La stella di Natale di Boris Pasternak, poesia che celebra il potere della fragilità

26 Dicembre 2025

Scopri il significato profondo de "La stella di Natale" di Boris Pasternak: un inno alla fragilità che sfida il gelo della storia e la dignità all'individuo.

La stella di Natale di Boris Pasternak, poesia che celebra il potere della fragilità

La stella di Natale di Boris Pasternak è una poesia che si impone come un inno alla speranza di chi vive ai margini della storia e cerca un segno capace di dare senso alla propria esistenza. La nascita di Cristo viene raccontata come l’origine di una possibilità nuova, in cui ogni vita acquista valore e ogni individuo diventa degno di essere ascoltato, anche quando nasce nel freddo, nella povertà e nell’ombra.

In quella notte attraversata dal vento della steppa prende forma una luce che orienta senza imporsi e accompagna senza promettere scorciatoie. È una speranza concreta, destinata ai pastori, ai viandanti, agli ultimi di ogni tempo, che trova nella fragilità il suo punto di forza e nella storia il luogo in cui continuare a vivere.

La stella di Natale fa parte delle Poesie di Jurij Zivago, la parte conclusiva della celebre libro Il dottor Živago di Boris Pasternak, pubblicato per la prima volta nel 1957.

Leggiamo questa meravigliosa poesia di Boris Pasternak, per condividere il profondo significato.

La stella di Natale di Boris Pasternak

Era pieno inverno.
Soffiava il vento dalla steppa.
E aveva freddo il neonato nella grotta
sul pendio della collina.

L’alito del bue lo riscaldava.
Animali domestici
stavano nella grotta,
sulla culla vagava un tiepido vapore.

Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio
e i grani di miglio,
dalle rupi guardavano
assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.

Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero
e recinti e pietre tombali
e stanghe di carri confitte nella neve,
e sul cimitero il cielo tutto stellato.

E lì accanto, mai vista sino allora,
più modesta d’un lucciolo
alla finestrella d’un capanno,
traluceva una stella sulla strada di Betlemme.

Bruciava come un pagliaio, in disparte
dal cielo e da Dio,
come il riverbero d’un incendio,
come una fattoria a fuoco e le fiamme in un granaio.

Si levava come un’infiammata bica
di paglia e di fieno
in mezzo a tutto l’universo
inquieto per quella nuova stella.

Un sempre più acceso bagliore rosseggiava
su di lei, intenso di presagio,
e accorrevano tre astrologi
all’appello dei fuochi sconosciuti.

Li seguivano cammelli che portavano doni.
E asinelli bardati, uno più piccolo
dell’altro, a passettini calavano dal monte.
E, in una strana visione dei tempi venturi,
appariva in lontananza ogni cosa che poi avvenne.
Tutti i pensieri dei secoli, tutti i sogni, i mondi,
tutto il futuro delle gallerie e dei musei,
tutti gli scherzi delle fate, tutte le opere dei maghi,
tutti gli alberi di Natale al mondo, tutti i sogni dei bambini.

Tutto il tremolio delle candele accese, tutti i festoni,
tutta la magnificenza del variopinto luccichio…
… sempre più aspro e furioso soffiava il vento della steppa…
… tutte le mele e i globi dorati…

Una parte dello stagno era dietro gli ontani,
ma l’altra anche di là si scorgeva,
oltre i nidi dei corvi e le cime degli alberi.
E potevano distinguere i pastori
gli asini e i cammelli lungo l’argine.
“Andiamo anche noi, inchiniamoci al prodigio”,
dissero legandosi le pelli.

Camminare nella neve li aveva riscaldati.
Tracce di piedi nudi, come fogli di mica,
guidavano alla capanna per la pianura luminosa.
Contro quelle tracce, come alla fiamma d’un moccolo,
ringhiavano i cani alla luce della stella.

La notte di gelo somigliava a una fiaba:
dai monti nevosi, lungo tutto il cammino
scendeva, invisibile, qualcuno fra loro.
I cani esitavano, guardavano inquieti
e, in paurosa attesa, si stringevano ai pastori.

Per quella stessa via, per le stesse contrade
degli angeli andavano, mescolati alla folla.

L’incorporeità li rendeva invisibili,
ma a ogni passo lasciavano l’impronta d’un piede.

Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.
Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.
E a loro: “chi siete?” domandò Maria.
“Noi, stirpe di pastori e inviati dal cielo,
siamo venuti a cantare lodi ai due.”
“Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia.”

Nella foschia di cenere, che precede il mattino,
battevano i piedi muliattieri ed allevatori.
Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;
e accanto al tronco cavo dell’abbeveratoio,
mugghiavano i cammelli, scalciavano gli asini.

Albeggiava. Dalla volta celeste l’alba spazzava,
come granelli di cenere, le ultime stelle.
E della innumerevole folla solo i Magi
Maria lasciò entrare nell’apertura rocciosa.

Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,
come un raggio di luna dietro un albero cavo.
Invece di calde pelli di pecora,
le labbra d’un asino e le narici d’un bue.

I Magi, nell’ombra, in quel buio di stalla,
sussurravano, trovando a stento le parole.
A un tratto qualcuno, nell’oscurità,
con la mano scostò un poco a sinistra
dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
e quello si voltò: sulla soglia, come in visita,
alla vergine guardava la stella di Natale.

Il messaggio della poesia di Pasternak: una speranza che nasce ai margini della storia

La stella di Natale affida al Natale un significato che supera la dimensione religiosa e si apre a una lettura universale della condizione umana. La nascita di Cristo viene raccontata come l’origine di una possibilità nuova, in cui ogni vita acquista valore e ogni individuo diventa degno di attenzione, anche quando nasce lontano dal centro della storia, dal potere e dal riconoscimento.

Pasternak costruisce un inno alla speranza destinato agli ultimi di ogni tempo. Pastori, viandanti, esclusi e creature fragili trovano in quella notte gelida un segno capace di orientare l’esistenza. La luce della stella non promette soluzioni immediate, ma indica una direzione. È una speranza che cammina nella neve, che resiste al vento della steppa e che continua a vivere nella storia come possibilità di senso.

La storia della pubblicazione e il significato di un testo di opposizione a tutti i regimi

Le parole di Boris Pasternak nella poesia nascono all’interno di un contesto storico segnato dal controllo ideologico e dalla repressione della libertà individuale. La poesia fa parte delle Poesie di Jurij Živago, la sezione conclusiva del romanzo Il dottor Živago, completato da Boris Pasternak nel 1955 dopo un lungo processo di elaborazione iniziato nei primi decenni del Novecento.

Nel 1956 il romanzo venne presentato alla rivista Novyj Mir, uno dei principali organi della cultura sovietica. Il rifiuto fu motivato dall’incompatibilità dell’opera con i principi del realismo socialista. Al centro del libro si trovavano infatti la coscienza individuale, la libertà dello spirito e il valore irriducibile della vita umana, elementi che entravano in conflitto con una visione della storia fondata sull’ideologia e sulla collettività astratta.

La diffusione del manoscritto in Occidente e la pubblicazione italiana del 1957 da parte di Giangiacomo Feltrinelli trasformarono Il dottor Živago in un caso internazionale. Intorno al romanzo e alle poesie che lo concludono si concentrò una frattura profonda tra arte e potere. La stella di Natale, con la sua centralità dell’individuo e della speranza, si affermò come una forma di resistenza morale, capace di opporsi al gelo della storia politica attraverso la forza della parola poetica.

Il gelo, la fragilità e l’inizio della storia

La poesia si apre in un inverno assoluto. Il vento della steppa soffia su una grotta esposta, un neonato trema nel freddo, la nascita avviene lontano da ogni protezione. Pasternak sceglie un inizio che toglie ogni retorica al Natale e lo colloca dentro la realtà più aspra. Il gelo non è solo climatico, ma storico ed esistenziale. In questo spazio ostile, la vita appare nuda, affidata a un respiro animale, a un vapore tiepido che vaga sopra una culla. Il sacro prende forma nella materia, nel corpo, nella cura minima che rende possibile la sopravvivenza.

La steppa, con la sua immensità indifferente, circonda la grotta come una forza che potrebbe inghiottire tutto. Proprio lì nasce una verità destinata a resistere. La fragilità diventa il luogo da cui prende avvio la storia dell’individuo.

La stella e il tempo che si apre

Quando la stella appare, non domina il cielo. Traluce, più modesta di un lucciolo, quasi esitante. Il cambiamento decisivo entra nel mondo in forma discreta. Poi quella luce cresce, brucia come un incendio, inquieta l’universo. Pasternak trasforma il segno celeste in un’energia viva, capace di mettere in movimento uomini e tempi.

La poesia rompe la linearità cronologica. Accanto ai pastori e ai Magi compaiono visioni del futuro. Musei, gallerie, alberi di Natale, sogni dei bambini. Tutto ciò che l’umanità creerà sembra già contenuto in quel momento originario. Il Natale diventa un eterno presente, un punto in cui la storia si concentra e da cui si irradia. La nascita non resta nel passato, continua ad agire.

Il cammino degli ultimi e le impronte nella neve

I pastori decidono di mettersi in cammino. Il loro gesto è semplice, ma decisivo. Entrano nella storia scegliendo di muoversi verso il prodigio. La neve conserva le tracce dei piedi nudi come fogli di mica. Il cammino lascia segni visibili. La speranza, in Pasternak, non è un’idea astratta, ma un percorso che incide la realtà.

Intorno a quelle tracce ringhiano i cani. La paura reagisce quando qualcosa di nuovo prende forma. La notte resta tesa, attraversata da presenze invisibili. Gli angeli camminano mescolati alla folla, non si mostrano, ma lasciano impronte. Il sacro non si impone allo sguardo, si riconosce nei segni che restano.

La nascita custodita e la luce che si avvicina26

La folla si accalca, l’alba arriva, la vita resta rumorosa e disordinata. Maria chiede di attendere, custodisce il centro. La nascita avviene in mezzo al caos umano, ma non si confonde con esso. Il silenzio diventa necessario.

Il bambino dorme nella mangiatoia di quercia, scaldato dal respiro degli animali. La luce non esplode, risiede nel sonno. I Magi parlano a bassa voce, come se il linguaggio fosse insufficiente. Nell’ultima immagine la stella stessa si avvicina alla soglia, come una presenza che entra in visita. Il cielo guarda la terra. La distanza si riduce.

Una speranza che resta ancora oggi

La Stella di Natale di Boris Pasternak si chiude senza trionfi eclatanti, ma con una vittoria silenziosa. La sua luce non è un faro che annulla la notte, ma una fiammella che la attraversa: non cancella il “vento della steppa”, ma insegna a non lasciarsi spegnere da esso.

Pasternak affida alla poesia un compito essenziale, ricordare che la vera Storia non è fatta dalle grandi ideologie o dai trionfi dei potenti, ma dal momento in cui una vita fragile diventa centrale e ogni individuo riconquista la propria dignità.

La stella continua a brillare perché non abbaglia e non si impone; essa guida, accostandosi alla soglia della nostra esistenza come una presenza discreta. Resta, infine, come una promessa mantenuta, ovvero quella di una luce che, pur nascendo nel freddo e nell’ombra, ha la forza di riscaldare ogni inverno umano.

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