Non tutti i mali vengono per nuocere, direbbe qualcuno. Così, in un periodo estremamente complesso della sua vita, il poeta turco Nazim Hikmet compone “Mosca, 1961”, una poesia che non svela il suo contenuto e la sua forza se non nella chiusa, che ci ricorda che, prima o poi, torneremo a sorridere, a sperare, a vivere con gioia e pienezza.
“Mosca, 1961” di Nazim Hikmet
Le sei del mattino.
Ho aperto la porta del giorno ci sono entrato
ho assaporato
l’azzurro nuovo nelle finestre
le rughe della mia fronte di ieri
sono rimaste sullo specchiosulla mia nuca una voce di donna
tenera peluria di pesca
e le notizie del mio paese alla radiovorrei correre d’albero in albero
nel frutteto delle oreverrà il tramonto, mia rosa
e al di là della notte
mi aspetterà
spero
il sapore di un nuovo azzurro.
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Mosca, 1961”
Ci sono versi che custodiscono una luce speciale, come se il tempo li avesse lasciati intatti, sospesi tra un respiro e l’altro dell’anima.
È il caso della poesia che si apre con “Le sei del mattino” e che porta, come unico titolo, la semplice indicazione: “Mosca, 1961”.
Si trova all’interno della raccolta Nazim Hikmet. Poesie d’amore, edita da Mondadori nel 2002 e tradotta con sapienza e affetto da Joyce Lussu. Siamo nel cuore dell’esilio del poeta turco: Hikmet vive a Mosca da anni, lontano dalla sua patria, dalla sua Istanbul.
È il 1961, l’Unione Sovietica si sveglia sotto un cielo ancora incerto, e lui, sopravvissuto a prigioni, censura e lontananze, apre la porta del nuovo giorno con una dolcezza che sa di speranza.
Non è un caso che a dar voce italiana a questi versi sia stata proprio Joyce Lussu, partigiana, poetessa e traduttrice, che conobbe Hikmet di persona e decise di dedicargli parte della sua vita letteraria. Il loro incontro fu segnato da stima e consonanza ideale: entrambi amanti della libertà, entrambi militanti in un tempo di ideali forti, entrambi capaci di raccontare l’amore con parole sobrie e luminose.
Le sue traduzioni non sono solo trasposizioni linguistiche, ma atti di vicinanza, ponti tra culture e cuori lontani.
Lo stile della poesia
La poesia di Hikmet si muove con leggerezza e profondità. Non indulge in orpelli, non si nasconde dietro artifici. Al contrario, è tutta esposta, limpida, come un volto che si affaccia alla luce.
In questi versi del 1961, la struttura è lineare, il lessico quotidiano, eppure ogni parola sembra scelta con cura millimetrica. Il poeta alterna immagini concrete e intime – “la voce di donna”, “le notizie alla radio”, “le rughe della mia fronte” – a slanci quasi onirici, come il desiderio di “correre d’albero in albero nel frutteto delle ore”.
È uno stile che si affida alla potenza del gesto minimo, che confida nella verità delle cose semplici. I versi non seguono una metrica rigida, ma sembrano respirare: si aprono, si contraggono, si adagiano sul bianco della pagina con naturalezza.
L’uso della punteggiatura è essenziale e misurato: non impone un ritmo, lo suggerisce. E così, la poesia si legge come una confidenza, come un pensiero sussurrato a voce bassa tra le stanze della mattina.
In questa essenzialità, Hikmet riesce a condensare emozione e pensiero, rendendo l’esperienza individuale immediatamente condivisibile.
L’azzurro, la vita che resiste
Cosa raccontano, in fondo, questi versi? La scena è quella dell’alba, ma l’orizzonte si allarga rapidamente.
Il poeta apre “la porta del giorno” e vi entra come in una nuova possibilità: la luce si insinua attraverso le finestre, portando un “azzurro nuovo” che sa di rinascita. Le “rughe della fronte” restano sullo specchio: un’immagine intensa, che parla del tempo che passa, del peso delle giornate precedenti, ma anche della volontà di lasciarle andare.
Sulla nuca, una “voce di donna” – forse reale, forse evocata dalla memoria – è descritta con una dolcezza tattile, “tenera peluria di pesca”: in pochi tratti, Hikmet disegna la presenza dell’amore, discreta ma fondamentale.
Poi arrivano “le notizie del mio paese”, e con esse la distanza, la nostalgia, la ferita dell’esilio. Eppure, anche questo frammento di dolore non spegne l’energia sottile del desiderio: il poeta vorrebbe “correre d’albero in albero nel frutteto delle ore” – un’immagine che fonde natura e tempo, libertà e gioco. Il giorno scorrerà, verrà il tramonto, e infine la notte.
Ma oltre quella notte, c’è una promessa: “mi aspetterà / spero / il sapore di un nuovo azzurro”. L’azzurro torna, come sigillo del testo: non più quello del mattino, ma un altro, futuro. È un colore che diventa metafora del domani, dell’attesa, della fiducia ostinata nel rinnovarsi delle cose.
In questa chiusa, silenziosa e potente, risuona tutto l’universo poetico di Hikmet: un’eterna ricerca della bellezza nel quotidiano, un amore per la vita che resiste, anche nei giorni più fragili.