Sonetto 116 di William Shakespeare: l’amore autentico non è quelllo “usa e getta”

4 Novembre 2025

"Cosa definisce l'amore autentico? Un'analisi del "Sonetto 116" di Shakespeare come manifesto contro la cultura "usa e getta" e l'amore liquido."

Sonetto 116 di William Shakespeare: l'amore autentico non è quelllo "usa e getta"

Sonetto 116 di William Shakespeare è una poesia che non esplora la scintilla dell’innamoramento, ma la fiamma che rende l’amore duraturo. Presenta un ideale quasi provocatorio, un amore che non è negoziabile, non scade e non si piega alle convenienze. È la definizione di un sentimento così assoluto e costante da resistere a qualsiasi tempesta, al cambiamento e persino allo scorrere del tempo.

Nell’era dello swipe, dove le connessioni umane sono spesso mediate da un algoritmo e trattate con la stessa logica di un prodotto a scadenza. Relazioni e legami veloci, superficiali e, al primo segno di imperfezione, facilmente sostituibili. È il trionfo dell’amore “usa e getta”, un sentimento liquido, comodo, ma fondamentalmente vuoto.

Oltre 400 anni fa, molto prima che questa logica del consumo dell’amore “tecnologico” invadesse le vite degli umani, William Shakespeare ha scritto un testo che agisce come un antidoto.

Sonetto 116  fa parte della raccolta di poesie Shake-Spears Sonnets (I sonetti di Shakespeare) che comprende un totale di 154 sonetti. L’intera raccolta fu pubblicata per la prima volta nel 1609 a Londra, in un volume in-quarto (un formato di stampa) dall’editore Thomas Thorpe. Il frontespizio originale recitava SHAKE-SPEARES SONNETS. Never before Imprinted (Sonetti di Shake-speare. Mai stampati prima).

Leggiamo questa visionaria poesia di William Shakespeare per comprenderne l’importante significato.

Sonetto 116 di William Shakespeare

Al matrimonio di anime leali
non pongo intralci. Non è amore quello
che cambia quando incontra un cambiamento
o devia, terminando, se è tradito.
L’amore vero è un faro sempre fisso
che non vacilla mai nella tempesta;
ed è la stella di ogni nave errante,
di altezza nota e forza sconosciuta.
Il tempo non lo beffa, benché labbra
e gote rosee annienti con la falce;
non lo mutano i suoi fugaci istanti,
ma dura fin sull’orlo del Giudizio.
Se mi sbaglio e il mio errore è dimostrato,
mai non scrissi e nessuno ha mai amato.

 

Sonnet 116, William Shakespeare

Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments; love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove.
O no, it is an ever-fixèd mark
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height
be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and weeks,
But bears it out even to the edge of doom.
If this be error and upon me proved,
I never writ, nor no man ever loved.

L’amore è per sempre come il più prezioso dei diamanti

In un mondo in cui tutto è liquido, il Sonetto 116 è il monumento dell’amore autentico, quello vero, quello che non si esaurisce al primo lavaggio. In questa poesia William Shakespeare non sta descrivendo una cotta passeggera; sta definendo un amore che ha la stessa indistruttibilità e lo stesso valore assoluto di un diamante.

Mentre la cultura “usa e getta” scarta al primo difetto, la poesia di Shakespeare tende a mostrare l’essenza vera dell’amore che non ha niente a che fare con la perfezione. Il Bardo inglese nel suo Sonetto lo fa in quattro passaggi chiave.

1. La Prova del Cambiamento. L’Amore non è convenienza

Shakespeare apre il sonetto in modo analitico, quasi filosofico, piuttosto che puramente sentimentale. Stabilisce fin da subito i termini del suo argomento. La prima riga chiarisce immediatamente il soggetto:

Al matrimonio di anime leali
non pongo intralci.

Il poeta non si riferisce a corpi perfetti o a situazioni ideali, ma a “anime leali”, nell’originale inglese true minds. L’accento è posto su una connessione intellettuale e spirituale profonda, escludendo di fatto l’attrazione superficiale o l’interesse passeggero.

Dopo questa premessa fondamentale, il poeta introduce la sua prima, potente definizione per negazione:

Non è amore quello
che cambia quando incontra un cambiamento

Questi versi vanno dritti al cuore del contrasto con la cultura contemporanea. La logica dello swipe ha abituato la società a una sorta di intolleranza verso l’imperfezione. Il “cambiamento” che Shakespeare descrive può manifestarsi in molteplici forme. Può essere la fine naturale della passione chimica iniziale, la cosiddetta “luna di miele”. Può trattarsi di un mutamento fisico dovuto all’invecchiamento o alla malattia, oppure di un cambiamento nelle circostanze della vita, come una crisi finanziaria o un periodo di difficoltà emotive.

L’amore “usa e getta” interpreta questi inevitabili mutamenti come difetti fatali, quasi come errori di un prodotto che giustificano la sua sostituzione. Si rivela così un amore profondamente condizionato, basato sulla premessa non dichiarata “ti amo finché” resti attraente, divertente o privo di problemi.

Shakespeare ribalta completamente questa logica. Per il poeta, l’amore autentico non è definito dall’assenza di difficoltà, ma precisamente dal modo in cui reagisce ad esse. Se un sentimento svanisce alla prima avversità, dimostra semplicemente di non essere mai stato amore. Era, forse, solo un contratto di convenienza mascherato da affetto.

La strofa si chiude con un’ulteriore specificazione. L’amore vero non:

…devia, terminando, se è tradito.

L’originale inglese, “Or bends with the remover to remove”, è forse ancora più profondo. Suggerisce che l’amore autentico non è reattivo. Non si piega né si ritira semplicemente perché l’altra persona si sta allontanando o commette un errore.

Mentre l’amore “usa e getta” funziona come un’economia emotiva, dove a un passo indietro dell’uno corrisponde un passo indietro dell’altro, Shakespeare definisce un sentimento che possiede una propria integrità indipendente. È una stabilità che non dipende dalle azioni momentanee dell’altro, ma che esiste di per sé.

2. Il Faro Immobile. L’Amore è una scelta, non una tempesta

Dopo aver definito l’amore per ciò che non è, William Shakespeare passa a definirlo per ciò che è. Se l’amore non è un sentimento reattivo e mutevole, deve allora essere una forza stabile e proattiva. Il poeta lo fa attraverso due metafore nautiche che sono diventate immortali.

L’amore vero è un faro sempre fisso
che non vacilla mai nella tempesta;

L’immagine è potente. La vita, le relazioni, le passioni umane sono la “tempesta”. Sono caotiche, violente e imprevedibili. L’amore “usa e getta” è parte integrante di questa tempesta, è l’emozione del momento, l’infatuazione che travolge e altrettanto rapidamente scompare.

Shakespeare afferma che l’amore autentico è l’esatto opposto. Non è la tempesta, ma il “faro sempre fisso” che permette di attraversarla. La sua caratteristica principale non è l’intensità, ma la stabilità. È un punto di riferimento che non vacilla, una luce che offre guida e sicurezza proprio quando le acque sono più agitate.

La seconda metafora rafforza questo concetto. L’amore è:

… la stella di ogni nave errante,
di altezza nota e forza sconosciuta.

Se lumano contemporanei nella cultura dello swipe è la “nave errante”, che vaga senza meta da un profilo all’altro, l’amore autentico è la “stella polare”. È il punto celeste fisso che per secoli ha dato ai marinai una direzione certa. Anche qui, l’amore non è un sentimento passeggero, ma un principio di navigazione. Diventa una scelta consapevole, la decisione di essere un punto fermo e affidabile nel caos.

Il messaggio è chiaro. L’amore non è la tempesta (la passione travolgente e caotica), ma il faro che permette di attraversarla. Non è la nave che vaga senza meta, ma la stella polare che le dà una direzione. L’amore autentico, per Shakespeare, non è un’emozione che subiamo passivamente, ma un punto fermo che noi decidiamo di essere.

3. La Sfida al Tempo. L’Amore sconfigge anche la morte

Nella terza quartina, Shakespeare affronta il più grande alleato dell’amore “usa e getta”. Il tempo. La cultura moderna è ossessionata dalla giovinezza e dalla bellezza fisica, valori intrinsecamente fugaci. L’interesse spesso svanisce non appena il tempo inizia a lasciare i suoi segni.

Il poeta affronta questo nemico frontalmente, personificando il Tempo quasi come un Cupo Mietitore.

Il tempo non lo beffa, benché labbra
e gote rosee annienti con la falce;

L’amore autentico “non lo beffa”, nell’originale “Love’s not Time’s fool”. Non è lo “sciocco” del Tempo. Non si lascia ingannare dalla superficialità di “labbra e gote rosee”, perché sa che il Tempo, con la sua “falce”, inevitabilmente le distruggerà.

La cultura dello swipe è quasi interamente basata su quelle “labbra e gote rosee”, sull’impatto visivo immediato di un’immagine. È, per definizione, la “folle del Tempo”. Shakespeare la liquida come irrilevante.

Un amore fondato sulle “anime leali” della prima strofa non si misura in base all’aspetto esteriore. Per questo motivo:

non lo mutano i suoi fugaci istanti,
ma dura fin sull’orlo del Giudizio.

L’amore vero non si conta in “fugaci istanti”, ore o settimane. Trascende il tempo cronologico. Non dura solo a lungo, dura per sempre, “fin sull’orlo del Giudizio”, cioè fino alla fine dei tempi.

4. La Scommessa Finale. O è così, o non è niente

Dopo dodici righe di definizioni così assolute e intransigenti, William Shakespeare anticipa lo scetticismo del lettore. Conclude il sonetto con un distico finale che agisce come un sigillo logico, una scommessa retorica.

Se mi sbaglio e il mio errore è dimostrato,
mai non scrissi e nessuno ha mai amato.

un all-in intellettuale. Il poeta sta affermando che se questa sua definizione dell’amore come faro eterno e immutabile fosse un errore, e se qualcuno potesse provarlo, allora due cose assurde sarebbero vere. Primo, che lui non ha mai scritto nulla, un’evidente falsità dato che il lettore sta leggendo le sue parole. Secondo, che nessun essere umano ha mai provato il vero amore.

Con questa mossa, Shakespeare eleva la sua definizione da opinione personale a verità universale. È l’ultima, definitiva stoccata alla cultura della superficialità. Per il Bardo non esistono mezze misure. O l’amore è questo ideale indistruttibile, o non è affatto amore. È lo standard assoluto contro cui ogni sentimento “usa e getta” viene misurato e, inevitabilmente, trovato mancante.

L’amore del Sonetto 116  è il “faro sempre fisso” che resiste all’amore liquido

Come può un testo scritto oltre quattrocento anni fa, in un’epoca senza elettricità e tanto meno senza Internet, parlare con tale precisione alla nostra società iper-tecnologica? La risposta è che il Sonetto 116 non è un semplice poesia ma, come molte opere del grande Bardo, è un’analisi filosofica della natura umana.

Shakespeare, con un’intuizione che precorre i secoli, ha identificato il punto di rottura fondamentale dell’amore: lo scontro tra il desiderio di stabilità e la paura del vincolo.
È esattamente questo il dilemma che il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman ha definito, nel nostro tempo, “Amore Liquido“.

Bauman ha descritto la nostra come una “modernità liquida”, una condizione in cui ogni legame solido (famiglia, lavoro, identità e, soprattutto, amore) è visto con sospetto. In questa società, l’impegno “per sempre” è percepito non come una sicurezza, ma come una minaccia alla libertà individuale. Le relazioni diventano merci da “consumare”, proprio come un prodotto “usa e getta”. Devono essere leggere, senza impegno, con una chiara via d’uscita.

È la paura di “ancorarsi”. Ma l’intero sonetto di Shakespeare è una celebrazione dell’ancoraggio.

Quando Bauman descrive l’uomo moderno come terrorizzato dall’idea di legarsi a un porto, Shakespeare offre l’immagine opposta. L’amore non è la catena, ma il “faro sempre fisso”. L’uomo “liquido” di Bauman è la “nave errante” di Shakespeare, che però ha smesso di cercare la “stella” fissa, preferendo vagare nel buio per paura di dover scegliere una destinazione.

Il Sonetto 116 agisce come un perfetto specchio diagnostico. Mostra che l’attuale cultura dello swipe non ha inventato un nuovo tipo di amore. Ha semplicemente scelto di praticare, su scala di massa, tutto ciò che William Shakespeare aveva già identificato come non-amore.

Studiosi contemporanei come la sociologa Eva Illouz hanno analizzato come il capitalismo abbia trasformato l’amore in un mercato di scelta e autorealizzazione. Altri, come il filosofo Byung-Chul Han, parlano di una “agonia dell’Eros”, dove l’altro non è più un mistero da scoprire ma una superficie levigata su cui proiettare i nostri desideri, facile da “scartare” quando non ci gratifica più.

In questo contesto, il Sonetto 116 non è un’ingenua poesia romantica. È un manifesto di resistenza. È la dichiarazione, radicale oggi come allora, che l’amore non può coesistere con la logica del consumo. O è un impegno assoluto che resiste al tempo e ai cambiamenti, o, come ci avverte Shakespeare nel suo ultimo, inesorabile distico, non è amore affatto.

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