Con l’inizio di Dicembre e l’avvicinarsi dell’inverno, arriva quel periodo dell’anno in cui sentiamo il bisogno di trovare momenti di silenzio e raccoglimento.
Del resto, anche noi siamo piccoli ingranaggi del maestoso meccanismo della natura, che col freddo si assopisce per tornare energica e variopinta in primavera.
“L’odore dell’inverno” di Anton Čechov ci racconta il silenzio magico della natura che riposa e la consapevolezza che, proprio da questo silenzio, nasce la bellezza.
“L’odore dell’inverno” di Anton Čechov
Il tempo dapprincipio fu bello,
calmo. Schiamazzavano i
tordi, e nelle paludi qualcosa di vivo
faceva un brusio, come se
soffiasse in una bottiglia vuota.
Passò a volo una beccaccia e
nell’aria con allegri rimbombi.
Ma quando nel bosco si fece
buio e soffiò da oriente un vento
freddo e penetrante, tutto tacque.
Sulle pozzanghere si allungarono
degli aghetti di ghiaccio.
Il bosco divenne solitario.
Sì, senti l’odore dell’inverno.
L’odore dell’inverno
In questi versi, Čechov descrive ciò che lo studente, protagonista del racconto a cui questi versi fanno da incipit, vede e sente intorno a sé: il cielo sereno e calmo, quando l’atmosfera tranquilla viene interrotta prima da un lamento di un animale proveniente dalla palude, quindi da uno sparo che rimbomba nell’aria.
Così, fra gli uccelli che si avvicendano percorrendo la loro tratta e le creature invisibili all’occhio umano che producono brusii sordi e misteriosi, il bosco si addormenta.
Cala la notte, e l’arrivo di un vento “freddo e penetrante” comporta l’abbassarsi delle temperature e il conseguente silenzio in tutto l’ambiente, dovuto probabilmente al fatto che tutti, date le condizioni atmosferiche, sono corsi al riparo nelle proprie case (o tane nel caso degli animali del bosco) per proteggersi dalle intemperie.
Tutto si spegne. Cala un silenzio che sa di incantesimo. Il calo delle temperature comporta la formazione di aghetti di ghiaccio sulle pozze d’acqua, mentre il bosco si fa sempre più “solitario” e tetro. Ecco, quindi, che tutto indica l’arrivo dell’inverno.
Freddo, tagliente, misterioso e lento, ma anche caldo di affetti e di umanità. L’inverno profuma di cose che, perdute nel rumore della vita, possono essere ritrovate soltanto grazie al raccoglimento e al candore della neve.
L’incipit di un racconto speciale
Vi state chiedendo da dove provengono questi versi di Čechov? “L’odore dell’inverno”, che da tempo circola sul web come poesia, è in realtà il meraviglioso incipit di uno dei racconti dello scrittore russo.
Si tratta de Lo studente, un racconto del 1984 che potete trovare nella raccolta edita da Bur.
La trama vede protagonista un giovane seminarista che si incammina verso casa dopo una battuta di caccia e, infreddolito, si ferma a scaldarsi dinanzi a un focolare.
Qui incontra due anziane vedove. Con loro si intrattiene a conversare, parlando del Vangelo e, in particolare, dell’episodio in cui Pietro nega il suo legame con Cristo. Un momento conviviale nato dal caso e per caso, come spesso capita a ciascuno di noi anche se, altrettanto spesso, non vi poniamo la giusta attenzione.
Da un incontro così fortuito e commovente, il giovane impara molto: si rende conto di quanto il nostro tempo sia prezioso, soprattutto quando scopriamo di essere intimamente legati al nostro prossimo e alla natura che ci circonda, accogliendogli fra le sue braccia.
Anton Čechov, il narratore dell’animo umano
Di origini umili, Anton Čechov è stato uno degli autori russi più amati di sempre. Le sue opere teatrali, insieme alle centinaia di racconti scaturiti dalla sua penna, sono una vera e propria enciclopedia dell’animo umano, ma anche una rappresentazione perfetta della società russa di fine Ottocento.
Infatti, dietro l’apparenza di una società conservatrice e monarchica, serpeggiava il fermento di un mondo in rapida evoluzione, costellato di nuove figure sociali, incapaci di comunicare fra loro.
Uno dei temi che segnano in modo significativo la poetica di Anton Čechov è, in effetti, l’incomunicabilità, di conseguenza il fraintendimento, dunque il comico. Ma ben presto nelle opere di Čechov all’umorismo si aggiunge un velo di tristezza e i suoi personaggi finiscono con il constatare il fallimento dei propri ideali e delle proprie aspirazioni.
Sensibile ai mutamenti della epoca, Čechov ebbe la capacità di cogliere e immortalare quel nuovo mondo nelle sue opere teatrali. Tra esse ricordiamo le più celebri come “Il giardino dei ciliegi”, “Il gabbiano” e “Lo zio Vanja”.
Lev Tolstoj paragonò il suo teatro a un tipo di pittura in cui le pennellate sembrano messe a caso, «come se non avessero nessun rapporto tra loro», mentre, guardando da lontano si coglie «un quadro chiaro, indiscutibile».