Diventare padre dovrebbe essere, secondo la narrazione dominante, un momento di trasformazione morale. Un punto di svolta. L’inizio di una versione più responsabile, più matura, più presentabile di sé stessi.
Charles Bukowski smonta questa idea in poche righe, senza alzare la voce e senza chiedere indulgenza.
In Poesia per mia figlia non c’è alcuna epifania. C’è un uomo che viene informato di essere diventato padre e, insieme, di essere diventato un cittadino responsabile. Come se la paternità fosse una pratica amministrativa. Come se l’amore dovesse coincidere con un dovere.
È da questa frattura che nasce una delle poesie più disturbanti e autentiche sull’amore. Disturbante perché non consola. Autentica perché non recita. Bukowski non promette di cambiare vita. Non rinuncia ai suoi vizi. Non costruisce un’immagine esemplare di sé. E proprio per questo riesce a dire qualcosa che oggi mette ancora a disagio. L’amore vero non ha bisogno di essere edificante per essere profondo.
Charles Bukowski scrisse la poesia nel 1966 per la figlia Marina Louise, nata il 7 settembre 1964 dal rapporto con la convivente e giovane poetessa Frances Smith. Il testo fu pubblicato solo nel 2006, nella raccolta On Love (Sull’amore).
Leggiamo questa 15 per comprendere il senso dei versi e la lucidità con cui Bukowski affronta uno dei temi più esposti alla retorica.
Poesia per mia figlia di Charles Bukowski
(vengo informato che ora sono un
cittadino responsabile, e attraverso il sole fissato nelle finestre polverose a nord
le camelie rosse sono fiori che piangono mentre i neonati piangono.)a cucchiaiate la
imbocco: cena con straccetti di pollo e noodle
pappa di prugne
pappa di dessert di fruttaa cucchiaiate la imbocco e
Cristo Santo
non incolpare
la bambina
non incolpare il
gov.
non incolpare i padroni o le
classi operaie –a cucchiaiate la imbocco
con queste braccia e petto
come folgore
di ceraun amico telefona:
“Cosa farai adesso, Hank?”
“che cazzo intendi con cosa farò
adesso?”
“intendo che ora hai delle responsabilità, devi tirare
su la bambina
come si deve.”nutrirla:
imboccarla
corricarla:
un posto a Beverly Hills
e non avere mai bisogno del sussidio di disoccupazione
e neanche mai di svendersi al migliore
offerentemai innamorarsi di un soldato o di un assassino di qualsiasi specie
apprezzare Beethoven e Jellyroll Morton e
i vestiti da pocolei ha
un’opportunità:
un tempo c’era il
Theōrikón e adesso c’è la
Grande Società“giocherai ancora ai cavalli? berrai
ancora? ti farai ancora -”“sì.”
telefono, fiori ondeggiano nel vento & il mio cuore
si spezza –
ora lei dorme serenamente come
le barche sul Nilo
magari un giorno mi
seppelliràsarebbe molto carino
se non fosse una
responsabilità.
Poem for my Daughter by Charles Bukowski
(they tell me that I am now a
responsible citizen, and through sun stuck on Northern
windows of dust
red camellias are flowers crying while
babies are crying.)I spoon it
in: strained chicken noodle dinner
junior prunes
junior fruit dessertspoon it in and
for Christ’s sake
don’t blame the
child
don’t blame the
govt.
don’t blame the bosses or the
working classess —spoon it down
through these arms and chest
like electrocuted
waxa friend phones:
“Whatya gonna do now, Hank?”
“What the hell ya mean, what am I gonna
do?”
“I mean ya got responsibility, ya gotta bring the
kid up
right.”feed her:
spoon it
down:
a place in Beverly Hills
and never any need for unemployment compensation
and never to sell to the highest
biddernever to fall in love with a soldier or a killer of any
kindto appreciate Beethoven and Jellyroll Morton and
bargain dressesshe’s got a
chance:
there was once the
Theoric Fund and now there’s the
Great Society“Are ya still gonna play the horses? are ya still gonna
drink? are ya still gonna –”“yes.”
telephone, waving flower in the wind & the dead bones of
my heart —
now she sleeps beautifully like
boats on the Nilemaybe some day she will
bury methat would be very nice
if it weren’t a
responsibility.
Poesia per mia figlia, versi di un padre “originale”
In Poesia per mia figlia, Charles Bukowski affronta uno dei territori più esposti alla retorica, la paternità, scegliendo deliberatamente la strada opposta. Non idealizza, non addolcisce, non trasforma l’amore in una funzione morale. La poesia mette in scena il conflitto tra libertà individuale e responsabilità, tra ciò che l’individuo è e ciò che la società si aspetta che diventi.
Il primo grande tema è la responsabilità imposta. Bukowski non “scopre” di essere padre, viene informato. Il linguaggio burocratico con cui apre il testo suggerisce che la paternità, più che un evento intimo, venga percepita come un cambiamento di status sociale. Da quel momento l’uomo non è più solo un individuo, ma un cittadino chiamato a rispondere a un ruolo.
Accanto a questo emerge il tema della colpa rifiutata. Il poeta rifiuta qualsiasi meccanismo di scarico della responsabilità. Non accusa il governo, le classi sociali, il sistema. La vita non viene giustificata, viene attraversata. È una posizione dura, ma estremamente coerente con la sua visione del mondo.
Un altro tema centrale è la libertà. Bukowski non promette redenzione. Non rinnega i suoi vizi. Non costruisce un futuro ideale per sé, ma solo una possibilità per la figlia. La libertà che difende non è eroica né romantica, è una libertà imperfetta, contraddittoria, ma reale.
Infine, la poesia affronta il tema dell’amore non possessivo. L’idea che la figlia possa un giorno seppellirlo viene subito smontata dal poeta stesso, che la definisce una responsabilità. Anche l’amore estremo non deve trasformarsi in un obbligo. Per Bukowski l’amore autentico non chiede nulla in cambio.
Quando l’amore rifiuta di diventare un dovere
La poesia si sviluppa come una sequenza di gesti quotidiani. Non c’è narrazione lineare, ma una serie di frammenti che restituiscono la percezione disordinata del presente. Le immagini domestiche, il cibo imboccato a cucchiaiate, il telefono che squilla, i fiori mossi dal vento, costruiscono una scena volutamente anti-epica.
Il linguaggio è semplice, quasi brutale. Bukowski alterna descrizioni minime a scarti improvvisi di riflessione. L’uso delle ripetizioni rafforza l’idea della routine e della fatica. La paternità non è un evento straordinario, ma un accumulo di azioni necessarie.
Il dialogo con l’amico introduce la pressione sociale. La domanda non è cosa provi, ma cosa farà adesso. L’amico incarna la voce collettiva che pretende una trasformazione, un adeguamento a un modello di responsabilità riconoscibile. La risposta di Bukowski è disarmante nella sua sincerità. Nulla cambierà. Non per mancanza d’amore, ma per rifiuto dell’ipocrisia.
La parte centrale della poesia è attraversata da una tensione costante tra desiderio e realtà. Bukowski immagina per la figlia un futuro distante dal dolore che ha conosciuto. Un futuro senza miseria, senza ricatti, senza violenza. Qui emerge un sentimento paterno autentico, non dichiarato, ma implicito. L’amore si manifesta come protezione silenziosa, non come proclamazione.
Il verso sul soldato e sull’assassino concentra tutta la visione etica del poeta. Entrambi rappresentano la violenza istituzionale e individuale. Proteggere la figlia significa augurarle una vita lontana da ciò che distrugge, non una vita perfetta.
Il finale è volutamente spiazzante. L’immagine della figlia che potrebbe un giorno seppellirlo è subito problematizzata. La morte, come l’amore, non deve diventare un dovere. Bukowski rifiuta ogni forma di dipendenza emotiva mascherata da sentimento.
In Poesia per mia figlia l’amore non è sacrificio, non è redenzione, non è esempio. È presenza imperfetta. Ed è proprio questa imperfezione a renderlo vero.
L’amore che non chiede di essere giustificato
Poesia per mia figlia è una poesia di Charles Bukowski che non è una celebrazione della paternità, né una sua negazione. È qualcosa di più scomodo. È il rifiuto di trasformare l’amore in una funzione sociale. Bukowski non offre modelli, non chiede approvazione, non costruisce una narrazione esemplare. Si limita a restare dentro la vita, così com’è.
In un tempo che pretende coerenza morale, redenzione pubblica e sentimenti certificabili, questa poesia continua a disturbare perché sottrae l’amore alla sua messa in scena. Bukowski ama senza promettere di migliorarsi. Non perché non voglia bene alla figlia, ma perché rifiuta l’idea che l’amore debba passare attraverso una trasformazione obbligatoria dell’individuo.
La responsabilità, in questa poesia, non è un valore edificante. È un peso reale, concreto, che non viene abbellito né giustificato. E proprio per questo diventa onesto. Bukowski non idealizza il futuro, non sacralizza il legame, non carica la figlia del compito di salvarlo o di dargli senso.
L’ultimo verso non chiude con una dichiarazione d’amore, ma con una presa di distanza. Anche l’amore più profondo, se diventa un dovere, perde la sua natura. Per Charles Bukowski la libertà non è l’opposto dell’amore. È la sua unica condizione possibile.
Ed è per questo che Poesia per mia figlia resta una delle più radicali riflessioni sull’amore del Novecento. Non perché consola, ma perché non mente.
