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“Settembre” (1938), l’originale poesia di Vittorio Sereni sul coraggio di affrontare la fine

La fine estate diventa metafora della fine della vita nella poesia "Settembre" di Vittorio Sereni. Il coraggio diventa essenziale per vivere.

Settembre di Vittorio Sereni è una poesia che, attraverso la metafora della fine dell’estate e dell’arrivo dell’autunno, mette in evidenza il “senso della fine” e del “viaggio verso l’ignoto”.

Settembre è il simbolo di uno stato d’animo che va in sospensione, inizia a fluttuare in un mondo indefinito che finisce per generare un senso di paura riguardo al divenire.

Sereni scrive una prima versione della poesia, più lunga nella sua redazione, nel settembre del 1937. Ma, il poeta di Luino dovette ripensare al testo della poesia e ripulirlo, per offrire al lettore un nuova versione più breve e allo stesso tempo stilisticamente migliorata, nel 1938-40.

Settembre nella versione definitiva fa parte di Frontiera la prima raccolta poetica di Vittorio Sereni, che comprende testi scritti tra il 1935 e il 1940, la quale fu pubblicata per la prima volta a Milano per le edizioni di “Corrente” nel febbraio del 1941.

Ma, leggiamo questo splendida poesia sulla fine dell’estate per apprezzarne il profondo significato.

Settembre di Vittorio Sereni

Già l’olea fragrante nei giardini
d’amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia
d’aride cose,
di remi infranti, di reti strappate.
E il vento che illumina le vigne
già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una dubbiosa brulicante estate.

Nella morte già certa
cammineremo con più coraggio,
andremo a lento guado coi cani
nell’onda che rotola minuta.

La metafora della fine della vita e il coraggio di affrontare la morte

Settembre di Vittorio Sereni è una poesia che mette in scena “la fine della vita”, attraverso la metafora della fine dell’estate.

Quando arriva il nono mese dell’anno la malinconia sembra esplodere nel cuore, anche perché l’intensa vitalità estiva, lascerà presto spazio ai più “fermi” e tristi bui giorni dell’autunno e soprattutto dell’inverno a seguire.

Il poeta scrive questa breve ma intensa poesia mentre è nella sua Luino, una cittadina in provincia di Varese, sulla sponda orientale del Lago Maggiore.

Vittorio Sereni, ispirandosi molto alla poetica di Umberto Saba, si immerge nel paesaggio della sua Luino, per condividere il proprio pensiero, le proprie emozioni, il proprio stato d’animo, attraverso immagini ed esperienze colte dal vivo.

L’esperienza sensoriale che accompagna alla fine

La poesia inizia facendo “vivere” un’esperienza olfattiva che accende i malinconici ricordi estivi. Il profumo dell’Olea, in botanica olea fragrans, si diffonde proprio nel mese di settembre tra le ville e i giardini di Luino. Quegli odori sono indissolubilmente  connessi con la fine dell’estate.

Quindi quel profumo offre vigore a “l’amarezza che punge”, ovvero alla consapevolezza che i giorni della vita estiva sono giunti ormai alla fine. L’amarezza sale viva nell’animo del poeta, la vitalità dell’estate ha dato positività ai suoi sentimenti.

Quei profumi lo avvertono che la stagione estiva è ormai chiusa e si apre l’autunno dell’esistere.

Per ribadire che è arrivato settembre, Sereni passa dall’olfatto alla vista è qui e descrive come il lago dopo i mesi di caldo estivo si è ritirato e in spiaggia non restano che “aride cose”, ovvero i resti del vigore “remi infranti” e dell’operosità “reti strappate” tipiche dell’estate.

Quella spiaggia che prima dettava vitalità, frenesia, movimento adesso non lascia all’autunno che inutili resti. La “bellezza” lascia spazio a degli inutili rottami che oggi sarebbero anche indicati come dannosi per l’ambiente.

Tutto questo non fa che dare linfa ai malinconici ricordi, che prendono il sopravvento, portando malessere nell’anima e altre  emozioni negative che il poeta esprime nei versi successivi.

Il panico, la paura sono sensazioni che si avvertono quando ci si rende conto che può esserci una fine. Ci si sente come in sospensione tra ciò che era vita e luce e ciò che invece non ha colore. Il buio si inizia ad insinuare nell’anima e si avverte un senso di stordimento che non può che generare paura.

Come un bravo meteorologo, Vittorio Sereni con le parole ci “filma” questa sensazione cogliendo il “vento” settembrino con la sua virulenza continua a spostare le nuvole, lasciando in tal modo filtrare i raggi del sole e in questo senso “illumina” i vigneti.

Questo incedere della variabilità tipica del tempo di fine estate è il segnale per Sereni che a breve l’incertezza del meteo sarà sostituita con la stabilità del brutto tempo. Le nubi non saranno più sparse e non offriranno più spazio ai raggi solari. Il buio prenderà il sopravvento, anche nell’anima.

Il coraggio nasce dal prendere coscienza che si va verso la fine

Ma, come per incanto nella seconda strofa, emerge la certezza della fine, dalla quale sembra scaturire una sicurezza nuova nell’incedere lungo la vita che rimane da vivere.

Nella morte già certa
cammineremo con più coraggio.

Tuttavia, è chiaro nel finale il senso dell’affievolirsi dell’energia vitale, “andremo a lento guado coi cani” e il cammino che conduce all’ignoto seguirà l’inerzia dell’esistenza, “nell’onda che rotola minuta”, nell’attesa dell’incontro con il buio assoluto.

Quando si prende coscienza che siamo diretti verso la fine, il coraggio è l’unica arma che ci resta per affrontare il cammino. Tutto si cerca di rendere più lento, come appunto l’onda che dovrebbe portarci verso l’altra riva che tende a diventare sempre più minuta.

La paura dovuta allo scossa violenta che si avverte quando si ha coscienza che esiste la fine, finisce per essere affrontata con una determinazione che è dettata dall’istinto di dover a tutti i costi sopravvivere.

La “luce estiva” deve per forza lasciare spazio all’inerzia del buio dell’esistenza, pensa il vivere un continuo malessere che arriva dalla paura della morte.

Il correlativo oggettivo l’espediente poetico che rende vive le emozioni del poeta

C’è da notare che l’elemento descrittivo ristretto nella prima strofa della poesia di Vittorio Sereni è perfettamente interiorizzato e i tratti del paesaggio costituiscono il correlativo oggettivo, ovvero come lo definì nel 1919 Thomas Stearns Eliot “una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un’emozione particolare che vive nell’animo del poeta.

Tale correlativo oggettivo reagisce rapidamente per giustapposizione, con l’ansia esistenziale del finale e con la rivendicazione del coraggio di guardare in faccia consapevolmente la morte.

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