Ti sei stancata di portare il mio peso con questo verso esordisce nella sua poesia Nazim Hikmet dando voce a tutti coloro che almeno una volta nella loro storia d’amore si sono sentiti essere un fardello fastidioso.
Esiste un momento, in una relazione, in cui si percepisce un cambiamento. È la sensazione dolorosa e silenziosa di essere diventati un “peso”. Si capisce dallo sguardo dell’altro, o peggio, dalla sua assenza di sguardo.
Si avverte la stanchezza delle parole, delle abitudini, persino dell’ombra di chi si ha accanto. È un’esperienza che tocca quasi tutte le coppie prima o poi, quel momento in cui uno dei due teme di aver perso il proprio “posto” nel cuore dell’altro.
Ma non ci si rassegna a essere solo un fardello. Si reagisce. Si chiede attenzione. Si cerca disperatamente di ricordare all’altro chi si è, il valore che si aveva, il fuoco che si era. Si vuole rivendicare il vero “peso” della propria presenza, non quello della stanchezza.
Nâzım Hikmet ha vissuto questa esatta dinamica e lo rivela esplicitamente in Ti sei stancata di portare il mio peso, poesia che fu scritta il 31 maggio 1962 a Mosca e che fa parte della sezione In Esilio della raccolta Poesie d’amore, con la traduzione e al cura di Joyce Lussu e pubblicata da Mondadori nel 2006.
Ti sei stancata di portare il mio peso di Nazim Hikmet
Ti sei stancata di portare il mio peso
ti sei stancata delle mie mani
dei miei occhi della mia ombrale mie parole erano incendi
le mie parole eran pozzi profondiverrà un giorno un giorno improvvisamente
sentirai dentro di te
le orme dei miei passi
che si allontananoe quel peso sarà il più grave.
Yoruldun ağırlığımı taşımaktan, Nazim Hikmet
Yoruldun ağırlığımı taşımaktan
Ellerimden yoruldun
Gözlerimden gölgemdenSözlerim yangınlardı
Kuyulardı sözlerimBir gün gelecek ansızın gelecek bir gün
Ayak izlerimin ağırlığını duyacaksın içinde
Uzaklaşan ayak izleriminVe hepsinden dayanılmazı bu ağırlık olacak.
L’appello di Nazim Hikmet alla sua amata Vera Tulyakova
Per comprendere il senso di questa poesia, bisogna entrare ne contesto del periodo in cui Nâzım Hikmet nel 1962 la scrisse a Mosca.
La poesia di Nazim Hikmet è datata “Mosca, 1962”, ma diverse fonti precisano che fu scritta il 31 maggio di quell’anno. Nazim Hikmet è un uomo di 60 anni ed è in esilio. È un gigante della letteratura mondiale, ma è un uomo sradicato, lontano dalla sua amata Turchia, un uomo che vive in una terra straniera, per quanto amica.
Il suo cuore è malato, morirà appena un anno dopo (3 giugno 1963) e vive un’intensa storia d’amore, in quella solitudine moscovita, con la sua giovane moglie russa, Vera Tulyakova (30 anni).
Quando si incontrarono per la prima volta a Mosca nel 1955, c’era un abisso tra loro. Anagrafico, prima di tutto. Lui aveva quasi 30 anni più di lei. Lui era il poeta turco in esilio, malato di cuore, con un passato ingombrante di prigionia e con ben tre matrimoni alle spalle. Lei era una giovane redattrice russa.
Non fu un amore facile. Hikmet si innamorò subito, ma Vera era restia. Lui era ancora sposato. Lei stessa, nel tempo in cui lui la corteggiava, si sposò ed ebbe un figlio. Ma Hikmet fu implacabile: le diceva che era lei la donna che aveva sognato per tutti gli anni della prigione. Dopo un corteggiamento famoso (passato dai fiori ai “cetriolini sottaceto”, che lei adorava), Vera capì di amarlo.
Si sposarono nel 1960. Per Nazım, 60enne e malato, era come “vivere la giovinezza che gli era stata portata via”. Come scrisse Vera, avevano entrambi una “fretta disperata” di amarsi, sapendo che il cuore di lui poteva cedere da un momento all’altro.
Ma quella felicità, nel 1962, evidentemente incontrava qualche momento di crisi. Ed è qui che nasce la poesia di Nazim Hikmet.
I diverbi che finiscono per far emergere la stanchezza di Vera
La “fretta disperata” di amarsi fu interrotta da un evento traumatico per la coppia. Nel 1960 arrivarono a Mosca la precedente moglie di nazim Hikmet, Münevver Andaç, e il loro figlio Mehmet.
Per Vera, la giovane moglie trentenne, fu uno shock. Tutta la sua attenzione, prima dedicata al marito-amante, fu assorbita da questo dramma. Come scrisse lei stessa nei suoi diari, era stressata, gelosa, insicura e “stanca” di quella situazione.
Nazim Hikmet si trovò al centro di un uragano emotivo. Si sentì la causa di quella tensione. Vide lo sguardo di Vera cambiare: non era più l’amante appassionato, ma era diventato il “peso”. Un peso per la sua malattia, per il suo esilio e ora per il suo passato che invadeva il presente.
Questo non fu un ricongiungimento felice. Le biografie e i diari di Vera stessa confermano che lei visse questa situazione con profondo stress e insicurezza. La presenza del “passato” di Hikmet la rese tesa, gelosa e, come scrive il poeta, “stanca”.
Hikmet si trovò intrappolato. Si sentì la causa di quella tensione e, come è evidente dalla poesia, si percepì come un “peso”. Un peso per la sua età decisamente più matura, per la malattia ed ora un peso per il suo passato ingombrante che feriva la donna che amava.
L’Appello dell’Uomo Ferito
Ti sei stancata di portare il mio peso sembra rappresentare la fotografia di quel momento. È l’appello di un “uomo innamorato” e ferito che chiede attenzione.
I versi “le mie parole erano incendi / le mie parole eran pozzi profondi” sono la sua orgogliosa rivendicazione. Sta affermando con orgoglio la sua identità. Ricorda all’amata Vera ciò che lui è stato per lei prima. Il poeta rivendica la passione e la profondità che lei aveva amato.
E come molte volte accade fa sentire ancor più il peso del suo essere e delle sue convinzioni.
verrà un giorno un giorno improvvisamente
sentirai dentro di te
le orme dei miei passi
che si allontananoe quel peso sarà il più grave.
È la sua profezia tragica. È l’avvertimento di un uomo convinto del suo amore e dell’importanza della loro relazione. Guardando alle date le sue parole sembrando essere profezia. Forse sapeva di avere poco tempo e quell’amore in cui si vedeva come un fardello da sopportare, che generava stanchezza lo faceva soffrire.
Vera era tutto per lui, in lei vedeva l’amore vero, quello maturo, quello di chi avverte non ci sarà più un’altra storia così.
L’Eredità Postuma di un Appello
Nazım Hikmet morì, come la sua stessa profezia annunciava, appena un anno dopo aver scritto questi versi, il 3 giugno 1963. Non vide mai questa poesia pubblicata.
Il suo “appello” divenne un’eredità immediata in Italia. La poesia divenne celebre grazie alla storica antologia Poesie d’amore (Mondadori), curata magistralmente da Joyce Lussu e pubblicata per la prima volta nel 1964, ad un anno solo dalla morte del poeta.
Nella sua Turchia, invece, questi versi apparvero solo molto più tardi, nel volume postumo Son Şiirleri (1959-1963)” (Ultime Poesie), dato alle stampe nel 1970. Un ritardo che rende ancora più potente quell’avvertimento. La sua assenza, per il suo popolo e per chi lo amava, si era davvero trasformata nel “peso più grave”.
L’Appello alla Patria Perduta
Ma c’è di più. La genialità di questa poesia, come spesso accade in Nazim Hikmet, sta nella sua doppia lettura. Se la crisi personale con Vera Tulyakova fu la scintilla emotiva, l’esilio è il vero incendio che brucia sotto ogni verso.
Nâzım Hikmet è, prima di tutto, il poeta della nostalgia per la sua terra. Il “tu” a cui si rivolge (che in turco, lo ricordiamo, è grammaticalmente neutro, né maschile né femminile) potrebbe non essere la moglie. È forse la sua patria, la Turchia.
Riletta in questa chiave, la poesia assume una potenza diversa. Le sue parole, i suoi versi non sono solo quelle dell’amante Vera, ma la sua amata terra che non rivedrà mai più.
Persino “le orme dei miei passi / che si allontanano” diventa l’immagine letterale dell’esule, dell’uomo costretto a lasciare la sua terra per sempre.
L’avvertimento finale trascende così il dramma romantico. Non è solo un uomo che parla a una donna, ma è il più grande poeta turco del ‘900 che parla alla sua nazione.
Anche in questo caso le sue parole sembrano profezia. I versi sembrano comunicare al popolo turco “Ma verrà un giorno in cui sentirete il vuoto che ho lasciato, e il peso della mia assenza sarà il fardello più grave per la vostra coscienza”.
Tutto vero, l’amata patria che si era stancata di lui, malgrado il suo impegno a favore del suo popolo, si è dovuta pentire per l’attenzione mancata al suo poeta più grande.