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“L’inverno si prolunga” (1981) di Montale, la poesia sul senso di smarrimento dell’uomo moderno

Questa poesia di Montale, “L’inverno si prolunga”, fa parte della produzione più matura del poeta ligure e racconta il senso di smarrimento dell’uomo moderno.

L’inverno si prolunga” è una poesia meno nota di altre nella vasta produzione di Eugenio Montale. Appartiene all’età matura, e lo si denota tanto nello stile quanto nel contenuto figlio dell’incertezza e della disillusione.

Scopriamo insieme questo componimento, che racconta il senso di smarrimento e i dubbi dell’uomo moderno.

“L’inverno si prolunga” di Eugenio Montale

L’inverno si prolunga, il sole adopera
il contagocce. Non è strano che noi
padroni e forse inventori dell’universo
per comprenderne un’acca dobbiamo affidarci
ai ciarlatani e aruspici che funghiscono ovunque?
Pare evidente che i Numi
comincino a essere stanchi de presunti
loro figli o pupilli.
Anche più chiaro che Dei o semidei
si siano a loro volta licenziati
dai loro padroni, se mai n’ebbero.
Ma…

Il significato di questa poesia

Dove leggere “L’inverno si prolunga”

“L’inverno si prolunga” non ha un titolo specifico. La denominiamo prendendo in prestito il primo verso del componimento, così come accade in molti dei testi appartenenti alla stessa opera: si tratta della terza poesia contenuta nella raccolta “Altri versi e poesie disperse”, pubblicata nel 1981 all’indomani della scomparsa dell’autore ligure.

Questa, così come tutte le altre raccolte che compongono l’opera omnia del poeta, si possono leggere nel volume “Eugenio Montale. Tutte le poesie”, edito da Mondadori in vari formati per venire incontro alle esigenze di qualunque fruitore.

Il disincanto nello stile riflette quello del contenuto

Lo stile di Montale in questa poesia è asciutto e tagliente, eppure carico di un’ironia sottile che si insinua tra le parole. Il verso libero, con un ritmo spezzato e irregolare, rispecchia l’incertezza del pensiero e la disillusione del poeta.

Il lessico è concreto e quotidiano, ma punteggiato da immagini che evocano un senso di distanza e incomprensione: il “contagocce” che scandisce l’avaro sole, gli “aruspici” che proliferano come funghi.

La struttura stessa del testo si apre a una riflessione che sembra dissolversi nel vuoto, culminando in un’invocazione interrotta: il “Ma…” finale lascia il lettore sospeso, come se il poeta volesse suggerire una risposta impossibile o un dubbio irrisolvibile.

La condizione dell’uomo moderno

“Non è strano che noi
padroni e forse inventori dell’universo
per comprenderne un’acca dobbiamo affidarci
ai ciarlatani e aruspici che funghiscono ovunque?”

Il contenuto della poesia riflette il senso di smarrimento dell’uomo moderno di fronte all’universo e alla propria condizione.

Eugenio Montale ironizza sulla presunta centralità dell’essere umano, “padrone e forse inventore dell’universo”, che tuttavia si ritrova incapace di comprenderne il significato senza affidarsi a falsi profeti e superstizioni.

L’idea di un mondo ormai privo di certezze trascendenti si fa strada nei versi: gli dèi, se mai sono esistiti, sembrano essersi ritirati, stanchi delle invocazioni dei mortali. E, ancora più paradossale, anche loro stessi, semidei o esseri superiori, potrebbero essersi dimessi dalla loro funzione, abbandonando ogni gerarchia.

La poesia disegna così un panorama in cui non vi è più una guida né un ordine prestabilito: resta solo l’incertezza, espressa magistralmente in quell’ultima parola tronca che si perde nell’indefinito.

Chi era Eugenio Montale

Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 da una famiglia benestante. Premio Nobel per la Letteratura nel 1975, ha saputo raccontare la nostra storia, la nostra società, ma anche la nostra natura più intima, attraverso componimenti straordinari che hanno lasciato un solco indelebile nella storia della poesia.

Ha vissuto in uno dei periodi più complessi della storia dell’umanità, e alcune delle sue poesie sono il risultato della violenza che ha visto e vissuto. Anche la successiva disillusione origina, verosimilmente, dal mondo che egli ha abitato.

Scompare a Milano, città in cui ha abitato per anni, il 12 settembre 1981, mentre è ricoverato in una clinica a causa di una vasculopatia.

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