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Paul Valéry e il “Cimitero marino”, la poesia sul destino dell’uomo

“Cimitero marino” di Paul Valery è una poesia in cui il ricordo dei luoghi familiari e la bellezza del mare si mescolano a profonde riflessioni sulla vita e sul destino dell’uomo.

Paul Valéry, è stato un grande scrittore, poeta e filosofo francese nato il 30 ottobre 1871 e scomparso il 20 luglio 1945. Figlio di un controllore delle dogane di origine corsa e di una donna genovese, a sua volta figlia del console del Regno di Sardegna a Sète, Paul Valéry ha assecondato la sua passione per le lettere sin dalla gioventù. 

I richiami al Simbolismo, l’attenzione alla forma, le tristi e sanguinose vicende belliche hanno concorso a rendere Paul Valéry un poeta immortale, tanto celebre in vita quanto in morte, con opere di ogni genere e aspetto, a cominciare da “La jeune Parque“, il poemetto pubblicato dall’autore nel 1917 e scritto grazie all’influenza e al consiglio dell’amico André Gide. 

Ed è proprio in occasione dell’anniversario di Paul Valéry che vogliamo condividere con voi una delle sue opere più belle. “Il Cimitero marino“, che vi proponiamo nella traduzione di Mario Tutino, è un poemetto a dir poco commovente, in cui il poeta Paul Valéry ritorna, per certi versi, il giovane Paul che ha vissuto nella cittadella portuale di Sète, e che si reca in visita al cimitero marino, il luogo di sepoltura dei marinai del posto, e dei genitori di Paul Valèry, che sarà il suo stesso luogo di sepoltura nel 1945.

In questa poesia di Paul Valèry il paesaggio, che non si fatica ad avere dinanzi agli occhi in tutta la sua quieta bellezza, è dominato dalla vastità del mare, e accompagna lungo tutto il componimento una profonda riflessione sulla vita e sul destino dell’uomo. Un poema a dir poco meraviglioso, che sembra quasi esprimere la profondità d’animo di Paul Valéry. 

Il Cimitero marino di Paul Valéry

Un tetto calmo, invaso da colombe,
Palpita tra i pini, tra le tombe;
Giusto il Meriggio vi forma di fiamma
Il mare, il mare sempre rinnovato!
O compenso al pensiero, un prolungato
Sguardo che mira la divina calma.

Che puro lavorio di lampi sfuma
Tanti diamanti d’indistinta schiuma,
E quanta pace si può concepire!
Quando sopra l’abisso un sole pausa,
Opere pure d’una eterna causa,
Scintilla il Tempo e il Sogno è sapere.

Tesoro certo, tempio di Minerva,
Massa calma e visibile riserva,
Acqua che increspi il ciglio, Occhio serbi
Tanto sonno su un velo di fiamma,
O mio silenzio!… Edificio nell’alma
Ma vetta d’oro in mille embrici, Tetto!

Tempio del Tempio riassunto in sospiro,
Salgo e m’involgo in questo punto puro,
Tutto conto dal mio sguardo marino;
E come offerta mia agli dèi, suprema,
Dissemina lo scintillio sereno
Lungo l’altezza uno sdegno sovrano.

Come il frutto si scioglie nel gustare,
Come in delizia muta la sua assenza
In una bocca ove la forma smuore,
Io qui assaporo il mio fumo futuro,
E il cielo canta all’anima dissolta
Lo sfarsi delle rive in risonanza.

Bel cielo vero, guardami mutare!
Dopo tanta fierezza, dopo tante
Strane inerzie piene di vigore,
Io m’abbandono a questo spazio ardente;
L’ombra mia passa sopra le dimore
Dei morti: io piego a ognuna che essa sfiora!

L’anima esposta ai fuochi del solstizio,
Ti sostengo, mirabile giustizia
Di luce in armi prive di pietà!
Pura ti rendo al luogo che t’adduce:
Specchiati!… Ma riflettere la luce
Suppone d’ombra una cupa metà.

Per me solo, in me solo, solo mia,
Presso un cuore, sorgente di poesia,
Tra il nulla vano e l’evento puro,
L’eco attendo della grandezza interna,
Amara, oscura e sonora cisterna,
Che sempre suona in me un vuoto futuro!

Sai, falso prigioniero del fogliame,
Golfo che rodi queste griglie grame,
Sugli occhi miei, segreti abbacinanti,
Che corpo mi trae dove tutto cessa?
Che fronte attira a questa terra d’ossa?
Qui una scintilla pensa ai miei assenti.

Chiuso, sacro, in un fuoco senza ingombri,
Scaglia di terra preda della luce,
Questo luogo mi piace, alto di faci,
Fatto d’oro, di pietra e alberi oscuri;
Ove tremola il marmo su tante ombre;
Sulle mie tombe dorme il fido mare.

Spendido cane, scaccia l’impostore!
Quando, solo, in sorriso di pastore,
Pascolo a lungo, armenti misteriosi,
Il bianco gregge di tranquille tombe,
Tieni lontane le caute colombe,
I sogni vani, gli angeli curiosi!

Venuto qui, l’avvenire è torpore.
L’insetto nero gratta la secchezza;
Tutto è bruciato, sfattosi in vapore
Fino a non so quale severa essenza…
La vita è vasta, essendo ebbra d’assenza,
La mente è chiara, e dolce l’amarezza.

Stanno nascosti i morti in questa terra
Che li riscalda e ne asciuga il mistero.
Là Mezzogiorno, senza movimento,
In sè si pensa e a se stesso conviene…
Testa completa e perfetto diadema,
Io sono in te il segreto mutamento.

In me solo contieni i tuoi timori!
I miei rimorsi, i miei dubbi, i doveri
Sono il difetto del tuo gran diamante…
Ma un popolo, nella notte pesante
Di marmi, alle radici delle piante,
Già ha preso le tue parti lentamente.

Si sono sfatti in una densa assenza,
Rosso limo sorbì la bianca essenza,
Passò nei fiori il dono della vita!
Dove sono dei morti i motti usati,
L’arte speciale, le singole menti?
La larva fila ove nasceva il pianto.

Il gridìo di ragazze stuzzicate,
Gli occhi, i denti, le palpebre bagnate,
Il bel seno che gioca con il fuoco,
Il sangue ardente al labbro che si arrende,
Gli estremi doni che un dito difende,
Tutto va sottoterra e rientra in gioco!

E tu, anima grande, speri un sogno
Che non avrà i colori di menzogna
Che agli occhi umani fan qui l’onda e l’oro?
Via vaporando canterai qualcosa?
Tutto va! La presenza mia è porosa,
La santa impazienza anch’essa muore!

Magra immortalità indorata e nera,
Consolatrice dall’orrido alloro,
Che della morte fai seno materno,
Bella menzogna, compassione astuta!
Chi non conosce, e chi non li rifiuta
Quel teschio vuoto e quel ghigno in eterno!

Padri profondi, teste inabitate,
Che, sotto il peso di zolle ammucchiate,
Confusi i passi, siete terra ormai,
Il vero tarlo, il verme inconfutabile
Non è per voi stessi sotto le lapidi,
Vive di vita e non mi lascia mai!

Amore, forse, o odio di me stesso?
Il suo dente segreto è a me sì presso
Che ogni nome gli può convenire!
Che importa! Vede, vuole, tocca, intende!
Gli paice la mia carne, e anche giacendo
A lui vivo, vivo d’appartenere!

Zenone! Duro Zenone Eleata!
Mi hai trafitto con quella freccia alata
Che vibra, vola e che non vola! Vita
Mi dona il suono, e la freccia mi uccide!
Ah! il sole… quale ombra di testuggine
Per l’anima, a gran passi Achille immoto!

No, no!… In piedi! Nell’era successiva!
Spezza, o corpo, la forma fissa! E bevi,
O mio petto, quel vento che si leva!
Una frescura, dal mare esalata,
Mi dà respiro… O forza salata!
Corriamo all’onda per balzarne vivi!

Si, mare immenso fatto di deliri,
Pelle di fiera e clamide forata,
Da mille e mille idoli solari,
Idra assoluta ebbra di carne azzurra,
Che ti rimordi la coda iridata,
In un tumulto che al silenzio è pari,

S’alza il vento!… Affrontiamo la vita!
Sfoglia il mio libro quest’aria infinita,
Spizza in polvere l’onda intorno ai blocchi!
Volate via, pagine abbacinate!
Rompete, onde! Rompete d’acque liete
Quel tetto calmo al beccheggio dei fiocchi!

Le Cimétière marin di Paul Valéry

Ce toit tranquille, où marchent des colombes,
Entre les pins palpite, entre les tombes ;
Midi le juste y compose de feux
La mer, la mer, toujours recommencée !
Ô récompense après une pensée
Qu’un long regard sur le calme des dieux !

Quel pur travail de fins éclairs consume
Maint diamant d’imperceptible écume,
Et quelle paix semble se concevoir !
Quand sur l’abîme un soleil se repose,
Ouvrages purs d’une éternelle cause,
Le Temps scintille et le Songe est savoir.

Stable trésor, temple simple à Minerve,
Masse de calme, et visible réserve,

Eau sourcilleuse, Œil qui gardes en toi
Tant de sommeil sous un voile de flamme,
Ô mon silence !… Édifice dans l’âme,
Mais comble d’or aux mille tuiles, Toit !

Temple du Temps, qu’un seul soupir résume,
À ce point pur je monte et m’accoutume,
Tout entouré de mon regard marin ;
Et comme aux dieux mon offrande suprême,
La scintillation sereine sème
Sur l’altitude un dédain souverain.

Comme le fruit se fond en jouissance,
Comme en délice il change son absence
Dans une bouche où sa forme se meurt,
Je hume ici ma future fumée,
Et le ciel chante à l’âme consumée
Le changement des rives en rumeur.

Beau ciel, vrai ciel, regarde-moi qui change !
Après tant d’orgueil, après tant d’étrange
Oisiveté, mais pleine de pouvoir,
Je m’abandonne à ce brillant espace,
Sur les maisons des morts mon ombre passe
Qui m’apprivoise à son frêle mouvoir.

L’âme exposée aux torches du solstice,
Je te soutiens, admirable justice
De la lumière aux armes sans pitié !
Je te rends pure à ta place première :
Regarde-toi !… Mais rendre la lumière
Suppose d’ombre une morne moitié.

Ô pour moi seul, à moi seul, en moi-même,
Auprès d’un cœur, aux sources du poème,
Entre le vide et l’événement pur,
J’attends l’écho de ma grandeur interne,
Amère, sombre, et sonore citerne,
Sonnant dans l’âme un creux toujours futur !

Sais-tu, fausse captive des feuillages,
Golfe mangeur de ces maigres grillages,
Sur mes yeux clos, secrets éblouissants,
Quel corps me traîne à sa fin paresseuse,
Quel front l’attire à cette terre osseuse ?
Une étincelle y pense à mes absents.

Fermé, sacré, plein d’un feu sans matière,
Fragment terrestre offert à la lumière,
Ce lieu me plaît, dominé de flambeaux,
Composé d’or, de pierre et d’arbres sombres,

Où tant de marbre est tremblant sur tant d’ombres ;
La mer fidèle y dort sur mes tombeaux !

Chienne splendide, écarte l’idolâtre !
Quand, solitaire au sourire de pâtre,
Je pais longtemps, moutons mystérieux,
Le blanc troupeau de mes tranquilles tombes,
Éloignes-en les prudentes colombes,
Les songes vains, les anges curieux !

Ici venu, l’avenir est paresse.
L’insecte net gratte la sécheresse ;
Tout est brûlé, défait, reçu dans l’air
À je ne sais quelle sévère essence…
La vie est vaste, étant ivre d’absence,
Et l’amertume est douce, et l’esprit clair.

Les morts cachés sont bien dans cette terre
Qui les réchauffe et sèche leur mystère.
Midi là-haut, Midi sans mouvement
En soi se pense et convient à soi-même…
Tête complète et parfait diadème,
Je suis en toi le secret changement.

Tu n’as que moi pour contenir tes craintes !

Mes repentirs, mes doutes, mes contraintes
Sont le défaut de ton grand diamant…
Mais dans leur nuit toute lourde de marbres,
Un peuple vague aux racines des arbres
A pris déjà ton parti lentement.

Ils ont fondu dans une absence épaisse,
L’argile rouge a bu la blanche espèce,
Le don de vivre a passé dans les fleurs !
Où sont des morts les phrases familières,
L’art personnel, les âmes singulières ?
La larve file où se formaient des pleurs.

Les cris aigus des filles chatouillées,
Les yeux, les dents, les paupières mouillées,
Le sein charmant qui joue avec le feu,
Le sang qui brille aux lèvres qui se rendent,
Les derniers dons, les doigts qui les défendent,
Tout va sous terre et rentre dans le jeu !

Et vous, grande âme, espérez-vous un songe
Qui n’aura plus ces couleurs de mensonge
Qu’aux yeux de chair l’onde et l’or font ici ?
Chanterez-vous quand serez vaporeuse ?
Allez ! Tout fuit ! Ma présence est poreuse,

La sainte impatience meurt aussi !

Maigre immortalité noire et dorée,
Consolatrice affreusement laurée,
Qui de la mort fais un sein maternel,
Le beau mensonge et la pieuse ruse !
Qui ne connaît, et qui ne les refuse,
Ce crâne vide et ce rire éternel !

Pères profonds, têtes inhabitées,
Qui sous le poids de tant de pelletées,
Êtes la terre et confondez nos pas,
Le vrai rongeur, le ver irréfutable
N’est point pour vous qui dormez sous la table,
Il vit de vie, il ne me quitte pas !

Amour, peut-être, ou de moi-même haine ?
Sa dent secrète est de moi si prochaine
Que tous les noms lui peuvent convenir !
Qu’importe ! Il voit, il veut, il songe, il touche !
Ma chair lui plaît, et jusque sur ma couche,
À ce vivant je vis d’appartenir !

Zénon ! Cruel Zénon ! Zénon d’Élée !
M’as-tu percé de cette flèche ailée

Qui vibre, vole, et qui ne vole pas !
Le son m’enfante et la flèche me tue !
Ah ! le soleil… Quelle ombre de tortue
Pour l’âme, Achille immobile à grands pas !

Non, non !… Debout ! Dans l’ère successive !
Brisez, mon corps, cette forme pensive !
Buvez, mon sein, la naissance du vent !
Une fraîcheur, de la mer exhalée,
Me rend mon âme… Ô puissance salée !
Courons à l’onde en rejaillir vivant !

Oui ! Grande mer de délires douée,
Peau de panthère et chlamyde trouée
De mille et mille idoles du soleil,
Hydre absolue, ivre de ta chair bleue,
Qui te remords l’étincelante queue
Dans un tumulte au silence pareil,

Le vent se lève !… Il faut tenter de vivre !
L’air immense ouvre et referme mon livre,
La vague en poudre ose jaillir des rocs !
Envolez-vous, pages tout éblouies !
Rompez, vagues ! Rompez d’eaux réjouies
Ce toit tranquille où picoraient des focs !

photocredits: Christian Ferrer

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