Tra le poesie più enigmatiche e profonde di Salvatore Quasimodo, “Visibile, invisibile” apre la raccolta La terra impareggiabile come una soglia sottile tra l’essere e il tempo. In pochi versi, il poeta ci guida in un paesaggio interiore fatto di memorie, domande e verità sospese. Un testo limpido e misterioso, che invita a guardare oltre ciò che appare.
“Visibile, invisibile” di Salvatore Quasimodo
Visibile, invisibile
il carrettiere all’orizzonte
nelle braccia della strada chiama
risponde alla voce delle isole.Anch’io non vado alla deriva,
intorno rulla il mondo, leggo
la mia storia come guardia di notte
le ore delle piogge. Il segreto ha margini
felici, stratagemmi, attrazioni difficili.
La mia vita, abitanti crudeli e sorridenti
delle mie vie, dei miei paesaggi,
è senza maniglie alle porte.Non mi preparo alla morte,
so il principio delle cose,
la fine è una superficie dove viaggia
l’invasore della mia ombra.
Io non conosco le ombre.
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Visibile, invisibile”
Nel 1958 Salvatore Quasimodo pubblica La terra impareggiabile, una raccolta che riunisce i componimenti scritti tra il 1955 e il 1958, nel pieno della maturità artistica.
Sono anni di riflessione e di consapevolezza: il poeta ha ricevuto il premio Nobel solo due anni prima, nel 1959, ma è già figura centrale della poesia europea del secondo dopoguerra. Dopo le urgenze civili della Resistenza e i toni aspri della raccolta Giorno dopo giorno, questa nuova stagione poetica si colora di una spiritualità più rarefatta, introspettiva, quasi metafisica.
La poesia “Visibile, invisibile” apre La terra impareggiabile come una soglia: è un testo-limite, che riflette sulla natura dell’esistenza, del linguaggio, del tempo.
Non più solo denuncia o memoria, ma una ricerca essenziale, che tiene insieme vita e morte, realtà e percezione, corpo e ombra.
È come se Quasimodo entrasse qui in una dimensione nuova, dove il paesaggio esterno si fa specchio di un mondo interiore che pulsa sotto la superficie delle cose. Non a caso, molte poesie di questa raccolta sembrano fatte di luce rarefatta, di silenzi, di presenze sottili: un passaggio tra mondi.
Lo stile della poesia
Lo stile di “Visibile, invisibile” è scarno ma intensissimo. Ogni parola sembra scelta con una precisione al tempo stesso razionale e lirica, come se il poeta volesse dire solo l’essenziale, ma senza rinunciare a una certa musicalità nascosta.
Il verso è libero, spezzato, spesso frammentario, ma mai oscuro: la sua densità si nutre più di evocazione che di oscurità. Quasimodo lavora sulla tensione tra opposti: visibile e invisibile, principio e fine, morte e permanenza.
Il linguaggio si fa verticale, capace di ospitare simboli senza piegarli all’allegoria. Le immagini sono improvvise, come scosse di senso: “la mia vita […] è senza maniglie alle porte” — un’immagine così semplice e insieme abissale. I versi non si rincorrono per accumulo, ma si isolano come frammenti di un pensiero che si fa largo a tentoni nella coscienza.
E poi c’è il tono: una voce che non grida, che non si compiace, ma che si limita a dire, con fermezza e lucidità. La poesia qui diventa luogo di confine, specchio tra ciò che si può nominare e ciò che resta nell’ombra.
Una poesia-soglia
“Visibile, invisibile” è un poema del passaggio. L’immagine iniziale del carrettiere all’orizzonte, “nelle braccia della strada”, introduce da subito una figura in movimento, in bilico tra ciò che appare e ciò che sfuma.
È il simbolo del poeta stesso, che avanza lungo il tragitto dell’esistenza, chiamato da voci lontane — “la voce delle isole” — che evocano origini, radici, forse una nostalgia per la Sicilia natale. Ma Quasimodo non è alla deriva: legge la propria storia come una “guardia di notte”, vigile nel buio, attento al passare delle piogge, delle ore, degli eventi.
La sua vita, racconta, è priva di maniglie: non può afferrarla del tutto, non può né aprirla né chiuderla. Eppure non c’è rassegnazione: c’è consapevolezza, c’è accettazione del limite e della soglia.
“Non mi preparo alla morte”: non per superbia, ma perché ne ha colto l’essenza — non come evento da temere, ma come “superficie” su cui si muove l’invasore dell’ombra. Eppure, proprio alla fine, Quasimodo afferma: “Io non conosco le ombre”.
È una dichiarazione misteriosa, disarmante: come se il buio non avesse potere su di lui, come se l’esistenza potesse essere colta solo nella luce, nel principio. Così, nella poesia che apre La terra impareggiabile, Salvatore Quasimodo ci offre un varco: un modo per abitare il mondo senza padroneggiarlo, per attraversarlo con stupore e limpida coscienza.