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Bookeater – Racconto di Paola

Chiara si guardò allo specchio e quello che vedeva, a cinquant’anni suonati, le piaceva. Aveva un’eleganza naturale, al di là di ciò che indossava, e un sorriso aperto ed affascinante, che colpiva chiunque al primo incontro. I capelli scuri si erano ingrigiti, ma li portava ancora lunghi e raccolti in una treccia. Non era bella, non nel senso comune del termine, ma emanava un alone di dolce sicurezza, di gentile fermezza che attirava e rassicurava chi le stava accanto. E, soprattutto, aveva una copia di “Guerra e pace” in edizione economica, ma tutta sua, ancora intonsa sul comodino.
Era stata una bimba serena, ma di una timidezza pazzesca, che la faceva sembrare distaccata e altera. In realtà, da bambina, aveva paura di tutto, tranne che del buio. Nell’oscurità si sentiva protetta e al riparo da tutti. Scendeva in cantina senza accendere la luce, a tastoni, come fosse stata cieca, le piaceva quel gioco. Ma poi, in cantina, nel suo rifugio segreto, accendeva tutte le luci, per ammirare la collezione di libri, fumetti e giornali di tutti i tipi che aveva radunato, tutte cose da ragazzi e bambini, da “Piccole donne” al “Corrierino dei Piccoli”, da “Viaggio al centro della Terra” a “Topolino” e “Zagor” e “Il Monello”. A Natale e ai compleanni chiedeva in regalo un libro a mamma e papà, ma anche a nonni, zii e amici e passava ore a leggere. Aveva imparato prestissimo, la mamma, pochi studi ma tanto entusiasmo, le aveva insegnato a distinguere le letterine, ad una ad una, ma il miracolo di metterle insieme era avvenuto quasi per caso, a cinque anni. Aveva in mano il giornale dei programmi televisivi. Negli anni sessanta, gli spazi pubblicitari in quella non invadente televisione avevano un titolo: GIROTONDO, ZIGZAG, TICTAC e il celeberrimo CAROSELLO, scritti così, a tutte maiuscole, proprio le lettere che le insegnava la mamma. TICTAC fu la prima parola letta, la prima conquista, la consapevolezza di un nuovo potere, il primo boccone di un cibo raffinatissimo e squisito che le dava sazietà per pochi istanti. Fece la sua parte anche il maestro Alberto Manzi, in televisione, che insegnava a leggere e a scrivere agli analfabeti. E anche ai bambini che non andavano ancora a scuola, ma questo Chiara volle dirlo di persona, al maestro, un giorno che lo aveva incontrato in spiaggia a Fregene. Di bambole ne aveva una sola, un maschio di nome Filippo, con i capelli di plastica disegnati sulla testa. Filippo ascoltava mentre Chiara leggeva a voce alta, prima lentamente, poi sempre più sciolta, dando alla voce intonazioni diverse a seconda dei personaggi. Arrivata in quinta elementare, aveva divorato tutto ciò che in casa era leggibile da una bambina e tutta la biblioteca della scuola. Tutti i sabati, fin dalla seconda classe, la maestra scendeva con la scolaresca nella stanza che raccoglieva tutti i libri disposizione degli alunni e permetteva loro di portarne a casa uno alla volta, registrando accuratamente il nome del bambino e il libro da lui scelto. Ma un sabato, a metà dell’anno scolastico, Chiara non prese neanche un libro e tornò in classe. La maestra non se ne accorse subito, ma, riguardando il registro dei prestiti, vide lo spazio bianco accanto al nome di Ricciardi Chiara. Decise di aspettare il sabato successivo e, nella confusione che si generava nella stanza, piena di ragazzini vocianti lasciati liberi per gli scaffali, seguì con attenzione solo Chiara. La bambina si guardò intorno, girando dappertutto e, con sguardo deluso, si mise di nuovo in fila con i compagni per tornare in classe, senza libro. La maestra Carla aveva gli occhi azzurro ghiaccio e un vocione tuonante che pietrificava anche i monelli più incalliti. Ma chiamando Chiara dolcemente da parte le disse: “Chiara, cosa succede? Non ti piace più leggere?”. Chiara, più bianca del suo grembiule, con l’angolo del fiocchetto rosa in bocca, cercava di diventare invisibile, e si guardava senza parlare la punta della scarpa, che disegnava archetti sul pavimento. “Chiara, cosa c’è?” la maestra non riusciva a capire, eppure ci voleva poco, bastava fare due più due, e lei, che era maestra, non ci arrivava!
Chiara prese un grande respiro e gli occhioni scuri spalancati si riempirono di lacrime, “Niente, maestra”. “Se piangi, qualcosa c’è” la maestra non aveva figli suoi, ma quei bimbi erano parte del suo mondo, non sopportava vederne uno soffrire, e poi proprio Chiara, così timida e indifesa. “Maestra, io, quei libri … li ho già letti tutti” la frase uscì dalla bocca della bambina come un soffio di vento ma nella testa della maestra risuonò come l’esplosione improvvisa, assordante e fragorosa del tuono. Le asciugò il naso con il fazzolettino ricamato che teneva nella manica del golfino e ritornarono in classe per mano, la bimba sconsolata, la donna mortificata.
“Dovete dirmi di sì” il direttore didattico e il consiglio riunito avevano ascoltato la maestra con poca disponibilità. Poi, il direttore, scocciato da tutto quel perorare, acconsentì. “Ma solo lei e in cambio dovrà fare qualcosa, piccole pulizie o altro”. “Ho già in mente una cosa” disse la maestra con lo sguardo più serio possibile a mascherare la gioia e la soddisfazione che provava. Il giorno dopo, appena suonata la campanella dell’intervallo, la maestra chiamò Chiara vicino alla cattedra. Per due cose si veniva convocati, o per cancellare la lavagna o per un rimprovero e Chiara si avvicinò con grande prudenza. La maestra aveva in mano una chiave, di quelle grosse, di ferro, tutte lavorate, da armadio, con attaccata una nappina rosa. “Sai cos’è questa?” Chiara non l’aveva mai vista. “Sai foderare i libri con la carta blu? Ti insegno. Dovresti foderare i libri della biblioteca delle maestre. Ne prendi uno, me lo fai vedere, lo porti a casa tua, lo foderi per bene con la carta che ti darò e me lo restituisci quando è pronto. Questa è la chiave dell’armadio, quello giù, vicino alle scale; puoi tenerla tu, ma non perderla”. La faccina di Chiara cominciò a rivelare che aveva capito, allargandosi in un sorriso riconoscente. E da quel momento le si aprì un mondo tutto nuovo. “Cime tempestose” e “Jane Eyre”, “La Cittadella” e “Orgoglio e pregiudizio” riempirono i suoi pomeriggi. Quando portò alla maestra “Guerra e Pace”, la maestra le disse di no, ma le procurò una riduzione per ragazzi, “Il romanzo di Natascia”. Chiara non era più riuscita a leggerlo, in tutti gli anni che erano venuti dopo, “Guerra e Pace”, presa tra il liceo e poi l’università e l’insegnamento e la famiglia, nonostante le centinaia di libri letti e gustati senza più ingordigia, ma c’era tempo per rimediare. La fame non passa mai.

 

Paola

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