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“Una volta ti dissi” (1982), una tempestosa poesia d’amore di Alda Merini

"Una volta ti dissi" racconta la natura conflittuale dell'animo e dell'amore di Alda Merini. Una poesia potente che non può lasciare indifferenti.

“Una volta ti dissi:
non arrabbiarti, amore,
s’io son diversa”.

Inizia così la potente poesia con cui Alda Merini racconta la sua vita, il suo amore e il suo grande, enorme conflitto interiore. “Una volta ti dissi” è racchiusa nella raccolta Vuoto d’amore (Einaudi 1991), all’interno della sezione “Poesie per Charles”. I versi sono stati composti nel 1982.

“Una volta ti dissi” di Alda Merini

Una volta ti dissi:
non arrabbiarti, amore,
s’io sono diversa.
Forse sono una colonna di fumo,
ma la legna che sotto di me arde
è la legna dorata dei boschi,
e tu non hai voluto ascoltarmi.
Guardavi la mia pelle candida
con l’incredulità di un sacerdote,
e volevi affondarvi il coltello
e così la tua vittima è morta
sotto il peso della tua stoltezza,
o malaccorto amore.

Prendevo in giro l’ebrietà della forma
e sapevo che ero di lutto,
eppure il lutto mi doleva dentro
con la dolcezza di uno sparviero.
Quante volte fui scoperta e mangiata,
quante volte servii di pasto agli empi;
e anche tu adesso sei empio,
o mio corollario di amore.

Dov’è la tua religione
per la mia povera croce?

Una poesia che vive di contraddizioni

Ciò che immediatamente salta all’occhio durante la lettura di “Una volta ti dissi” è la potenza di versi che al contempo accarezzano e urlano. Come sia possibile questa coesistenza, non si sa spiegare.

È la tenerezza della consapevolezza, la delicatezza di un’anima ferita, la dolcezza di una donna che, nonostante il dolore e la paura, non si arrende al buio e combatte con lo strumento dell’amore e con quello della poesia.

Il lampo della malattia, così come il buio della reclusione, offuscano l’atmosfera del componimento e lo rendono vivace nel contrasto:

Forse sono una colonna di fumo,
ma la legna che sotto di me arde
è la legna dorata dei boschi,
e tu non hai voluto ascoltarmi.
Guardavi la mia pelle candida
con l’incredulità di un sacerdote,
e volevi affondarvi il coltello
e così la tua vittima è morta
sotto il peso della tua stoltezza,
o malaccorto amore.

Le immagini che si rincorrono, verso dopo verso, sono estremamente evocative e hanno a che vedere con i ricordi dell’autrice. La poesia, infatti, si consuma in un tempo passato. E forse è anche il tempo della memoria, unito alla malinconia che esso porta con sé, a rendere questo componimento così dolce nonostante la sofferenza che racconta.

Alda Merini

Alda Merini è nata a Milano il 21 marzo 1931. Poetessa e scrittrice, si è sempre distinta per l’impressionante intimità raccontata nelle sue opere. Voce tormentata dagli eventi del suo tempo e da un malessere interiore che ha sempre cercato di esprimere attraverso la scrittura, Alda Merini ha esordito giovanissima, a soli 15 anni, sotto la guida di Giacinto Spagnoletti, scopritore del talento artistico della ragazza.

Nel 1947 viene internata per la prima volta in una clinica, reduce dall’incontro con “le prime ombre della sua mente”. Da quel momento in avanti, la vita di Alda Merini è caratterizzata dal ricovero in varie case di cura, da periodi di desolata solitudine e silenzi inenarrabili.

Nonostante le difficoltà psichiche, Alda Merini è riuscita a lasciarci in eredità una vastissima produzione, fra versi, opere in prosa e aforismi, carica di profondità ed emozione, espresse in modo assolutamente distintivo e personale.

Le poesie di Alda Merini e i suoi aforismi sono diventati parte integrante della nostra cultura e del nostro immaginario collettivo proprio grazie alla forza evocativa di cui i versi di questa splendida autrice sono intrisi. Celeberrimo, fra tutti, il componimento “Sono nata il 21 a primavera”, reso famoso anche per merito della versione musicata e cantata da Milva (Milva canta Merini, 2004).

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