L’Addio di Nazim Hikmet, poesia sul dolore silenzioso della separazione d’amore

23 Agosto 2025

Scopri la magia de "L'Addio" la poesia di Nazim Hikmet che dà voce a tutti coloro che sono costretti a separarsi anche se è vivo l'amore.

L'Addio di Nazim Hikmet, poesia sul dolore silenzioso della separazione d'amore

L’Addio la poesia di Nazim Hikmet è un meraviglioso dialogo in poesia che potrebbe benissimo essere la scena di un film. Il poeta ci propone la rappresentazione più alta e profonda della separazione. È il drammatico racconto di un momento che segna qualcosa d’importante e che segna per tutta la vita: la separazione.

In tanti possono ritrovarsi nell’immagine che offre il poeta della separazione. Non un semplice lasciare la donna che si ama, ma abbandonare tutto ciò che ti ha accompagnato nella vita. Nazim Hikmet con questa poesia diventa l’ambasciatore di tutti gli esuli. Coloro che sono costretti a lasciare la loro terra in cerca di un destino migliore, per lavoro, per amore, per disperazione, per paura, per scelta.

L’Addio è inclusa nella raccolta Poesie d’amore (Milano, Mondadori 1963) e sinceramente a leggerla lascia senza fiato. Nazim Hikmet è costretto ha lasciare la sua terra, tutto ciò che ha sempre amato perché è impossibile per lui poter vivere libero.

Leggiamo la poesia di Nazim Hikmet per viverne la sensibile atmosfera e coglierne il messaggio.

L’Addio di Nazim Hikmet

L’uomo dice alla donna
t’amo
e come:
come se stringessi tra le palme
il mio cuore, simile a scheggia di vetro
che m’insanguina i diti
quando lo spezzo
follemente.

L’uomo dice alla donna
t’amo
e come:
con la profondità dei chilometri
con l’immensità dei chilometri
cento per cento
mille per cento
cento volte l’infinitamente cento.

La donna dice all’uomo
ho guardato
con le mie labbra
con la mia testa col mio cuore
con amore con terrore, curvandomi
sulle tue labbra
sul tuo cuore
sulla tua testa.
E quello che dico adesso
l’ho imparato da te
come un mormorio nelle tenebre
e oggi so
che la terra
come una madre
dal viso di sole
allatta la sua creatura più bella.
Ma che fare?
I miei capelli sono impigliati ai diti di ciò che muore
non posso strapparne la testa
devi partire
guardando gli occhi del nuovo nato
devi abbandonarmi.

La donna ha taciuto
si sono baciati
un libro è caduto sul pavimento
una finestra si è chiusa.

È così che si sono lasciati.

L’Addio, il dialogo poetico che diventa scena di vita e di esilio

L’Addio di Nazim Hikmet è una delle sue poesie più intense e teatrali, in cui l’amore e la separazione diventano scena, corpo e silenzio. Il poeta turco racconta con immagini potenti e intime il momento più doloroso di una relazione: la separazione.

Non ci sono grida né rancori, ma la tensione di un sentimento vissuto fino all’estremo e costretto a spezzarsi. L’uomo parla con la forza assoluta della passione, la donna con la lucidità di chi ha imparato dall’amore ma sa che bisogna lasciarsi. Il risultato è un piccolo dramma in versi, dove la fragilità del cuore, la necessità del distacco e il silenzio finale diventano universali, toccando chiunque abbia conosciuto la grandezza e la fine di un amore.

Il contesto dell'”addio”

La poesia L’Addio fa parte della raccolta Poesie d’Amore, una delle più celebri di Nazim Hikmet. Già dal titolo, il tema centrale è evidente: l’amore. Ma per Hikmet l’amore non è mai un sentimento privato o esclusivo, bensì un’esperienza totale e universale.

L’amore è la moglie Munnevvér, il figlio Mehmet, la patria lontana. L’amore è anche il cibo, il vino, il mare, le città che attraversa da esule, gli uomini e le donne che incontra lungo il suo cammino, fino a diventare fiducia nel futuro e speranza in un mondo migliore.

La raccolta si apre con le Lettere dal carcere a Munnevvér, scritte durante la lunga detenzione in Anatolia a cui fu condannato nel 1938 per le sue idee comuniste. In queste pagine, l’amore diventa salvezza: trasforma i muri spogli della cella in prati fioriti e ridona al poeta la forza di resistere.

La seconda sezione, Fuori dal carcere, raccoglie i testi scritti dopo la liberazione: qui troviamo L’Addio, che riflette il dolore di un amore segnato dal destino dell’esilio. È la voce di un uomo che deve lasciare la Turchia e gli affetti più cari, sospeso tra la gioia per la nascita del figlio e il timore di un nuovo arresto.

Le sezioni successive raccontano il lungo vagabondare di Hikmet, diviso tra lacerazione e speranza. I suoi versi restituiscono immagini di città ferite dalla guerra ma anche di umanità accesa dall’amore, capace di rinascere come un fiore di primavera. Fino ad arrivare alle ultime riflessioni sul senso della vita, sulla democraticità della morte e sull’eredità poetica dei maestri che lo hanno ispirato.

Quando separarsi diventa silenzio assoluto

La poesia si apre con una dichiarazione che ha la forza di un urlo e la delicatezza di una confessione: “t’amo / e come”. Hikmet non si accontenta di dire “ti amo”. Lo spiega, lo mostra, lo fa sanguinare tra le mani. Il cuore è descritto come una scheggia di vetro che si rompe e ferisce. Amare significa allora anche farsi male, perché l’amore non è mai soltanto dolcezza, ma un’esperienza che incide, che lascia segni sulla pelle e nell’anima.

Subito dopo, l’amore diventa misura impossibile. I chilometri, i numeri, il “cento volte l’infinitamente cento”. Il poeta vuole enfatizzare l’eccesso, amare significa non trovare argini. Hikmet ci fa sentire quanto un sentimento possa essere smisurato, fuori scala, talmente vasto da non poter essere racchiuso in nessuna parola comune.

La risposta della donna si muove invece su un altro registro. Non parla di numeri, ma di corpo e di cuore: “ho guardato con le mie labbra, con la mia testa, col mio cuore”. È un amore che è passione, ma anche cura, ascolto, apprendimento. Lei confessa di aver imparato dall’uomo ad amare, come un sussurro nell’oscurità. L’immagine che usa subito dopo, la terra che nutre come una madre, trasforma l’amore in un principio universale: un’energia che sostiene, che accoglie, che dà vita.

Ma arriva il punto più drammatico. “I miei capelli sono impigliati ai diti di ciò che muore”. È un’immagine crudele e meravigliosa: la donna riconosce di essere legata a ciò che non può più vivere, a un destino che si deve compiere. E allora la separazione diventa inevitabile. Non si tratta soltanto di lasciare l’amato, ma di lasciare un mondo intero, una vita, una patria. È la voce degli esuli, di chi è costretto a partire guardando ancora negli occhi ciò che ama.

Il finale è cinematografico. Non servono più parole: c’è il silenzio della donna, un bacio, un libro che cade, una finestra che si chiude. Gesti minimi che però portano con sé il peso di un universo che si spezza. È così che l’amore diventa storia, che il privato diventa universale. Hikmet chiude con una frase secca, quasi cronachistica: “È così che si sono lasciati”. Un epilogo asciutto, che lascia il lettore senza respiro, sospeso tra il dolore e la grandezza di un sentimento assoluto.

L’Addio come metafora universale di amore ed esilio

L’Addio non è soltanto la storia di due amanti che si separano. È il racconto di ogni separazione, di ogni distacco che lascia il segno nella vita. Nazim Hikmet trasforma l’esperienza personale dell’esilio in un’immagine collettiva, capace di parlare a chiunque abbia conosciuto il dolore di lasciare qualcuno o qualcosa di amato.

Nel dialogo tra l’uomo e la donna si intrecciano due linguaggi diversi ma complementari. La passione smisurata e irrazionale dell’amore e la consapevolezza tragica della separazione inevitabile. Il risultato è una poesia che commuove per la sua autenticità e che, ancora oggi, riesce a rappresentare il sentimento universale di chi deve partire, di chi deve abbandonare, di chi è costretto a rinunciare pur continuando ad amare.

È per questo che L’Addio rimane una delle pagine più alte della poesia del Novecento. Una scena che potrebbe essere teatro, cinema, vita vissuta. Un addio che appartiene a Hikmet, ma che appartiene anche a ciascuno di noi.

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