“Sonetto 68” (1609) di William Shakespeare, un inno alla bellezza semplice e transitoria

26 Marzo 2025

Con il “Sonetto 68”, William Shakespeare racconta un ideale di bellezza lontano dagli standard della nostra epoca, troppo interessata all’apparire.

“Sonetto 68” (1609) di William Shakespeare, un inno alla bellezza semplice e naturale

“Non è bello ciò che è bello. È bello ciò che piace”, direbbe qualcuno. Nell’epoca in cui gli standard fisici diventano sempre più pressanti per via dell’influenza di social media e cultura di massa, vogliamo condividere con voi “Sonetto 68” di William Shakespeare, un inno alla bellezza semplice e naturale, preziosa perché transitoria.

“Sonetto 68” di William Shakespeare

Così il suo viso è la mappa dei giorni consumati;
allorché la bellezza viveva e moriva come fanno i fiori,
prima che questi esemplari bastardi del bello
fossero nati, o avessero l’ardire di mostrarsi

sulla fronte di un uomo; e le trecce dorate delle morte,
legittima preda ai sepolcri, venissero recise e fatte vivere
una seconda volta su teste diverse, ed il vello defunto
della bellezza fosse sfoggiato da altri allegramente;

le ore benedette del passato si notano in lui
spogliate di ogni ornamento, naturali e autentiche,
non tali da fingersi estate con il verde altrui,
senza il furto di qualche vecchiume allo scopo
di rivestire a nuovo la propria bellezza.

E la Natura lo serba a modello, così da mostrare
all’Arte menzognera cos’era la bellezza in altri tempi.

Il significato di questa poesia

Dove leggere questa poesia

Il sonetto 68 fa parte di un gruppo di versi composti da William Shakespeare nel 1609. Sono in tutto 126 e prendono il nome di “The Fair Youth sequence”, poiché essi sono indirizzati a un giovane uomo.

Lo abbiamo letto nella traduzione curata da Roberto Sanesi, presente all’interno di “Sonetti”, che riunisce 154 testi poetici di William Shakespeare con uno scritto introduttivo di Oscar Wilde.

La forma e lo stile

Il sonetto di William Shakespeare segue la struttura tradizionale del sonetto inglese, composto da quattordici versi in pentametro giambico, suddivisi in tre quartine e un distico finale.

Il ritmo regolare e la rima incatenata tipica dei sonetti shakesperiani (ABAB CDCD EFEF GG) conferiscono musicalità e solennità ai versi.

Shakespeare utilizza un linguaggio evocativo, ricco di immagini che giocano sulla contrapposizione tra naturale e artificiale, antico e moderno, autentico e contraffatto. Il tono del sonetto è malinconico, quasi nostalgico, e si avverte una riflessione profonda sul passare del tempo e sulla trasformazione della bellezza attraverso le epoche.

Il destinatario del sonetto

Il sonetto 68 è indirizzato a un giovane uomo, figura centrale della raccolta dei “Sonetti” di Shakespeare, spesso identificato come il Fair Youth, il giovane bello e ideale al quale il poeta dedica numerosi componimenti.

Il ritratto delineato in questi versi è quello di un individuo che incarna una bellezza autentica, non adulterata dalle convenzioni artificiali del tempo.

Il poeta sembra confrontarlo con le tendenze moderne che tentano di replicare o preservare la bellezza attraverso mezzi artificiali, come le parrucche fatte con i capelli dei defunti.

Questo giovane, invece, rappresenta la purezza e la semplicità di un’epoca in cui la bellezza era spontanea e sincera, e non richiedeva artifici per essere ammirata. L’uso dell’immagine del volto come “mappa dei giorni consumati” suggerisce che il giovane porta in sé la memoria di un tempo passato, come un testimone vivente della bellezza autentica.

Cos’è la bellezza per Shakespeare

Il concetto di bellezza che Shakespeare veicola in questo sonetto è intrinsecamente legato alla natura e alla verità, in contrapposizione con l’arte artificiosa e ingannevole.

La bellezza genuina è destinata a svanire con il tempo, come i fiori che nascono e muoiono, ma è proprio questa transitorietà a renderla preziosa.

La critica dell’arte “menzognera” emerge con forza, suggerendo che ogni tentativo di imitare o preservare la bellezza attraverso stratagemmi esterni non può eguagliare la magnificenza dell’originale.

La chiusura del sonetto sottolinea il ruolo del giovane come modello per la natura stessa, un esempio di quella bellezza originaria che l’arte non può ricreare.

Shakespeare sembra quindi suggerire che la vera bellezza non risiede nella sua riproduzione, ma nell’accettazione della sua natura effimera e autentica.

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