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“L’onda” di Gabriele D’Annunzio, un’autocelebrazione sonora

“L’onda” è una lunga poesia di Gabriele D’Annunzio contenuta nella raccolta poetica “Alcyone” del 1903

Gabriele d’Annunzio scrive la poesia “L’onda”, di più di cento versi, per rappresentare la sua stessa poetica. Con questa lunga poesia, composta da un’unica strofa, D’Annunzio rievoca il suono e il ritmo delle onde, utilizzando lo strumento da lui meglio conosciuto, ovvero le parole, ricreandone quasi la melodia. Contenuto nella raccolta “Alcyone”, il componimento risale all’agosto del 1902.

“L’onda”

Nella cala tranquilla
scintilla,
intesto di scaglia
come l’antica
lorica
del catafratto,
il Mare.
Sembra trascolorare.
S’argenta? s’oscura?
A un tratto
come colpo dismaglia
l’arme, la forza
del vento l’intacca.
Non dura.
Nasce l’onda fiacca,
subito s’ammorza.
Il vento rinforza.
Altra onda nasce,
si perde,
come agnello che pasce
pel verde:
un fiocco di spuma
che balza!
Ma il vento riviene,
rincalza, ridonda.
Altra onda s’alza,
nel suo nascimento
più lene
che ventre virginale!
Palpita, sale,
si gonfia, s’incurva,
s’alluma, propende.
Il dorso ampio splende
come cristallo;
la cima leggiera
s’arruffa
come criniera
nivea di cavallo.
Il vento la scavezza.
L’onda si spezza,
precipita nel cavo
del solco sonora;
spumeggia, biancheggia,
s’infiora, odora,
travolge la cuora,
trae l’alga e l’ulva;
s’allunga,
rotola, galoppa;
intoppa
in altra cui l’vento
diè tempra diversa;
l’avversa,
l’assalta, la sormonta,
vi si mesce, s’accresce.
Di spruzzi, di sprazzi,
di fiocchi, d’iridi
ferve nella risacca;
par che di crisopazzi
scintilli
e di berilli
viridi a sacca.
O sua favella!
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella, numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.
E per la riva l’ode
la sua sorella scalza
dal passo leggero
e dalle gambe lisce,
Aretusa rapace
che rapisce le frutta
ond’ha colmo il suo grembo.
Sùbito le balza
il cor, le raggia
il viso d’oro.
Lascia ella il lembo,
s’inclina
al richiamo canoro;
e la selvaggia
rapina,
l’acerbo suo tesoro
oblìa nella melode.
E anch’ella si gode
come l’onda, l’asciutta
fura, quasi che tutta
la freschezza marina
a nembo
entro le giunga!

Musa, cantai la lode
della mia Strofe Lunga.

Rappresentare sè stesso

Questa poesia è sostanzialmente un’imitazione sonora e ritmica delle onde del mare. Ne vengono ripresi il rumore e il movimento, raccolti tutti in un’unica lunga strofa che ne simula la risacca. I temi affrontati da D’Annunzio nel componimento sono molteplici, dalla natura al movimento, alla musica fino alla guerra. La poesia, però, non è una mera descrizione del mare e delle sue onde, ma bisogna leggere i versi più in profondità. D’Annunzio compone questo testo per descrivere il suo stesso fare poesia, come del resto lui stesso dichiara apertamente alla fine. qui D’Annunzio, infatti, presenta una sorta di manifesto poetico della sua stessa tecnica, una vera auto celebrazione degna della grandezza del Vate.

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“O falce di luna calante”, la poesia di D’Annunzio che celebra la bellezza della luna

Questa sera prendetevi qualche istante per ammirare il cielo stellato, con il bacio della Luna e di Giove e la pioggia di stelle cadenti, le Pegasidi, che sarà visibile ad occhio nudo. Non potevamo non celebrare la bellezza di questo evento con “O falce di luna calante”, una poesia di Gabriele D’Annunzio.

 

Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara nel 1863. Studiò a Firenze presso il Liceo Cicognini e conseguì la licenza liceale, s’iscrisse alla facoltà di lettere di Roma. Dal 1897 al 1903 si dedicò interamente alla produzione teatrale. Nel 1910 si trasferì in Francia dove scrisse testi teatrali in francese. Nel 1925 D’Annunzio ritornò in Italia e partecipò alla Prima Guerra Mondiale come volontario. 1920 proclamò la reggenza del Quarnaro. Nel 1921 lasciò la politica attiva e si stabilì sul Lago di Garda nella villa da lui chiamata il “Vittoriale degli italiani”. Nel 1924 Mussolini lo nomina principe di Montenevoso. Morì il 1° Marzo del 1938.

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