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La Vendemmia, la poesia di Giovanni Pascoli dedicata alla raccolta dell’uva

Scopri la bellezza di La Vendemmia di Giovanni Pascoli dedicata alla raccolta dell'Uva e alle emozioni delle mamme quando crescono i loro figli

La Vendemmia รจ una poesia scritta da Giovanni Pascoli che fa parte della raccolta i Nuovi Poemetti (1909).

Una poesia che celebra la stagione della raccolta dell’uva e, nel secondo canto, il racconto delle emeozioni che ogni mamma vive quando i bimbi crescendo iniziano ad affrontare la vita.

Pensiamo ai bambini che iniziano la scuola e agli occhi della mamma nel vedere la propria creatura crescere e lasciare casa senza di lei.

La Vendemmia: 2 canti, 2 emozioni diverse

Una poesia divisa in 2 canti dove nel primo emerge tutta la magia dell’uva raccolta e nel secondo l’emozionate momento in cui la mamma (tutte le mamme) si rendono conto che il proprio bimbo รจ cresciuto.

La Vendemmia รจ una poesia che si fa racconto. Al centro le magiche atmosfere che solo la natura riesce a donare abbinate alle emozioni del legame materno per i figli.

La rappresentazione della natura รจ sempre vivida e suggestiva negli scritti di Giovanni Pascoli, quasi a simboleggiare un rifugio dalla frenesia di un mondo caotico e crudele.

E in La Vendemmia sembra immergersi nel vigneto settembrino.

La Vendemmia nei Poemetti

Abbiamo detto che La Vendemmia fa parte della raccolta i Nuovi poemetti di Giovanni Pascoli. 

Queste opere vengono definite poemetti perchรฉ hanno il carattere narrativo molto accentuato, tipico dei romanzi.

In realtร , all’inizio Giovanni Pascoli aveva previsto una sola raccolta I Poemetti.

Solo dopo furono divisi in 2 opere diverse anche anche dal punto di vista tematico.

La prima, intitolata Primi poemetti, venne pubblicata nel 1904. La seconda, Nuovi poemetti, nel 1909. 

Nei Primi Poemetti, Giovanni Pascoli racconta, attraverso quattro capitoli, la vita agreste e bucolica dei contadini della Garfagnana.

La natura e la campagna sono per Giovani Pascoli il luogo di protezione e di sicurezza in cui l’uomo puรฒ trovare rifugio dalle angosce dell’esistenza. 

Nei Nuovi poemetti emergono tutta l’angoscia del poeta riguardo  al mistero dell’universo e al rapporto dell’uomo con esso.

In questa raccolta emerge il senso di frustrazione che l’uomo e la Terra provano guardando all’immensitร  dell’universo e giunge alla conclusione del totale disinteresse divino rispetto agli avvenimenti mortali.

La Vendemmia, Giovanni Pascoli

Canto primo

โ€” Una vendemmia fa, cosรฌ, piacere!
Nemmeno un chicco marcio nella pigna.
โ€” E tutte pigne, salde fisse nere.

โ€” Uva dโ€™alberi, e pare uva di vigna.
โ€” Ma qui ci son dโ€™agosto le cicale
da levar gli occhi! qui la vite alligna!

โ€” Porta il bigoncio. โ€” รˆ pieno.
โ€” Avessi lโ€™ale!
Avessi lโ€™ale dโ€™una rondinella!
Il nido lo farei nel tuo guanciale.

โ€” Guarda: la vespa vuole la piรน bella.
โ€” Lโ€™ape fa il miele, eppur le basta un fiore,
fior di trifoglio, fior di lupinella.

โ€” Ha fatto buono allโ€™uva lo stridore
di tutta estate. โ€” Ciรฒ che fa per lโ€™una,
non fa per lโ€™altro. โ€” Ora, contava lโ€™ore.

โ€” Qua le canestre, donne.
โ€” O bella bruna!
Quando nascesti, in cielo una campana
sonava sola, al lume della luna.

โ€” Questa la stenderete sullโ€™altana:
รจ troppo bella per andar nel tino.
โ€” Ma anche quello รจ come vin di grana!

โ€” Non ci fu pioggie, non ci fu lo strino.
โ€” Portate bere. Molto allโ€™uva aggrada
sentirsi in viso lโ€™alito del vino.

โ€” Pigia il bigoncio un poโ€™.
โ€” โ€œSono in istrada.
E che mi dร i, che mi conviene andare?โ€ž
โ€œUn bacio in bocca, perchรจ tu non vadaโ€ž.

โ€” La paradisa ha pigne lunghe e chiare,
e tutti dโ€™oro sono i chicchi, e hanno
il sole dentro, il sole che traspare.

โ€” Rigo, di tutte queste qui, si fanno
cipelle, acchรจ, tu con la moglie accanto,
ne mangi allโ€™alba, il primo dรฌ dellโ€™anno.

Lโ€™uva vuol dire il buono, il bello, il tanto.
E porta bene, o Rigo.
โ€” Ho contro, io sento,
fin le finestre, e quando passo e canto,

si chiudono da loro senza vento.

II

Cosรฌ staccavi la dolce uva, alfine,
coโ€™ tuoi vicini, chรจ i vicini sono
mezzo parenti, e con le tue vicine,

o Rigo. Il tempo era da un pezzo al buono,
e la vendemmia si cocea matura
anche a bacรฌo; quando sentisti un tuono.

Dicesti: Il bello รจ bello, ma non dura.
E vendemmiasti. Ed era un giorno asciutto,
si scivolava per la grande asprura,

cupo di vespe era un ronzรฌo per tutto,
calda era lโ€™uva e, nei bigonci ancora,
rendeva giร  lโ€™odor del mosto e il flutto.

La gente era venuta sullโ€™aurora
quando la guazza o la nebbietta inerte
vapora in cielo, e il cielo si colora.

Allor le donne ascesero per lโ€™erte,
parlando basso, e recideano a prova
le pigne con le piccole ugne esperte.

Le recideano al nodo che si trova
a mezzo il gambo. Le galline intorno
bandian lโ€™annunzio, ad or ad or, dellโ€™ova.

Ma crebbe il vario favellรฌo col giorno.
Montava, per tagliare le pinzane,
un giovinetto sul pioppo e sullโ€™orno.

Cantava poi, quandโ€™erano lontane
le donne, quando in una sua cestella
portava il vino Violetta e il pane.

Ellโ€™era in casa della sua sorella
da un mese e piรน; ma stava per tornare
a casa sua, piรน pallida e piรน bella.

โ€œCโ€™รจ tempo:โ€ž Rigo alla gentil comare
diceva โ€œaddietro รจ lร  da voi la vite.
Poi verrรฒ io: non cโ€™รจ di mezzo il mareโ€ž.

Era un piacere rivederle unite
le due sorelle al solito lavoro!
Ma quelle sere, nellโ€™ottobre mite,

anche si dava che piangean tra loro.

III

Erano quella sera alla finestra.
Salรฌano gli uni coi bigonci pieni,
lโ€™altre scendean con vuota la canestra.

Parlavano nel lungo va e vieni,
alto, che in loro anche parlava il vino.
โ€œSi vuol finire, prima che si ceniโ€ž.

โ€œNon resta che il filare qui vicino.
Saranno due bigonci o tre; ma un poco,
perchรจ li tenga, vuol pigiato il tinoโ€ž.

Il cielo giร  si colorava in fuoco.
Al colmo tino il giovinetto snello
si lanciรฒ su, come provar per gioco.

Stette sullโ€™orlo un poco in piedi, bello,
raggiante tutto del suo bel domani,
a braccia spante, simile a un uccello.

Poi si chinรฒ, sโ€™apprese con le mani
allโ€™orlo, e dentro, fra le pigne frante
tuffรฒ le gambe e sul crosciar dei grani.

Il rosso mosto risalรฌ spumante
sopra i garretti; ed ei girava a tondo
premendo coi calcagni e con le piante.

E il sole rosso illuminava il biondo
vendemmiatore; ed ecco, da un remoto
canto del cielo un tintinnรฌo giocondo.

Uno, dal cielo, accompagnava il moto
dei piedi suoi, di su quei rosei fiocchi,
picchiando in furia sur un bronzo vuoto…

Lโ€™altro moveva rapidi i ginocchi
sul rosso mosto, anche movea la testa
ben in cadenza, il sole in mezzo agli occhi.

Ma era un suono di campane a festa.
E quei pigiava; quando, allโ€™improvviso,
Rosa lassรน, Rosa, giร  muta e mesta,

si levรฒ su, molle di pianto il viso
con un singhiozzo, e Violetta, china
a guardar fuori immersa in un sorriso,

si volse bianca, e mormorรฒ: Rosina!

 

Canto Secondo

I

โ€œRosina! Lโ€™hai promesso anche stamane…
Non pianger piรน!โ€ž Ma Rosa pianse ancora,
tra il suono a festa delle due campane.

โ€œO Violetta, mi pareva or ora
fosse la gloria per un angiolino…
oh! come quando… Fu dopo lโ€™aurora.

Sentii parlare ed un odor vicino.
Avean qualche garofano e viola:
una ghirlanda per il mio bambino.

E cโ€™era il prete, il prete con la stola.
โ€” Ma tutto ha qui! le robe sue ben fatte,
la sua cunella con le sue lenzuola,

e un petto ancora pieno del suo latte!

II

Non vuol venire. รˆ tristo, che fa pena.
Oh! come รจ tristo! In vero รจ cosรฌ poco
che ride un poco! Ci ha imparato appena! โ€”

Ricordo: un giorno lo sfasciavo, al fuoco,
e lo guardavo. Ei tese il dito a un occhio.
Lo vide lustro, gli pareva un gioco,

chi sa? vedeva un altro bel rabocchio
lรฌ dentro. E io me lo tenea lontano,
lo patullavo in alto dโ€™in ginocchio,

gli prendea la manina nella mano,
e la scoteva, gli facea le rise;
ed ecco, anchโ€™egli si provรฒ pian piano,

fece bel bello le fossette, e rise.

III

Rise. Mโ€™avea riconosciuta: ero io:
la mamma, ahimรจ!… Prima, diceva al seno,
con gli occhi e con le due manine, รˆ mio!

Dopo, ero sua, tutta, nรจ piรน nรจ meno.
E se vagiva e se piangeva, al suono
della mia voce si facea sereno.

Comโ€™era savio! Come savio e buono!
A volte, quando era a dormir di giorno,
entravo, udito un grido, un tonfo, un tuono…

Sโ€™รจ desto? Nulla. Qualche mosca intorno
ai vetri… Alzavo il velo della culla.
Sul guancialino coi belli orli a giorno,

ridea tra sรจ, guardando in alto a nulla.

IV

Oh! non a nulla! Egli rideva, io penso,
con gli angioletti. Io ci sentii lโ€™odore
di gigli, a volte; o un vago odor dโ€™incenso.

Nella sua stanza essi venian nellโ€™ore
calde che i bimbi dormono. Alla gola
uno lo vellicava con un fiore;

e tutti attorno alla cunella sola
facean i giochi, ed eโ€™ guardava attento,
come lassรน si canta e suona e vola;

scoteano i loro cembali dโ€™argento,
battean sui loro tamburelli vani…
Entravo, via sparivano col vento:

rideva esso, annaspando con le mani.

V

Ma poi… piangeva. Mi si fece bianco
e stento, e quando lo attaccava al petto,
succhiava un poco e poi pareva stanco.

Non mi voleva. Quasi avea dispetto
della sua mamma. Quante nโ€™ho cantate,
di ninnenanne, senza toccar letto!

Me lo ninnavo in collo le nottate
intere al fresco, uscendo con lui fuori
al lucciolรฌo dellโ€™odorosa estate.

Pensavo ai mesi chโ€™ebbi in me due cuori…
Come piangeva or lโ€™uno e lโ€™altro, accanto!
E tra quella allegria di grilli mori

come passava triste ora quel pianto!

VI

โ€” Ma che vuoi dunque? Andar con loro? E chโ€™io
ti lasci andare? A me, tu lo domandi?
Per me tโ€™ho fatto! โ€” Eppure un giorno, addio!

โ€” Hai pianto e pianto a ciรฒ che ti rimandi
donde sei sceso. Ora ti lascio alfine! โ€”
Restรฒ con gli occhi aperti fissi grandi.

Gli misi la cuffietta con le trine;
la sua camicia, la sua vesticciola,
gli misi i fiori nelle sue manine.

Lโ€™accomodavo senza far parola,
quando dโ€™un tratto udii parlar da basso.
Gli misi le scarpine con la suola

nova, pulita… O Dio, nemmeno un passo!

VII

La terra, non lโ€™avean toccata ancora!
oh! i miei piedini!… I bimbi della scuola
venner coi fiori un poโ€™ dopo lโ€™aurora.

E cโ€™era il prete, il prete con la stola.
Era pronto il bambino, era vestito.
Quando sonรฒ la gloria alla chiesuola…

Che scampanรฌo festoso ed infinito!
Lโ€™angiolo andava a gli angioli, a cui tanto
avea sorriso tacito e romito.

E va, va pure, piccolo mio santo…
Cosโ€™รจ la mamma? E che puรฒ darti? Il petto
e un poโ€™ di latte; il cuore, un cuore affranto;

e poi, cosโ€™altro? Oh! niente, angiolo eletto.

VIII

Va dunque, e tu, veglia su lei, su loro.
E cosa ha fatto ella per te? Tโ€™ha fatte
due camicine: non un gran lavoro!

Lassรน quellโ€™uomo batte batte batte
sulle campane… Io guardo il bimbo, muto
con gli occhi aperti, gli occhi ancor di latte…

Ah! che capii, che non avea voluto,
che non voleva! Quel gran pianto, oh! era,
che non voleva, e mi chiedeva aiuto!

Nella cassina stava lรฌ, di cera,
con le manine che facean Gesรน,
con gli occhi aperti sino da ier sera:

guardava… โ€” O mamma, che non mi vuoi piรน! โ€” โ€ž

IX

Piangea piรน forte, ma sโ€™alzรฒ smarrita.
Sentiva, dentro, un rodere, un discreto
grattare allโ€™uscio, allโ€™uscio della vita;

ma cosรฌ piano, ma cosรฌ segreto,
cosรฌ lontano… Avea tre mesi appena…
Era giร  buio, e tutto era giร  cheto.

Lโ€™uva era colta, e si dovea far cena.

 

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