In un’epoca come la nostra, segnata da conflitti frammentati — come li ha definiti Papa Francesco, “una terza guerra mondiale combattuta a pezzi” — torna potente in eco un poeta del passato: Jacques Prévert.
Composta alla vigilia della capitolazione francese del Secondo Conflitto Mondiale (intorno al 1940) e contenuta nella raccolta “Histoires”, “Le chiavi della città” sembra uscita dalle cronache di oggi: parla di guerre, ingiustizie, soprusi di potere, perfino manipolazioni simboliche.
Rileggendola, scopriamo una lucida profezia: dove la democrazia svanisce, la violenza cresce — e con essa, le chiavi consegnate al potere cieco e sanguinario.
“Le chiavi della città” di Jacques Prévert
Le chiavi della città
Son macchiate di sangue
L’Ammiraglio e i topi han lasciato la nave
Già da lungo tempo
Anna Anna sorella mia
Non vedi venir nulla
Vedo nella miseria il piede nudo d’un bimbo
E il cuore dell’estate
Già stretto dentro i ghiacci dell’invernoIo vedo nella polvere macerie della guerra
E i cavalieri d’industria pesante
A cavallo di ufficiali di cavalleria leggera
Caracollare sotto l’arco
Al suono di una musica da circo
E padroni delle ferriere
E maestri di ballo
Dirigere una quadriglia gelida ed immobile
Dentro la quale le famiglie povere
In piedi davanti al buffè
Guardan senza dir nulla i fratelli liberati
I fratelli liberati
Di nuovo minacciati
Da un vecchio mondo senile esemplare e taratoE vedo te Marianna
Povera sorella mia
Ancora una volta impiccata
Nella camera buia della storia
Col collo incravattato dalla Legion d’Onore
E vedo te
Barbablù bianco rosso
Sorridente e impassibile
Mentre consegni le chiavi della città
Le chiavi macchiate di sangue
Ai grandi servitori dell’Ordine
L’ordine dei grandi potentati dell’oro.
Il significato di questa poesia
Decodificare la poesia
Prévert apre sul simbolo inquietante delle chiavi macchiate di sangue: consegnate da Barbablù alla sua Anna, simbolo della fiducia tradita. Ma anche da chi guida la Repubblica francese — la “Marianna” impiccata dalla storia — in un salto storico e simbolico che mescola fiaba e tragedia.
Il riferimento a Perrault è esplicito: la favola di Barbablù richiama il traditore che uccide la moglie, mentre Prévert trasla l’omicidio su scala politica.
“Son macchiate di sangue”: un’immagine forte che introduce la sconfitta, i fantasmi del potere che abbandona la nave prima del crollo (“L’Ammiraglio e i topi han lasciato la nave”).
La nave è la Francia, ma anche ogni Stato che tradisce i suoi ideali, i suoi cittadini. È il piatto del potere che, affondando, se ne lava le mani mentre le mani comuni raccolgono macerie.
Anna, Marianna e la storia
Nel secondo blocco — “Anna Anna sorella mia… vedo nella miseria il piede nudo d’un bimbo” — Prévert usa la doppia invocazione simbolica: Anna (della fiaba) e Marianna (icona della Repubblica).
Entrambe vittime: la prima uccisa dal marito, la seconda tradita dal proprio popolo e dal potere. L’immagine del cuore dell’estate chiuso nei ghiacci dell’inverno racconta il mescolarsi di tempo e tragedia: l’estate è la promessa, l’inverno la costrizione.
Così, si spalanca la desolazione: “macerie della guerra” e “cavalieri d’industria pesante” che ballano una danza di circo su corpi umani, come in un cruento sosia del potere che celebra sé stesso mentre la gente muore. È lo stesso potere misterioso e insensibile che oggi governa in conflitti “a pezzi”, oppressioni regionali, ingiustizie globali.
Il finale, un monito
Nel finale, si ricompone la chiave simbolica: le chiavi della città consegnate ai “grandi servitori dell’Ordine / dell’oro”.
Un ordine che non è solo francese, ma universale: l’ordine dei potenti, delle loro corporation, delle lobby militari ed economiche.
Un ordine che oggi, come allora, segna territori con la forza, ignora la vita, comanda silenzi e indebolisce democrazia. Il poeta ne fa un monito. Anna, Marianna, Barbablù: figure intrecciate e contrastanti, tutte vittime ingannate.
Un richiamo all’attenzione: la poesia non è solo elegia del passato, ma specchio di corruzione morale e politica — come la guerra continua, a pezzi e con la complicità del silenzio.
Le anime di Jacques Prévert
Jacques Prévert non era solo un surrealista giocoso: era un poeta civile, con sguardo spietato sulle ingiustizie sociali.
Nella sua biografia vediamo come sia cresciuto in un ambiente di povertà, dissenso, coscienza politica, vicino ai poveri e lontano dagli integralismi.
“Le chiavi della città” emerge proprio da questa tensione tra ironia e indignazione, favola e storia, passato e necessità presente.
E oggi, dopo decenni di guerre sparse — come in Ucraina, Gaza, Africa — le parole di Prévert suonano come avvertimento: accettiamo chiavi sporche, non opponiamo resistenza, e alla fine siamo noi a pagare.
Papa Francesco ha più volte denunciato una “terza guerra mondiale a pezzi” che minaccia civiltà, democrazia e umanità.
Un invito alla lettura e alla consapevolezza
Rileggere “Le chiavi della città” oggi significa riscoprire una poesia di grande potenza civile, una voce che ancora sa parlare al nostro presente. Lo fa non con slogan, ma con la grazia tagliente dell’allegoria.
Ci ricorda quanto sia importante non accontentarsi della superficie: interpretare, indagare, capire. La poesia diventa allora uno strumento per leggere meglio la realtà, per riconoscere le crepe nei discorsi ufficiali, per scoprire la violenza dietro i sorrisi di convenienza.
Ci invita a riconoscere il pericolo di affidare le redini del nostro presente a chi agisce senza scrupoli, con l’apparenza dell’onore — la “Legion d’Onore” che strangola Marianna — ma con l’intento di mantenere il potere e soffocare il dissenso.
Ci parla anche di chi resta ai margini, dei bambini scalzi, delle famiglie mute davanti al buffet dei potenti. È una poesia che restituisce dignità alla rabbia, che dà voce alla delusione e alla consapevolezza.
In definitiva, leggere oggi questa poesia di Jacques Prévert significa esercitare uno sguardo vigile, poetico e politico. Significa ricordare che anche le chiavi, oggetti minimi, possono aprire — o chiudere — destini. Sta a noi decidere a chi lasciarle in mano.