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“Le cicale” (1857) di Giosuè Carducci, un sublime canto per celebrare l’estate

Con "Le cicale" Giosuè Carducci ricrea un affresco in cui il canto si fa simbolo di estate e di vitalità.

Vogliamo salutare il mese di giugno, che si appresta a concludersi, con un affresco estivo di Giosuè Carducci che si intitola “Le cicale” ed è stato composto nel 1857, quando l’autore aveva poco più di vent’anni.

In questo componimento, Carducci sfrutta il senso dell’udito per raccontare l’estate attraverso una delle sue scene più tipiche: la vita che scorre, lenta e luminosa, mentre il canto delle cicale riempie l’atmosfera di energia e vitalità.

“Le cicale” di Giosuè Carducci

Cominciano agli ultimi di giugno, nelle splendide
mattinate; cominciano ad accordare in lirica
monotonia le voci argute e squillanti.

Prima una, due, tre, quattro, da altrettanti alberi;
poi dieci, venti, cento, mille, non si sa di dove,
pazze di sole; poi tutto un gran coro che aumenta
d’intonazione e di intensità col calore e col luglio, e
canta, canta, canta, sui capi, d’attorno, ai piedi
dei mietitori.

Finisce la mietitura, ma non il coro. Nelle fiere
solitudini sul solleone, pare che tutta la pianura
canti, e tutti i monti cantino, e tutti i boschi cantino…

Il suono dell’estate

Cominciano agli ultimi di giugno, nelle splendide
mattinate; cominciano ad accordare in lirica
monotonia le voci argute e squillanti.

Sono gli ultimi giorni di giugno e il caldo avanza, insieme all’estate appena incominciata. Piccole creature dalla voce acuta e squillante iniziano ad abitare i balconi, i giardini, le strade alberate. Con il loro verso, così distintivo, sembrano essere delle sentinelle che annunciano la stagione estiva.

“Le cicale” di Giosuè Carducci ha per protagonisti questi affascinanti insetti che con il loro canto suscitano emozioni e ricordi in chi lo ascolta. Più l’estate si inoltra, più le cicale cantano, innamorate del caldo e della vita, come a volerci insegnare che non esistono ostacoli che non possano essere sormontati, e che i momenti vanno goduti appieno, con tutti i sensi, con tutto il cuore.

Prima una, due, tre, quattro, da altrettanti alberi;
poi dieci, venti, cento, mille, non si sa di dove,
pazze di sole; poi tutto un gran coro che aumenta
d’intonazione e di intensità col calore e col luglio, e
canta, canta, canta, sui capi, d’attorno, ai piedi
dei mietitori.

Le cicale iniziano a cantare una ad una, isolate, lontane, ciascuna appollaiata sul proprio albero. Poi, la voce singola si fa coro. Sembra un concerto sinfonico, quello cui assistiamo nelle sere d’estate e che ci riporta alle memorie dei giochi d’infanzia, quando i cuori erano più leggeri e gli occhi più sorridenti.

Così, in tre strofe di versi liberi, che ricalcano quasi la prosa, Giosuè Carducci riesce a incapsulare il canto delle cicale ma anche il ricordo dei tramonti estivi, del calore della natura e del cuore.

Chi era Giosuè Carducci

Giosuè Carducci nasce il 27 luglio 1835 a Valdicastello, vicino Lucca.  Dopo i primi studi, nel 1853, viene ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa dove uscirà, laureato in Filologia, nel 1856.

Partecipa agli incontri della società “Amici Pedanti” che si batte per un immediato ritorno al classicismo della letteratura contro la modernità e le nuove idee del Romanticismo.

Dopo la morte del fratello, nel 1870 Giosuè Carducci perde la madre e uno dei figli avuti nel primo matrimonio, eventi che sconvolgono la vita del poeta e segnano profondamente la sua produzione.

Nel 1890, Giosuè Carducci diventa il vate dell’Italia umbertina e viene nominato senatore del Regno.  La sua carriera viene coronata dall’ottenimento del premio Nobel per la letteratura nel 1904.  A pochissimi anni da questo meritato successo, Giosuè Carducci viene a mancare per una broncopolmonite: è il il 16 febbraio del 1907.

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