Sylvia Plath e la potenza visionaria “Bloccato”, un viaggio oscuro e potente

23 Agosto 2025

"Bloccato" di Sylvia Plath: una poesia dal testo potente e disturbante che unisce ironia, dolore e ribellione. Scoprila nel nostro articolo.

Sylvia Plath e la potenza visionaria “Bloccato”, un viaggio oscuro e potente

Bloccato” è un componimento di Sylvia Plath, che mette in scena una sorta di viaggio in automobile sospeso tra sogno e incubo, dove convivono la figura di un “zio miliardario”, il pianto di un neonato, l’evocazione della Spagna e, soprattutto, il tema della morte e della liberazione.

“Stopped Dead”, così s’intitola in lingua originale, occupa una posizione di rilievo per la sua forza immaginifica e il suo tono insieme surreale e spietato. Sylvia Plath la scrive negli ultimi anni della produzione poetica, quando si susseguono immagini oniriche, crude e ossessive che possiamo trovare in poesie come “Talidomide”, di cui abbiamo già parlato.

“Bloccato” di Sylvia Plath

(Italiano)

Uno stridìo di freni.
O un pianto di neonato?
E chini eccoci qui sullo stecchito
Zio re-delle-mutande miliardario.
E tu mi emergi accanto freddo nel tuo sedile.

Le ruote, due vermi di gomma, si mordono le dolci code.
È la Spagna, laggiù?
Rosso e giallo, due ardenti metalli appassionati
Sospiranti e frementi, che razza di scena è?
Non è Inghilterra, non Francia, non Irlanda.

È violenta. La stiamo visitando
Con un bebè pestifero che frigna da qualche parte.
C’è sempre di mezzo un dannato bebè.
Potrei dirla un tramonto, ma chi è
Chi mai sentì miagolare un tramonto?

Nella tua pappagorgia di prosciutto stai sepolto,
Chi credi che sia io,
Zio, zio? Il triste Amleto col pugnale?
Dove nascondi il tuo fiato vitale?

È un soldino, una perla –
La tua, tua anima?
La rapirò come una bella miliardaria,
Aprirò lo sportello e dalla macchina uscirò
E a Gibilterra vivrò d’aria, nell’aria.

(Inglese)

A squeal of brakes.
Or is it a birth cry?
And here we are, hung out over the dead drop
Uncle, pants factory Fatso, millionaire.
And you out cold beside me in your chair.

The wheels, two rubber grubs, bite their sweet tails.
Is that Spain down there?
Red and yellow, two passionate hot metals
Writhing and sighing, what sort of a scenery is it?
It isn’t England, it isn’t France, it isn’t Ireland.

It’s violent. We’re here on a visit,
With a goddam baby screaming off somewhere.
There’s always a bloody baby in the air.
I’d call it a sunset, but
Whoever heard a sunset yowl like that?

You are sunk in your seven chins, still as a ham.
Who do you think I am,
Uncle, uncle?
Sad Hamlet, with a knife?
Where do you stash your life?

Is it a penny, a pearl –
Your soul, your soul?
I’ll carry it off like a rich pretty girl,
Simply open the door and step out of the car
And live in Gibraltar on air, on air.

Un mondo onirico e la vita sospesa

Il testo si apre con un’immagine stridente:

“Uno stridìo di freni. / O un pianto di neonato?”

Già dalle prime parole la scena è sospesa tra due possibilità: un incidente mortale o una nascita, che se vogliamo è la stessa cosa sotto un punto di vista metafisico. La vita che va e la vita che viene, a livello energetico, è la stessa cosa, perché si equivale. Dunque Plath ci pone sul vassoio vita e morte, salvezza e catastrofe. Due versi che si confondono.

La macchina è “appesa sullo stecchito”, una metafora di immobilità mortale: un’auto bloccata sull’orlo del baratro.

Accanto al soggetto lirico c’è lo “zio re-delle-mutande miliardario”, figura grottesca, sepolta “nella pappagorgia di prosciutto”, simbolo di un mondo maschile opulento, saturo, insensibile. Il contrasto è netto: da una parte la voce poetica, vigile, rabbiosa, desiderosa di fuga; dall’altra la figura dello zio, caricatura di un potere stanco e senza respiro.

Le visioni di un paesaggio e la memoria collettiva

Le ruote dell’auto sono descritte come “due vermi di gomma che si mordono le dolci code”.

L’immagine richiama il serpente che si morde la coda, l’uroboro, simbolo di eternità ma qui ridotto a parodia, letteralmente un verme, reso meccanico e inutile.

Sotto l’auto, la voce poetica crede di intravedere la Spagna, evocata nei colori rosso e giallo:

“È la Spagna, laggiù? / Rosso e giallo, due ardenti metalli appassionati / sospiranti e frementi, che razza di scena è?”

La Spagna è il luogo della violenza, delle guerre civili, delle passioni incandescenti. Non è Inghilterra, non è Francia, non è Irlanda: è un altrove acceso e feroce. Questo paesaggio, che si confonde con un tramonto, diventa il contraltare della monotonia europea: è la vita nel suo eccesso, ma anche la morte imminente.

Plath inserisce qui una dimensione storica e culturale, ma filtrata dalla sua sensibilità visionaria: il paesaggio politico si trasforma in allucinazione personale.

Sempre un bambino, ancora il peso della maternità

Nel cuore della poesia appare un’immagine ossessiva:

“C’è sempre di mezzo un dannato bebè. / Potrei dirla un tramonto, ma chi è / chi mai sentì miagolare un tramonto?”

Il pianto del neonato diventa un rumore assordante, impossibile da ignorare. È una delle immagini più potenti di Plath, che si sposta di poesia in poesia e trasforma la maternità in un’esperienza disturbante, associata non alla gioia ma al fastidio, al vincolo, alla gabbia.

Sylvia Plath scrisse questo testo nel 1962, pochi mesi dopo la nascita del suo secondo figlio. Non è difficile leggere dietro le righe il suo conflitto interiore: la maternità come peso e insieme come destino inevitabile, la difficoltà di conciliare il ruolo di madre con quello di poetessa. Il neonato che piange non è solo una presenza reale, ma anche una metafora: rappresenta il rumore della vita che trattiene la voce poetica dal salto liberatorio.

Una figura shakespeariana

Il confronto con lo “zio” si fa più serrato nella parte centrale. La voce poetica gli si rivolge direttamente:

“Chi credi che sia io, / Zio, zio? / Il triste Amleto col pugnale?”

Plath evoca la figura shakespeariana di Amleto, simbolo del dubbio e dell’esitazione davanti all’azione. Lo zio ricorda implicitamente Claudio, l’usurpatore che ha ucciso il padre di Amleto. In questo ribaltamento, l’io poetico assume il ruolo del figlio tormentato, mentre lo zio miliardario diventa la personificazione di un potere cieco e corrotto.

La domanda è brutale: “Dove tieni nascosta la tua vita, la tua anima? È un penny, una perla?” L’anima dello zio, ridotta a oggetto di poco valore o a gioiello da rubare, viene derisa e svalutata. La voce poetica sogna di rapirla, di aprire la portiera della macchina e liberarsi.

Il finale della poesia

“Aprirò lo sportello e dalla macchina uscirò / e a Gibilterra vivrò d’aria, nell’aria.”

Gibilterra è l’estremo Occidente, la soglia che separa Europa e Africa, un luogo di confine e di mito. Scegliere di vivere lì “d’aria, nell’aria” significa immaginare una vita eterea, libera dal peso della carne, del denaro, della famiglia. È un’immagine di morte, certo, ma anche di liberazione: l’uscita dalla macchina bloccata diventa un salto nel vuoto che è anche un atto di affermazione poetica.

La poesia si chiude con un desiderio impossibile, tipico di Plath: vivere di pura aria, farsi spirito, liberarsi dalle catene terrene.

Una poesia tra rabbia e ironia

“Bloccato” è un testo che unisce immagini violente e grottesche a un tono sorprendentemente ironico. Lo “zio miliardario” con le “sette pappagorge” è una caricatura quasi comica; il “dannato bebè” è descritto con disprezzo sarcastico. Ma sotto questa patina si nasconde il dolore autentico di una donna che si sente imprigionata: dalla famiglia, dal matrimonio con Ted Hughes, dal ruolo materno e dalle convenzioni sociali.

Il titolo stesso, “Bloccato”, suggerisce immobilità, impasse, impossibilità di movimento. Ma nel sogno di Gibilterra e dell’aria si intravede anche la volontà di ribellione, la speranza di una via d’uscita.

Non c’è consolazione: la macchina resta ferma sull’orlo dell’abisso, il neonato continua a piangere, lo zio resta immobile. Eppure, nella visione di Gibilterra e nell’idea di vivere “d’aria, nell’aria”, c’è la scintilla di una ribellione assoluta. È la voce di Plath che, anche nelle immagini più oscure, trova un varco verso la libertà poetica.

“Bloccato” non è solo una poesia sul limite: è una poesia che ci ricorda quanto, a volte, desiderare l’impossibile sia l’unico modo per restare vivi.

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