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“Mmatine d’autunne”, il tema della memoria nella poesia di Vittorio Clemente

Nel giorno in cui ricorre l’anniversario della nascita del poeta abruzzese Vittorio Clemente, lo ricordiamo con una delle sue poesie più belle: “Mmatine d’autunne”.

Vittorio Clemente è uno dei più importanti poeti dialettali del Novecento, apprezzato moltissimo per i suoi componimenti ma anche per i lavori dedicati alla letteratura infantile e alla pedagogia.

Clemente nasceva il 12 aprile 1895 a Bugnara, in Abruzzo. Nel giorno in cui ricorre l’anniversario della sua nascita, ricordiamo il poeta attraverso una delle sue liriche più belle ed emozionanti, “Mmatine d’autunne”, che affianca all’amore per la terra natia la tematica della memoria tanto cara all’autore, e ci fornisce uno splendido esempio di poesia lirica dialettale.

Leggiamo insieme la poesia “Mmatine d’autunne”.

Mmatine d’autunne

Quanda malengunìe chéscta mmatine
pe llu ciéle bianghicce, senza cande!
I lla cambagne è ttriscte ’mm’annu piande,
cumm’annu piande doce senza fine…

Càschene lle foglie da le piande
chiane chiane nghe nnu frusce de trine…
De tande belle rose allu ciardine
o quande spine sò rremascte, quande!

Sò sfiurite lle rose, i cchiane chiane
svanìsçene glie suónne; éndr’allu core
de la bella staggione ce remane

nu recúorde nghe nn’ómbre de dulore…
Na vocia chiara canda da lundane:
Povere amore mëe, povere amore!

Mattine d’autunno

Quanta malinconia questa mattina
per il cielo bianchiccio, senza canti!
E la campagna è triste come un pianto,
è come un pianto dolce senza fine…

E cadono dagli alberi le foglie
piano piano con un fruscio di trine…
Di tante belle rose nel giardino
oh quante spine son rimaste, quante!

Son sfiorite le rose, e piano piano
anche i sogni svaniscono; entro il cuore
della bella stagione ci rimane

un ricordo, ed un’ombra di dolore…
Canta una voce chiara da lontano:
Povero amore mio, povero amore!

Vittorio Clemente, il dialetto abruzzese e il tema della memoria

Vittorio Clemente nasce il 12 aprile 1895 in un paesino abruzzese, Bugnara. Vive un’infanzia serena, cullato dai paesaggi familiari della sua terra e dall’affetto dei suoi cari. La passione per le lettere e in particolare la poesia si manifesta con la partecipazione alla Prima Guerra Mondiale in qualità di soldato di fanteria. In questo periodo, Clemente comincia a scrivere per i giornali di trincea e, in parallelo, compone i suoi primi versi.

Al termine della guerra, lo scrittore si trasferisce a Roma, dove ottiene un incarico per insegnare alle scuole elementari e continua a scrivere poesie ed articoli per vari giornali. Pubblica diverse raccolte, fra cui “Sclocchitte”, datata 1949, che è divenuta una delle opere più famose dell’autore in seguito agli apprezzamenti di Pier Paolo Pasolini, che qualche tempo dopo, colpito dalle opere di Vittorio Clemente, scriverà anche la prefazione ad un’altra raccolta del poeta, “Acqua de magge”.

La fama di Vittorio Clemente non tarda ad arrivare: sono tantissimi gli scrittori del Novecento che parlano di lui in saggi e riviste letterarie e non cessano di mostrare apprezzamento per le sue opere. Giorgio Caproni, Franco Fortini ed Ennio Flaiano sono soltanto alcuni dei nomi, accanto a quello dello stesso Pasolini, che si avvicinano con ammirazione alle liriche di Clemente.

Ciò che più colpisce della produzione di questo autore è la capacità di mescolare il tema della memoria, con cui il poeta si rifà alla tradizione leopardiana e pascoliana, a quello dell’amore per la terra d’origine utilizzando le forme classiche della tradizione poetica italiana e la lingua abruzzese, ricca nel lessico e nell’espressività. Vittorio Clemente risponde così a chi gli chiede il perché della scelta dialettale:

“Scrivo in dialetto per un mio naturale bisogno espressivo. Io mi sento intimamente inserito nella mia terra abruzzese e sento che il mio linguaggio si fa di più ed essenzialmente abruzzese. Il dialetto è un linguaggio e come tale può assurgere ad espressione d’arte”.

E in effetti non c’è nulla di più incisivo, di più vicino ai nostri ricordi, di più forte ed espressivo, di un linguaggio che è quello a cui il nostro orecchio si è abituato sin dal primo momento in cui abbiamo aperto gli occhi: non poteva esserci lingua più adatta del dialetto abruzzese per delle liriche che esprimono la bellezza della natura incontaminata dell’Abruzzo, la malinconia del ricordo e la consapevolezza del tempo che scorre, inesorabile.

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