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Attimi rubati – di Marco Rondoni

Il signor Bryan era affacciato alla finestra, completamente immerso nella luce accecante del primo pomeriggio.
“Entra pure Morgan. Ti stavo aspettando.” mi disse appena superai il pianerottolo della sua stanza.
Il signor Bryan, all’anagrafe John Thomas Bryan, era un uomo di mezza etá di origine inglese e proprietario della agenzia di scoop presso cui lavoravo. Grassoccio, capelli brizzolati e volto giovanile dove i tratti della maturità tardavano ancora a manifestarsi.
“Ho cercato di raggiungerla il prima possibile. Quando il lavoro mi chiama è impossibile tirarmi indietro.” risposi.
“Proprio per ciò ti reputo uno dei miei migliori uomini. Non a caso ho scelto te per questo lavoro.” disse lui. “Questa volta si tratta di beccare in flagrante un noto ufficiale delle forze di polizia.”

“Andiamo di bene in meglio vedo! Manca soltanto che ora lei mi chieda di pedinare il Presidente Obama!” controbattei io.
“Cosa vuoi che sia! Per te potrebbe anche essere un gioco da ragazzi. Non fare il difficile e ascolta quello che ho da dirti.“ disse lui e, con un gesto della mano, mi invitò a sedere sulla poltrona davanti alla sua scrivania.

La persona da mettere alla gogna era un nuovo esponente dell’arma della polizia. Grazie ad una soffiata, il signor Bryan, era venuto a conoscenza di una presunta relazione extraconiugale con una donna sposata di altrettanto elevato ceto sociale, ben conosciuta tra le classi alte dell’ ambiente cittadino.
“Signor Bryan mi perdoni. Lei lo sa che se riusciamo nell’impresa e pubblichiamo le foto possiamo ritenerci degli uomini morti?” dissi io.
“Morti ma con tanti soldi da poter vivere la vecchiaia nel lusso più estremo. Non ti fa gola una cosa del genere?” mi chiese.
“Preferirei vederla da un altro punto di vista se non le dispiace. In ogni caso non mi tirerò indietro. Farò il mio dovere fino alla fine.”

Quando uscii dal suo ufficio avevo tra le mani una busta enorme con dentro tutte le informazioni riguardanti il capitano di polizia.
Il nome del bersaglio era Alfredo De Vita. Era stato promosso da poco e, per la sua brillante carriera, aveva suscitato l’invidia e i malcontenti degli altri suoi colleghi che avrebbero voluto vedere loro stessi al suo posto di comando.
Come uomo pluridecorato l’unico vero amore della sua vita era il suo lavoro. Mai nessun eccesso, mai nessun vizio. Almeno fino a quando l’obiettivo della mia macchina fotografica lo ritrasse in frangenti in cui non si sarebbe mai dovuto trovare, neanche lontanamente.
Nel momento esatto in cui misi piede fuori dalla sede degli uffici del giornale, vidi scendere dal taxi una donna molto appariscente ma non per questo volgare, anzi elegante e raffinata.

Apparteneva a quella categoria di donne che non si accontentavano di una vita semplice con una casa, dei figli e delle vacanze da godersi dopo giorni e giorni di duro lavoro.
Era la classica donna che, consapevole della propria bellezza, poteva avere tutti gli uomini ai suoi piedi e manovrarli a suo piacimento per tenere alto il suo tenore di vita.
I nostri sguardi si incrociarono. Fu lei la prima a sorridermi e a rivolgermi la parola:
“Ciao Morgan. Come mai da queste parti?”
“Salve Paulina! Suo marito mi ha commissionato un lavoro da portare a termine il prima possibile.” risposi io. “A quanto pare me la devo vedere con qualcuno che se la spassa con la moglie di un altro”.
“Capisco. Deve essere una bella rogna.” disse lei. “Buon lavoro allora. Gli dico che ti ho incontrato appena salgo al piano di sopra.”
“Perché no. A presto!”
Più passava il tempo e sempre meno capivo cosa ci trovasse, la signora Paulina, di tanto interessante nel mio capo. Il signor Bryan di certo non brillava per simpatia. Forse proprio quella sua aria da eterno ragazzino gli portava punti a suo favore. Molto probabilmente fu questo che spinse lei ad unirsi a lui nel sacro vincolo del matrimonio.

Mentre pensavo a queste cose, percorrendo il lungo viale a piedi, intravidi la mia abitazione.
La giornata era tremendamente calda e per poter affrontare la restante parte avevo bisogno di rinfrescarmi e rilassarmi un po’.
Appena arrivai nel mio appartamento salutai Rocky, il mio cane. Un golden retriever adorabile a detta dei miei vicini. Aveva l’abitudine di alzarsi sulle zampe posteriori per allungare quelle anteriori. Sembrava davvero un combattente sul ring pronto a suonarle a qualcuno.
Mi diressi in cucina, mi allentai la cravatta e presi una birra ghiacciata da una confezione che tenevo abitualmente come scorta sul fondo del frigo. Mi sedetti sul divano e mandai giù il primo sorso. Nel frattempo Rocky si era seduto di fianco e mi fissava, come se anche lui volesse rinfrescarsi con quella roba che stavo bevendo.

Gliene misi un po’ nella ciotola e lo feci bere. Dopo la prima leccata continuava ancora a fissarmi affinchè gliene versassi dell’altra.
“Direi che può bastare per oggi, non ti pare?” gli dissi. “ Ho capito che sei un duro ma è meglio che tu e l’alcool viaggiate in direzioni opposte.”
Sembrava avesse recepito il messaggio tanto che si mise a cuccia senza più pretendere altro.
Voltandomi indietro guardai sulla scrivania la busta enorme in cui c’era vita e morte del mio bersaglio. Ciò mi riportò bruscamente alla modalità lavorativa estremamente metodica che mi caratterizzava tanto che iniziai subito a pianificare i dettagli dell’operazione: mi sarei mosso in tarda serata appena il capitano avesse terminato il suo turno per fare ritorno a casa. Sarebbe stato il momento migliore per coglierlo in flagrante in un suo supposto adulterio.

Ad immortalare ogni attimo ci avrebbe pensato la mia reflex, l’ultimo modello che avevo comprato, spendendo non poco, qualche giorno prima. Nell’eventualità che i sospetti del signor Bryan fossero stati fondati, quel nuovo aggeggio tecnologico avrebbe fatto il suo grande debutto.
Fino all’ora stabilita rimasi in casa ma non facevo altro che camminare su e giù. Non riuscivo a capire perché quella commissione mi portasse così tanto nervosismo. Eppure era uno dei tanti compiti che avevo sempre svolto da quando facevo questo lavoro. Semplicemente un caso come un altro. Ma sentivo che non era così. C’era qualcosa che risvegliava in me uno stato d’animo di irrequietezza.
Mancava ormai poco meno di mezz’ora prima che il capitano terminasse il suo turno.
Decisi di muovermi e di agire con calma. Feci un bel respiro e uscii fuori dal mio appartamento portando con me tutto quello che avrebbe potuto servire.

Saltai in macchina e, andando molto lentamente, mi ritrovai nei pressi della stazione di polizia. Accostai l’autovettura, non troppo vicino per evitare inutili e fastidiose domande da parte delle guardie all’ingresso. Spensi il motore a attesi che il mio bersaglio uscisse fuori dalla stazione.
Il capitano finalmente si palesò ai miei occhi. Nel suo portamento si leggeva diligenza e onore tanto che sembrava impossibile immaginare che una macchia nera sporcasse la sua moralità.

Quando uscì fuori dalla stazione non fece caso alla mia presenza. Salì in macchina e iniziò a muoversi verso una destinazione ignota.
Senza dare nell’occhio rimisi in moto e lo seguii ad una distanza di sicurezza di poco meno di un isolato.
Era evidente che qualcosa non quadrava. Invece di percorrere il tragitto più breve per arrivare alla sua abitazione allungò parecchio la strada fino a quando non si fermò vicino ad una palazzina semi abbandonata verso l’uscita della città. Fermata la macchina scese con noncuranza e si infilò nella porta di ingresso.

Parcheggiai dietro ad una siepe per evitare che potesse mettersi in allerta. A passo felino aggirai la palazzina piazzandomi vicino ad una finestra leggermente socchiusa ma che faceva intravedere perfettamente la figura del capitano. Rimasi in silenzio senza fare rumore aspettando che qualcosa succedesse o che qualche altra persona si facesse viva.
Ad un tratto il silenzio assordante fu spezzato dal rumore di un’altra macchina che si aggirava lì in zona.
Non passò neanche un minuto che vidi entrare nella palazzina una figura femminile.

Non poteva essere certamente la moglie poiché dalle foto fornitemi dal signor Bryan risultava avere una capigliatura bruna e una corporatura decisamente diversa dalla donna che avevo davanti ai miei occhi.
Anche se non riuscivo a scorgere il suo volto i suoi movimenti e i suoi modi di fare mi ricordavano qualcuno che avevo già visto, qualcuno di molto famigliare.
Quando un brivido freddo mi corse dietro la schiena realizzai che forse quella donna era l’ultima persona che avrei dovuto spiare da quella finestra.
Questi pensieri furono interrotti quando lei si avvicinò per baciare appassionatamente il capitano e, in quel preciso istante, riuscii a scorgere il volto di Paulina.
Quello che stavo vedendo avrebbe fatto molto male a più di qualche persona: sia il capitano che per il signor Bryan ne sarebbero usciti sanguinanti.
Cercai di rimanere quanto più lucido possibile puntando la reflex verso quella coppia di amanti. Una foto, un’altra foto ancora e poi un’altra. Un attimo di pausa e poi ancora altre foto.

Ero ben cosciente che ogni scatto sarebbe stata una pugnalata per il signor Bryan quando avrebbe visto quelle immagini.
Appena ebbi concluso il mio lavoro l’uomo e la donna si erano già separati e risaliti ognuno sulle proprie auto. Lasciai che si allontanassero prima di raggiungere la mia autovettura e dirigermi al laboratorio per sviluppare quello che avevo scattato.
Non persi un attimo di tempo nel preparare tutta la documentazione in modo tale che fosse tutto pronto per il giorno dopo.
Solo per un istante pensai che forse sarebbe stato meglio fare finta di nulla e lasciar cadere ogni sospetto, come se quella storia non fosse mai esistita. Solo una bufala. Una grande ed enorme bufala. Alla fine, in ogni caso, presi la mia decisione.

Il giorno seguente mi presentai all’ufficio del signor Bryan che mi accolse con un sorriso smagliante. Lo salutai in modo più caloroso del solito e gli misi sul tavolo la busta con il risultato del mio lavoro.
“Prima che la apra voglio che lei sia sereno, qualsiasi cosa ci sia lì dentro” gli dissi.
“Su andiamo! Basta con questi preamboli. Voglio la verità. E subito!” disse lui.
“Ok. Allora la apra!”

Levò i sigilli e prese in mano le foto. Le iniziò a guardare ad una ad una. Invece di farsi dominare dalla rabbia vidi che un sorriso beffardo si disegnò sul suo volto.
“Grazie Morgan.“ disse lui. “Sapevo già tutto. Volevo solo avere la certezza che fosse tutto vero. Tra me e mia moglie è finita da un bel po’. Non le porto rancore. È la naturale evoluzione di quello che è iniziato ad andare male da un po’ di tempo a questa parte. Ho voluto che fossi tu ad occupartene perché sapevo che saresti stato dalla parte della verità fino in fondo.”
Prese le foto e ad una ad una le bruciò con il suo accendino, buttando quello che rimaneva nel cestino affianco alla sua scrivania.
“ Ora cosa vuole che faccia?” dissi io.
“Ora vai in vacanza e mi mandi una bella cartolina dalla tua villeggiatura. Te lo sei meritato.” disse il signor Bryan.

 

 

Marco Rondoni

 

 

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