Ci sono eventi che diventano un vero e proprio spartiacque nella nostra vita. Ci sembrano cambiamenti epocali, momenti fuori da ogni catalogazione. E se invece non ci fosse nulla di straordinario? Se invece fosse parte di un copione già scritto che si ripete ciclicamente? Con “Senza titolo”, Wislawa Szymborska racconta proprio questo, prendendo spunto dalla fine di un amore.
“Senza titolo” di Wislawa Szymborska
Rimasero talmente soli,
talmente senza parole
e degni di miracolo per tanto disamore –
di un fulmine dal cielo, d’esser mutati in pietra.
Milioni di copie di mitologia greca,
però non c’è salvezza per lui come per lei.Se almeno ci fosse qualcuno sulla porta,
se qualcosa, per un attimo, apparisse, sparisse
lieto, triste, da ovunque venisse,
fonte di riso o timore, che importa.Ma non accadrà nulla. Nessuna improvvisa
inverosimiglianza. Come in un dramma borghese,
questo sarà un lasciarsi del tutto regolare,
neanche un apriti cielo per solennizzare.Sullo sfondo solido della parete,
l’un per l’altro dolente,
stanno di fronte allo specchio, e lì c’è
solo il riflesso conveniente.Solo il riflesso di due persone.
La materia sta sull’attenti.
Per quanto è lunga e larga, e alta,
in terra, in cielo e ai lati
vigila i destini innati
– quasi che per una cerbiatta repentina nella stanza
dovesse crollare l’Universo.
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Senza titolo”
Nel 1962, con la raccolta Sale, Wislawa Szymborska affina il suo sguardo disincantato e ironico sul mondo.
Questo libro segna un punto di svolta: i toni si fanno più asciutti, più filosofici, mentre l’attenzione della poetessa si sposta sempre più verso le crepe dell’esperienza quotidiana, i dettagli apparentemente minimi in cui si nascondono verità abissali.
“Senza titolo”, poesia curiosa già nella scelta di non darsi un nome, si inserisce perfettamente in questo percorso. È una riflessione su una rottura, o meglio, sulla sua assoluta mancanza di eccezionalità.
Ma Szymborska sa cogliere l’eccezionale nel banale, e con una grazia spietata trasforma un congedo amoroso in una meditazione sull’assenza di miracoli. La traduzione di Pietro Marchesani, nella raccolta La gioia di scrivere (Adelphi), mantiene intatta la sobrietà e l’intelligenza del testo originale, riuscendo a restituire la levità che nasconde il peso delle domande fondamentali.
Lo stile della poesia
Lo stile di Wislawa Szymborska è, come sempre, preciso come una lama eppure vibrante come un sismografo.
La poesia si apre con l’immagine di due persone “talmente sole e senza parole”, abbandonate persino dal disamore, in un silenzio che sembra meritare una punizione mitologica: un fulmine, la pietrificazione.
Qui la poetessa gioca con l’ironia, evocando “milioni di copie di mitologia greca” come se fossero romanzi rosa da supermercato, svuotati del loro potere salvifico. La delusione è quasi cosmica: “se almeno ci fosse qualcuno sulla porta, qualcosa che appare e scompare”, una rivelazione, una rottura nella trama del reale. Invece niente. L’evento straordinario che avrebbe potuto cambiare tutto non accade.
L’inverosimiglianza non si presenta, e ciò che resta è una separazione “del tutto regolare”, priva persino di un segno dal cielo. La scena è immobile, borghese, persino domestica: due figure davanti a uno specchio che restituisce “solo il riflesso conveniente”.
La materia – tutto ciò che è, il mondo stesso – sembra trattenere il fiato, pronta a crollare per un’impossibile apparizione: “una cerbiatta repentina nella stanza”. L’immagine, delicata e surreale, è l’unico fremito che ci viene concesso, eppure è solo un’ipotesi, un’illusione che non si realizza.
Il miracolo esiste?
Il significato di “Senza titolo” si nasconde proprio nell’assenza, nell’attesa del prodigio che non arriva, nel desiderio di un senso più grande che si ostina a non manifestarsi.
La poetessa ci mostra quanto sia ordinario anche l’evento che, nei nostri cuori, dovrebbe essere tragico o epocale: la fine di un amore. Nessuna catastrofe, nessuna frattura del reale. Solo due persone davanti a uno specchio, in una stanza dove tutto è al suo posto. L’Universo non crolla, neppure per una cerbiatta.
Eppure, nella dolorosa compostezza di questo lasciarsi, Szymborska rivela una verità profonda: la materia veglia su di noi, i nostri destini sembrano scritti, ma è proprio in questa regolarità che si annida la vertigine. Il miracolo non è che non accada niente: è che nonostante tutto, sentiamo che qualcosa dovrebbe accadere.
La poesia diventa così una meditazione sull’aspettativa del sacro in un mondo disincantato, dove anche l’abbandono avviene in silenzio e il riflesso nello specchio è solo quello che deve essere. Ma proprio in questa ferita del quotidiano, Szymborska lascia intravedere il mistero.