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“Spesso il male di vivere ho incontrato” (1924), poesia di Eugenio Montale sulle angosce umane

Scopri il significato di “Spesso il male di vivere ho incontrato”, la poesia si Eugenio Montale sui malesseri della nostra civiltà.

Spesso il male di vivere ho incontrato di Eugenio Montale è una poesia che mette in scena l’ansia, l’angoscia, il malessere esistenziale del poeta e la relativa indifferenza che per il poeta è l’unica via di salvezza per poter sopravvivere

Il ruolo della poesia per Montale è farsi ambasciatrice di questo diffuso e incontrollato malessere umano che caratterizza sempre più la società contemporanea. Il ruolo della poesia e dei suoi versi deve vivere all’interno della realtà e, purtroppo, macchiarsi del male che vive in modo costante nel quotidiano.

Spesso il male di vivere ho incontrato fu scritta nel 1924 e fa parte di Ossi di seppia, raccolta di poesie di Eugenio Montale pubblicata nel 1925.

Immergiamoci in questa breve poesia di Eugenio Montale per coglierne il profondo e contemporaneo significato.

Spesso il male di vivere ho incontrato di Eugenio Montale

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Per sopravvivere al male di vivere bisogna immergersi nella divina indifferenza

Spesso il male di vivere ho incontrato è una poesia di Eugenio Montale che racconta una dura realtà. L’uomo contemporaneo vive nel malessere esistenziale. L’ansia. l’angoscia, le paure, il presentismo (ovvero la mancanza di guardare al futuro) sono imperanti nella società.

Purtroppo, il pensiero di Montale, se ci pensiamo questa poesia fu scritta un secolo fa, non ha lasciato nessun segno nella civiltà e mal grado il progredire del benessere e delle tecnologie che dovevano migliorare il mondo, il male di vivere continua a persistere come malattia dell’uomo moderno.

Il poeta ligure utilizza correlativo oggettivo, il concetto poetico elaborato nel 1919 da Thomas Stearns Eliot, che lo definì come “una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un’emozione particolare.”

Eugenio Montale nella poesia utilizza immagini che mutua dalla natura e dal contesto che lo circonda per raccontare, o meglio degfinire lo stato che caratterizza il suo mal di vivere.

La rappresentazione del mal di vivere della prima strofa

Il poeta genovese già dalla prima strofa sottolinea di aver incontrato durante la sua vita e di conoscere il male di esistere. Lo rappresenta attraverso il lamento del ruscello (“rivo) che costretto a passare da una strettoia (“strozzato”) inizia a gorgogliare, ovvero produce quel rumore discontinuo e sommesso, che tanto assomiglia al brontolare degli intestini umani, guarda caso molte volte stimolate propria dall’ansia.

Così come de “l’incartocciarsi della foglia” offrendo chiaramente come in un lento scorrere delle immagini l’inaridirsi della foglia, prosciugata dalla sua linfa vitale e costretta a finire la sua viva esistenza.

Il poeta per dare il senso di stanchezza che colpisce che vive il mal di vivere fa ricorso all’immagine di un cavallo che stramazza a terra.

L’indifferenza divina come rimedio per sopravvivere al male

Nella seconda strofa mette a crudo la reazione che il poeta adotta per sopravvivere alla maligna essenza del vivere.

Non avendo conosciuto niente di positivo e di buono, non gli resta che ricorrere all’estraneità, al distacco dai problemi e dalle attenzioni per gli altri.

Un privilegio riservato al divino, possono godere di tale stato solo gli dei, non a caso utilizza la lettera maiuscola per sottolineare l'”Indifferenza”.

Il poeta l’associa alla statua di pietra che osserva durante la sonnolenza del sonno del primo pomeriggio, alla lontana nuvola e in egual modo al falco che guarda con distacco gli uomini dall’alto del cielo.

Il reale che diventa racconto poetico grazie al contesto che ci circonda

Spesso il male di vivere ho incontrato è una poesia in linea con i contenuti e i relativi messaggi di Ossi di Seppia, ovvero raccolta che la contiene. Nella raccolta emerge un evidente pessimismo e il malessere dell’uomo del primo novecento che veniva fuori dalle atrocità della Prima Guerra Mondiale e dalle trasformazioni tecnologiche e sociali che si vivevano nell’epoca.

Se ci pensiamo lo stesso malessere sembra evidente anche nella nostra epoca, proprio per questo riteniamo la poesia di un’attualità esagerata.

Tornando alla lirica che abbiamo presentato, Eugenio Montale ci mostra una visione profondamente negativa dell’esistenza. Il poeta con maestria riesce a creare una metafora con gli elementi naturali per rappresentarci qualcosa di assolutamente non rappresentabile.

Il mal di vivere colpisce la psiche, l’anima e in alcuni casi fa emergere i suoi effetti anche nel fisico. Quindi, utilizzare il “Rivo”, la “foglia”, la “nuvola” e il “cavallo” per rappresentare qualcosa di intangibile alla vista rende ancora più evidente la maestria poetica di Montale.

Il paesaggio ligure, come da prassi nella poetica di Eugenio Montale, è stato il mediatore che ha permesso al lettore di vivere le inquietudini del poeta. E attraverso queste rappresentazioni di un reale “arido” e “irto” e allo stesso tempo essenziale la sua poesia è diventata testimone del malessere e dell’impotenza dell’uomo contemporaneo che vede sgretolare le proprie certezze di fronte al degrado culturale di una civiltà che ha deciso sempre più di farsi del male.

Il poeta non ha soluzioni o strade che conducono alla “salvezza”, ci trasferisce solo come unica difesa il distacco e l’indifferenza come terapia per sopravvivere alla vita in attesa della fine.

Non c’è nessuna via d’uscita se non saper guardare con distanza a ciò che ci travaglia. Una condizione che magari non può essere condivisa, ma che ha il dono di raccontare qualcosa di tangibile e che non può essere in nessun modo nascosta.

L’unico concetto divino che mette in campo l’autore e proprio l'”Indifferenza”, simile a quella che potrebbero possedere le divinità e che il poeta rappresenta attraverso l’immagine della “Statua”, della “Nuvola” e del “Falco”.

Ci mette anche quella dose di “sonnolenza del meriggio” che se ci pensiamo e assimilabile all’intorpidimento che creano alcuni “farmaci” utilizzati proprio nelle terapie psicologiche.

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