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William Faulkner, il mondo senza amore nella poesia “Dicembre: a Elise”

In occasione dell'anniversario di nascita di William Faulkner, vi proponiamo "Dicembre: a Elise", una poesia in cui l'autore racconta la bellezza di un amore che non c'è più, e la malinconia del mondo in sua assenza.

Il 25 settembre del 1897 nasceva in una cittadina del Mississippi William Faulkner, scrittore, sceneggiatore, poeta e drammaturgo statunitense vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1949. Lo ricordiamo attraverso “Dicembre: a Elise”, in versione originale “December: to Elise”, una poesia contenuta nella raccolta “Mississippi poems” che vi proponiamo nella traduzione curata da Vanni Bianconi. 

Dicembre: a Elise di William Faulkner

Dove si è involata la primavera che insieme conoscemmo?
Spogli sono i rami dello scorso anno; ma uno dei tuoi diti
io l’ho visto posarsi sui rigori dell’inverno
e mondarli della pioggia, e farli miti.

Se solo dall’albero del sonno le brune foglie dolenti,
se il rimpianto andasse a fondo con la primavera che muore
ogni giorno che goccia e duole non sarebbe più
un intero anno amaro e spoglio nel mio cuore.

Nell’inverno del mio cuore sei stata l’albero fiorito,
assai più dolce parve la primavera perché tardiva;
sei il vento che soffiò la primavera
in un giardino in rovina.

Sei stata la primavera intera, e maggio e giugno
nella tua carne germogliavano più splendidi, ma oppresso
è l’anno della pioggia ora e morti sole e luna,
e l’intero mondo è buio, O bellissima.

December: to Elise

Where has flown the spring we knew together?
Barren are the boughs of yesteryear;
But I have seen your hands take wintry weather
And smoothe the rain from it, and leave it fair.

If from sleep’s tree these brown and sorry leaves,
If but regret could drown when springs depart,
No more would be each day that drips and grieves
A bare and bitter year within my heart.

In my heart’s winter you were budding tree,
And spring seemed all the sweeter, being late;
You the wind that brought the spring to be
Within a garden that was desolate.

You were all the spring, and May and June
Greened brighter in your flesh, but now is dull
The year with rain, and dead the sun and moon,
And all the world is dark, O beautiful.

William Faulkner

William Cuthbert Faulkner, in origine Falkner, nasce a New Albany il 25 settembre 1897, nello Stato del Mississippi. Ritenuto fra i più grandi romanzieri della letteratura americana, è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1949. William Faulkner è autore di opere complesse, non di semplice lettura, opere caratterizzate da un’importante sperimentazione e dalla prosa ellittica piena di pathos. 

I periodi lunghi e la profonda introspezione psicologica rendono le opere di Faulkner uniche nel loro genere. Considerato, mentre era in vita, il rivale naturale di Ernest Hemingway – che era invece caratterizzato da uno stile estremamente minimalista -, William Faulkner ha concepito romanzi del calibro di “Sanctuary“, che ha scritto la storia della letteratura mondiale e con cui l’autore statunitense ha raccontato la corruzione e il male con toni gotici che anticipano il genere Pulp

Inoltre, William Faulkner è l’unico scrittore statunitense degli anni ’30 ad essere catalogato fra i Modernisti, per la sua vicinanza alle modalità di scrittura e ai temi peculiari di James Joyce, Virginia Woolf e Marcel Proust. 

“Sanctuary”, il capolavoro di William Faulkner

Siamo tra Mississippi e Missouri, nel pieno della Grande Depressione e del proibizionismo. Una casa “buia, desolata e meditabonda” persa tra boschetti di cedri e prati inselvatichiti, nasconde una distilleria clandestina gestita da una banda di magnaccia e sbandati. Qui un pomeriggio, con un accompagnatore già ubriaco, irrompe come un’aliena Temple Drake, studentessa diciassettenne “non più proprio bambina, non ancora donna”.

“Dritta come una freccia nel vestitino succinto”, il cappellino spinto all’indietro a sprigionare “quel che di licenzioso”, Temple innescherà un tragico domino di perversione e di morte. Momento fatale sarà l’incontro tra i suoi occhi “tutti pupilla” e quelli, simili a “due grumi di gomma”, del capobanda Popeye, dal volto perennemente contratto nella smorfia supplice di chi si accende una sigaretta dietro l’altra – un volto corrotto che porta incisa la perdita dell’innocenza di un intero Paese.

Dopo aver freddato un suo scagnozzo e deflorato la ragazza tra le mura sventrate del fienile, Popeye riuscirà a segregarla in un bordello di Memphis e a far incolpare del delitto uno dei suoi uomini; ma un beffardo contrappasso si abbatterà su di lui, lasciando il lettore scosso e attonito perché “forse è nell’istante in cui ci rendiamo conto, in cui ammettiamo che nel male vi è un disegno logico, è allora che moriamo”.

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