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“Sei scomparsa per sempre” (1928) di Cesare Pavese, la struggente poesia di un cuore nostalgico

“Sei scomparsa per sempre” è una struggente poesia che Cesare Pavese compone nel 1928. Un inno alla memoria, all’amore passato, al tempo che scorre sul mondo e sul cuore.

Un passato che non ritorna più, un amore che continua a scaldare il cuore, il paesaggio delle Langhe che si staglia fra il cuore e la penna: questo e tanto altro racconta “Sei scomparsa per sempre”, la struggente poesia che Cesare Pavese dedica al passato, alla figura lontana di una donna amata che si confonde con la natura dei luoghi del cuore.

“Sei scomparsa per sempre” di Cesare Pavese

Sei scomparsa per sempre
nella stagione moribonda
che si matura all’ultimo sole
ed è triste di tutta la dolcezza
dei suoi ultimi doni.

Tu sei stata per me la giovinezza
della vita, adombrata dal terrore
della fine o chissà, della tristezza
del desiderio sazio.
E mi ritorni in cuore
colla calma straziante della terra
che si raccoglie languida nel sole
e gli offre a rattenerlo
per un attimo ancora
tutta la sua bellezza.

È nell’aria il sapore dolce ed umido
della tua bocca triste di passione,
sotto l’ardore biondo
delle foglie arrossate,
delle nuvole accese,
e l’azzurro cupissimo del cielo
pesa, come negli occhi la tua anima,
dalla disperazione della vita.
I frutti vengon meno
acri dalla dolcezza,
e si disfanno sotto le rugiade,
come il tuo corpo triste,
come il tuo seno stanco dell’attesa.

Presto l’ultimo addio
cadrà e la terra morirà di gelo.
Sei sparita non mia,
tu che un giorno lontano,
l’unica, mi hai amato.
E dovunque tu viva sulla terra,
per sempre ormai, per tutta l’esistenza,
nell’agonia autunnale,
mi struggerà quest’anima
la tua tristezza bionda.

Il significato di questa poesia

Dove leggere “Sei scomparsa per sempre”

La poesia “Sei scomparsa per sempre” fa parte della raccolta Le febbri di decadenza, un corpus di liriche giovanili di Cesare Pavese, scritte tra il 1923 e il 1929, che riflettono una profonda tensione esistenziale e affettiva, tipica di un’età acerba ma già segnata da inquietudine.

Il componimento è datato 1-2 settembre 1928: sono gli anni in cui Pavese si confronta con l’amore in forma idealizzata e con un sentimento di solitudine che lo accompagnerà per tutta la vita.

In queste poesie, la figura femminile si intreccia con i paesaggi delle Langhe, diventando presenza salvifica e insieme inafferrabile.

La perdita, qui, si fa definitiva: la donna non è solo assente, ma è scomparsa “per sempre”, e la stagione che l’accoglie è l’autunno, con la sua bellezza struggente, il suo morire lento e dorato, simbolo perfetto della nostalgia.

Il legame con la natura

Lo stile di “Sei scomparsa per sempre” è quello di una lirica intima, intrisa di immagini visive e tattili che si avvolgono su se stesse come un respiro affannoso, dolce e disperato.

Pavese usa versi liberi, sciolti, musicali, capaci di assecondare il flusso emotivo del ricordo. Le immagini della natura — le foglie arrossate, le nuvole accese, l’azzurro cupo del cielo — sono rese con tratti pittorici, eppure sembrano provenire da un paesaggio interiore, filtrato dal dolore.

Il lessico alterna parole delicate (“languida”, “dolce”, “bocca triste”) ad altre più cupe (“agonia”, “disperazione”, “gelo”), sottolineando la tensione tra ciò che è stato amore e ciò che è ora perdita. Le similitudini sono intense, sensuali: il corpo della donna è come il frutto maturo che si disfa, come la terra che muore, e l’anima pesa, “come negli occhi la tua anima”, un’immagine che suggerisce quanto lo sguardo possa trattenere tutto il dolore del mondo.

Un inno alla nostalgia

Il significato profondo di “Sei scomparsa per sempre” è legato al tema della perdita, non solo dell’amata ma di un’intera stagione della vita. La donna è giovinezza, promessa, desiderio e insieme malinconia e fine.

È un simbolo ricorrente nella poesia di Pavese: la figura femminile si fonde spesso con la terra, con la natura che nutre e consuma, che accoglie e poi svanisce. In questa lirica l’autunno non è solo una stagione dell’anno, ma un tempo dell’anima, un crepuscolo interiore.

La “tristezza bionda” della donna amata — che forse vive ancora altrove, ma lontana, irrimediabilmente separata — diventa parte di un paesaggio che parla la lingua dell’assenza. Pavese non cerca il conforto della memoria, ma si abbandona a essa, lasciandosi struggere da un dolore quieto, che non urla, ma pesa.

Come la terra che muore offrendo “tutta la sua bellezza” per trattenere il sole, così l’anima del poeta offre la memoria di un amore perduto per trattenere, almeno per un attimo, il senso profondo della vita.

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