini e sempre più lontani allo stesso tempo. Non capivo, non capivo proprio e solo a pensarci e a sviluppare una possibile ipotesi mi veniva un mal di testa incredibile, come se avessi avuto mille tamburi che sbattevano all’unisono.
Facendomi forza dentro di me, mi alzai e decisi di correre verso quella voce per fare più veloce e per scoprire finalmente se tutto questo fosse frutto solo della mia mente che giocava brutti scherzi o accadeva veramente. Iniziai a correre e seguendo quella voce come una specie di richiamo venni ad un certo punto attraversata da una scarica di adrenalina che mi spingeva a correre sempre più veloce e forte per arrivare alla fine di quel tunnel misterioso. Ora la stanza che mi aveva ospitata per quel tempo indefinito mi sembrava veramente senza fine e molto più grande di quello che avevo potuto notare io stessa quando, l’avevo tastata in cerca di una luce oppure di una porta.
Alla fine iniziai a rallentare il passo della corsa perché notai una porta in lontananza, per quanto potevo osservarla correndo, mi sembrava una porta molto spessa e di color bianco panna in netto contrasto con il leggero buio che mi circondava in quell’istante.
Arrivata a qualche passo vicino alla porta misi d’istinto le mani dinanzi a me come per proteggermi e per aprirla. Per qualche istante chiusi gli occhi concentrandomi solo sul rumore di passi mischiato al leggero bussare che avevo sentito poco prima, anzi non sapevo esattamente quando, magari erano passati minuti interi da quando stavo correndo ma non mi ci concentrai più di tanto, mi piaceva questo senso di mistero che circondava tutti i vari avvenimenti che mi stavano accadendo.
Poco dopo sentii una leggera pressione sui palmi delle mie mani e la spinsi con tutta la forza all’interno del mio corpo. Come per incanto improvvisamente mi trovai in una stanza illuminata da una luce fioca. Iniziai a respirare a fatica per la corsa appena fatta e poggiai le mani aperte sulle ginocchia, piegandomi leggermente verso il basso per inalare più aria possibile, per tornare a respirare normalmente. Subito dopo mi concentrai sulla stanza in cui ero capitata, feci un leggero giro su me stessa osservando estasiata quell’abiente caldo ed accogliente caratterizzato sulle pareti da colori freddi in netto contrasto con i colori accesi del mobilio e dei vari oggetti da decorazione. Tutto questo mi fece spuntare un sorriso sul viso, in quanto questa stanza era la descrizione identica del salotto di casa mia. Mi raggelai sul posto quando notai la mancanza della porta bianca da cui ero entrata poco prima. Con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse in una piccola smorfia controllai nuovamente, ma di quella porta non c’era neanche l’ombra, come se non fosse mai esistita. A lato di una libreria c’era una porta anch’essa bianca ma per niente simile alla precedente, per quanto avessi potuto vedere al buio.
La porta presentava diversi disegni stilizzati di persone, oggetti, animali e piante, attaccati con lo scotch, come abitualmente faceva mia sorella. Mi guardai attorno un’altra volta non riconoscendo quel luogo, mi sembrava tutto così strano, ero piuttosto confusa da tutto questo.
Mi guardai un po’ attorno e decisi di placare la mia solita sete di curiosità, andando ad esplorare in quella casa molto simile alla mia, per scoprire dove fossi capitata ancora.
Salii delle scale in fianco a quella che sembrava la porta d’ingresso.
Iniziai dalla stanza che mi sembrava la più piccola di tutte, mi guardai bene attorno, spostando oggetti, curiosando ma non scoprii niente di interessante.
Successivamente esplorai le altre stanze e furono tutte molto simili, tranne per alcuni cambiamenti alle pareti o agli oggetti.
Mentre stavo scendendo le scale, notai una piccola porticina sul fondo che salendo non avevo visto, scesi a perdifiato rischiando pure di rompermi l’osso del collo. Arrivata alla porticina, mi abbassai e cercai di entrarci senza sbattere la testa sul soffitto molto basso, ed una volta all’interno, mi sedetti cercando di stare più comoda, guardandomi per la millionesima volta attorno ed osservando l’ambiente che mi circondava.
Nuovamente incominciai a curiosare tra vari libri, rimossi la polvere da alcuni oggetti che sembravano di decenni prima e gironzolai per la piccola stanza.
Girando lo sguardo nuovamente verso sinistra notai una piccola rientranza ed aguzzando la vista trovai un baule molto spesso di color nero che si confondeva con la lieve l’oscurità circostante. Strisciai verso di esso e cercai di aprirlo in tutte le maniere, alla fine, quando mi arresi, ci riuscii e vidi ciò che non mi sarei mai aspettata.
All’interno di quel baule, c’erano solo foto mie, era interamente zeppo di foto mie, di informazioni su di me scritte su fogliettini spiegazzati e sparsi per tutto il baule.
Scioccata ed impaurita mi alzai da lì ed uscii velocemente sia da quella stanza, sia da quella casa.

Corsi. Corsi a più non posso per cercare di scappare il più lontano possibile da quella strana casa. Solamente quando fui certa di essermi allontanata abbastanza, rallentai il passo fino a camminare tranquillamente anche se di tranquillo in quella situazione non c’era nulla. Ancora frastornata e piena di domande senza risposta mi guardai attorno per cercare di riconoscere qualche luogo a me familiare ma niente di niente, sembravo come capitata in un mondo parallelo al mio, anche se sapevo che tutto questo era possibile solo attraverso la fantasia e solo nei libri che tanto amavo leggere.
Continuai a camminare per non so quanto tempo e cercai invano un luogo tranquillo in cui fermarmi e cercare di riordinare le idee confuse che avevo in testa. Non ero sicura che fosse la realtà questa, sembrava solo un brutto sogno dal quale volevo risvegliarmi al più presto e cercare di immagazzinarlo nel dimenticatoio della mente, e quindi poter dissolvere ogni traccia di esso.
Dopo non so quanto scorsi in lontananza un piccolo spiazzo verde, che poi si rivelò essere un parco traboccante di bambini di tutte le età e delle loro madri amorose che chiaccheravano sedute sulle panchine tra di loro, prestando però sempre attenzione ai propri figli.
Mi sedetti su una panchina di legno posta a lato di uno scivolo, proprio dietro al camminamento pedonale, e grazie a questo mi era possibile vedere ogni spostamento delle persone che entravano o uscivano dal piccolo parchetto. Mi portai le ginocchia al petto cingendo quest’ultime con le mie braccia per quanto mi fosse possibile e dondolandomi leggermente per farmi forza, cercai delle risposte alle mie domande senza fine, che da un bel lasso di tempo occupavano la mia mente non facendomi pensare ad altro.
“ Come mai c’erano delle foto mie all’interno di quel baule?” “Cosa vogliono da me?” “Come hanno ottenuto quelle informazioni su di me?” “Sono entrati in casa mia?” “ Certo che quelle foto mi ritraevano in tutte le mie attività, in qualunque posto, anche sul mio letto, in cucina, in salotto e sembravano proprio scattate dall’interno di casa mia, quindi per forza quella persona o quelle persone dovevano essere entrate” “Ma come?” Tutto questo pensare mi fece venire i brividi e quasi mi trattenni dal piangere. Perché a me? Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto questo?
Non avendo delle risposte alle mie domande cercai di concentrarmi su altro per cercare di distrarmi e di sviare soprattutto il mio cervello dal produrne delle altre. Non capivo sul serio e sapevo che era impossibile non pensarci ma ci provai lo stesso. Guardai i bambini che correvano da una giostra all’altra, cercando di arrivare per primi ed accaparrarsi il posto migliore, le madri apprensive che, nonostante parlassero e si divertissero tra loro, volgevano comunque sempre uno sguardo verso i bambini per soccorrerli subito in caso di bisogno, o almeno mi dava l’idea che fosse così. Notai pure gli insetti volare vicino ai fiori posti sulle aiuole, le farfalle, gli uccellini cantare, ma la cosa che mi fece sorridere di più era vedere una giovane coppia di ragazzi, che penso avessero la mia età o giù di lì, passeggiare per mano ridacchiando e sorridendo fra loro.
Ho sempre sognato di avere un ragazzo ma ancora nulla, nonostante avessi 18 anni ormai e lo so che l’amore non ha età, non rispetta le regole, arriva quando arriva, ma ero stanca di aspettare, volevo passeggiare mano nella mano anche io con un ragazzo, baciarlo, abbracciarlo, condividere esperienze con lui e soprattutto ricevere tutto l’amore che una persona può donare. Nella mia vita solo un ragazzo si interessò a me, l’unica cosa che mi fermò dal conoscerlo fu il commento di una cara amica. Mi raccontò che quel ragazzo non era normale, era un pazzo in poche parole, burbero, senza sentimenti e soprattutto aveva qualche rotella fuori posto, seguiva tutte le ragazze, sapeva dove fossero in quel preciso momento, riusciva a scoprire il loro numero di telefono e poi continuava a tartassarle finchè queste non cedevano e si lasciavano abbindolare da lui. Non era un brutto ragazzo, devo dire, solo non il mio tipo ecco.
La mia attenzione fu catturata da un ragazzo molto carino moro, che camminava in quel parco con una valigetta in mano, non gli avevo ancora visto il viso ma di spalle era carino, alto, magro e con le spalle larghe. I capelli erano corti e arruffati. Appena si girò però sbiancai. Lui era quel ragazzo lì.

Improvvisamente si fece tutto bianco attorno a me, non vidi più nulla solo un universo molto simile al precedente solo di color bianco e non nero. Ero come avvolta da una fitta nebbia bianca e nonostante provassi a muovere le braccia per levarla da me non ci riuscii, ero come intrappolata, chiusa al suo interno ed era impossibile muoversi di lì, cercare di scappare.
Ormai ero già scappata troppe volte ed incominciavo ad esserne stanca.
E fu allora che capii cos’era, la nebbia bianca che mi circondava era la mia mente in quel momento, un foglio bianco in cui poter scrivere il resto della mia vita dopo essermi risvegliata. Perché sì, io ero in coma.

 

 

Margherita Biasi

 

 

 

 

 

 

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