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“Un pianto nella camera vicina” (2010), la poesia di Mariangela Gualtieri sul mistero della vita

Si trova a pagina 100 di “Bestia di gioia” questa meravigliosa poesia in cui Mariangela Gualtieri indaga il mistero di esistere: “Un pianto nella camera vicina”.

“Chi siamo? Chi sei tu ora? Chi non sei?” Con “Un pianto nella camera vicina”, Mariangela Gualtieri parla al nostro cuore, raccontando di vita, di mistero, di rivelazione. Scopriamola insieme.

“Un pianto nella camera vicina” di Mariangela Gualtieri

Un pianto nella camera vicina.
Una bambina piccola si duole
d’un dolore che lei sola contiene.
Resta, nella notte piena, un rombo di città
voce di fondo di tutto l’insieme
delle faccende notturne umane.
Tutto ha un’aria di vigilia.
La candela è composta come una preghiera.
L’acqua nel bicchiere registra
i movimenti della scrivente mano
con un tremore, un rapido respiro.
Chi siamo. Chi sei tu ora. Chi non sei.
Qui la risposta è abbagliante.

Il significato di questa poesia

Dove leggere “Un pianto nella camera vicina”

Questi versi, nati a Tiruvannamalai durante un soggiorno in India, appartengono alla raccolta Bestia di gioia, pubblicata nel 2010 da Einaudi.

Una raccolta profondamente intima e spirituale, che rappresenta una tappa luminosa nella produzione poetica di Gualtieri. Bestia di gioia è un viaggio nell’umano e nel divino, nel quotidiano e nel sacro, dove la gioia non è leggerezza ingenua ma conquista attraversata dal dolore, presenza piena dopo l’assenza.

La poesia in questione, collocata in questo contesto, si presenta come un momento di sospensione, di veglia silenziosa e tremante. È notte, ma una notte abitata da respiri e presenze, da un pianto che filtra dalla stanza accanto e da domande che echeggiano dentro lo spazio raccolto del sé.

In questa cornice, la parola poetica si fa preghiera, ascolto, forma umile di sacralità, capace di registrare anche il più sottile tremore di un bicchiere, il lieve respiro dell’acqua che vibra accanto alla mano che scrive.

Una poesia intensa

Lo stile di Mariangela Gualtieri si distingue per la sua essenzialità intensa, per una lingua che riesce a essere insieme limpida e abissale.

In questi versi l’autrice ci guida con passo leggero ma deciso in un paesaggio interiore, dove ogni elemento – il pianto della bambina, la candela accesa, la città che ronza sommessa nel fondo – acquista un peso simbolico e quasi sacro. Gualtieri ha la rara capacità di rendere visibile l’invisibile, di trasformare l’atto poetico in uno spazio rituale.

Le immagini si dispiegano con delicatezza, senza compiacimento, eppure colpiscono come folgorazioni: l’acqua che “registra” il movimento della mano è già di per sé un’immagine potentissima, che contiene l’eco di una presenza attenta, di una materia che partecipa al gesto umano.

Il tono è quello di una contemplazione assorta, dove ogni parola è scelta con cura e silenzio, come si fa con i gesti nella veglia, quando si sa che la notte ascolta.

Qui, come in altri momenti della sua poesia, Gualtieri coltiva l’arte di dire poco per dire tutto, di affacciarsi sull’oltre senza nominarlo direttamente, ma lasciandolo intuire.

Il mistero di esistere

Il significato di questi versi si raccoglie intorno a un nucleo luminoso: la soglia. Tutto è in attesa, tutto è vigilia. La notte, da tempo della chiusura e del riposo, si trasforma in un tempo di rivelazione.

Il pianto della bambina è il battito iniziale di una nuova consapevolezza: il dolore che si esprime, che rompe il silenzio, è anche una chiamata. Ciò che era separato – la camera vicina, la voce della città, l’acqua nel bicchiere – diventa parte di un tutto vibrante, interconnesso, come se l’universo trattenesse il fiato per rispondere a una domanda che ancora non ha parole.

E quella domanda affiora, infine, in chiusura: chi siamo. Chi sei tu ora. Chi non sei. L’identità si frantuma, si interroga, si riflette nella luce abbagliante di un altrove.

Forse è proprio questo, il cuore della poesia: l’attimo in cui si sente che sotto ogni cosa vibra una presenza sottile, che la gioia e il dolore si tengono per mano, e che nel punto più intimo della notte qualcosa si rischiara, come una risposta che non arriva con le parole, ma con la luce.

In quella luce, tremante e vera, abita il mistero dell’esistere.

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