“Paesaggio” è una bella poesia in cui Federico García Lorca sfrutta un topos della poesia spagnola per raccontare, attraverso l’ambiente e la natura, uno stato d’animo.
“Paesaggio” di Federico García Lorca
Il campo
di ulivi
si spiega e si richiude
come un ventaglio.Sopra l’oliveto
sta un cielo sprofondato
e una buia pioggia
di fredde stelle.Tremano giunco e penombra
sulla sponda del fiume.L’aria grigia s’increspa.
Gli ulivi
sono carichi
di gridi.Un branco
d’uccelli imprigionati
che sommuovono le loro così lunghe
code allo scuro.
Il significato di questa poesia
Lo stile della poesia
Scritto nel 1921, “Paesaggio” di Federico García Lorca nasce dall’anima arsa della Spagna andalusa, quella della Vega di Granada, sua terra d’origine, ma riecheggia anche le visioni essenziali della Castiglia, con le sue distese mute, i suoi cieli profondi, i suoi silenzi carichi di presagi. In questa breve poesia, Lorca dipinge un quadro che si apre come un ventaglio — proprio come recita il primo verso — in un gioco di immagini che si schiudono con grazia e si richiudono lasciando una scia di mistero.
Lo stile è frammentario, scarno, eppure denso di vibrazioni: ogni parola è scelta con cura per evocare suoni, movimenti, colori e ombre. Gli ulivi si fanno onde, creature vive che gemono, cariche di “gridi”; il cielo è una voragine colma di stelle fredde che cadono come pioggia scura. I versi si inseguono con una musicalità che richiama il canto andaluso, quello profondo e viscerale, mentre le immagini si alternano tra l’apparente immobilità della natura e l’eco invisibile di un’anima che trema, come i giunchi sul fiume.
Natura e anima
E proprio in questa corrispondenza tra paesaggio e stato d’animo risiede il cuore del componimento. Lorca non descrive semplicemente ciò che vede, ma ciò che sente attraverso ciò che vede. Il campo d’ulivi, con la sua calma carica di mistero, diventa lo specchio di un’inquietudine interna, di un silenzio pieno di voci invisibili.
Gli uccelli imprigionati tra i rami, con le loro lunghe code che sommuovono l’oscurità, sembrano figure di pensieri trattenuti, desideri sospesi, forse anche paure che agitano il fondo della coscienza.
La pioggia di stelle non illumina: bagna il mondo con una luce fredda, inquieta. È un paesaggio che racconta un tempo interiore, un momento in cui la bellezza della natura si tinge di tristezza, e ogni elemento — l’aria che s’increspa, il tremore dei giunchi, il grido degli uccelli — si fa simbolo di un sentire malinconico.
Lorca ci invita a guardare oltre l’apparenza delle cose, a leggere tra i rami degli ulivi la mappa segreta delle emozioni, dove il paesaggio esterno e quello dell’anima si fondono in un’unica, struggente visione.
Federico García Lorca
Federico García Lorca è una voce che canta dalle profondità della terra andalusa, un poeta che ha fatto della parola un ponte tra il visibile e l’invisibile.
Nato a Fuente Vaqueros nel 1898, nei pressi di Granada, Lorca porta nel sangue il sole e l’ombra della sua terra, i ritmi del flamenco, il lamento del cante jondo, la musicalità antica che affonda le sue radici nei canti gitani, nelle preghiere contadine, nei silenzi assolati della Spagna rurale. Ma la sua voce non si ferma alla tradizione: la supera, la trasfigura, la fa esplodere in immagini che affascinano e spiazzano, in metafore che accostano l’arcaico al visionario, il quotidiano al mitico. Lorca scrive con il cuore e con i nervi, come se ogni parola fosse un palpito, un frammento di sogno, una scheggia d’anima.
Il suo stile è inconfondibile: musicale, frammentato, simbolico. Le sue poesie sembrano quasi composte per essere dette a mezza voce, o cantate sotto un cielo nero di stelle, come quelli che spesso appaiono nei suoi versi.
Scrive immagini prima ancora che pensieri: una pioggia di stelle fredde, una luna che affoga nei pozzi, cavalli che galoppano nel silenzio, bambini che si perdono nei giardini notturni. I suoi paesaggi non sono mai solo paesaggi, ma scenografie interiori, luoghi abitati dalla memoria, dal desiderio, dalla morte.