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“La quiete dopo la tempesta” di Leopardi, una poesia sulla rinascita

"Si rallegra ogni core./ Sì dolce, sì gradita/ Quand'è, com'or, la vita?" La quiete dopo la tempesta" è una poesia di Giacomo Leopardi che indaga il rapporto fra il dolore e la rinascita.

“La quiete dopo la tempesta” è una poesia di Leopardi composta nel 1829 e contenuta nell’opera dei “Canti“. La lirica utilizza una metafora per descrivere la vita dell’uomo, partendo dalla descrizione del momento in cui a Recanati cessa il temporale e ritorna il sereno. Leopardi, facendo della sua poesia lo strumento principale per indagare nell’animo umano, parla ad ognuno di noi, anche dopo secoli, e ci augura di vedere il sole anche dopo i momenti di forte oscurità.

La felicità è illusoria? La risposta di Leopardi

Cos’è la felicità? Come compare nella nostra vita? La vita è fatta da un continuo succedersi di dolori e di momenti di serenità. È cosi che Leopardi descrive soprattutto il rapporto che intercorre tra piacere e dolore.

L’unico piacere autentico è quello che deriva dall’interruzione di un dolore. È il fulmine di serenità, quel raggio di Sole improvviso. Nella sua visione pessimistica Leopardi però si chiede:è solo questa la felicità che ci è destinata? L’animo umano si rasserena solo in quei pochi istanti in cui la natura ci risparmia la paura e il dolore? Questa felicità è solo illusoria?

Una riflessione profonda, dolorosa, quella di Leopardi, ma che ci fa riflettere su quello che il presente ci sta insegnando. Le difficoltà sono tante, la tempesta sembra non finire, e cerchiamo il nostro piccolo raggio di Sole.

Tutti cerchiamo la nostra quiete dopo la tempesta, Leopardi stesso lo fece. Ora che abbiamo a che fare con questa “natura matrigna”, forse, è giunto il momento di riflettere anche su un possibile spiraglio di felicità; sperando che non sia illusoria.

La quiete dopo la tempesta, la poesia

“Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.

L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?

Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.

O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E’ diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana”.

Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno 1798 a Recanati, da una delle più nobili famiglie del paese. Affidato sin dalla giovane età alle cure di un precettore, Giacomo si rivela un bambino prodigio: a dieci anni riesce a tradurre all’impronta testi classici greci e latini.

Il rapporto coi genitori, in particolare con il padre Monaldo, è conflittuale. Giacomo trascorre la sua gioventù chiuso nella biblioteca di famiglia, studiando tutto lo scibile contenuto da quei libri che ben presto diventano i suoi unici amici. Nel giro di pochi anni impara diverse lingue moderne, studia storia e filosofia e si accinge alla composizione di opere erudite.

È nel 1816 che Giacomo si appassiona finalmente alla poesia e invia i suoi primi versi a Pietro Giordani, che subito lo incoraggia a proseguire nell’attività. Da questo momento, Giacomo Leopardi compone moltissime opere, fra le più diverse: lo “Zibaldone di pensieri”, il diario che raccoglie le impressioni e gli appunti dell’autore sin dall’inizio della sua produzione, le “Operette morali”, le trentasei liriche inserite nella raccolta de “I Canti” …

Leopardi si serve della prosa e della poesia per riflettere su temi importanti quali il senso della vita e della morte, la deriva delle coscienze, il ruolo della natura e l’amore.

Nel corso della sua vita, Giacomo Leopardi ha sempre desiderato viaggiare e, più verosimilmente, allontanarsi da quella casa che è per lui nientemeno che una prigione: un tentativo di fuga sventato dal padre risale al 1819, anno in cui il poeta compone il suo capolavoro, “L’infinito”. Nel 1822 riesce ad ottenere il permesso di recarsi per un po’ dagli zii a Roma.

Ritorna dopo qualche mese e nel 1825 ha inizio il pellegrinaggio che lo porta prima a Milano, dove lavora presso l’editore Stella, poi a Bologna, Firenze e Pisa.

Alla fine del 1828 Leopardi ritorna a Recanati, dove cade in depressione ma scrive alcuni fra i suoi componimenti più celebri, fra cui spiccano “Il sabato del villaggio” e “La quiete dopo la tempesta”. Nel 1830 Leopardi, aiutato da alcuni amici, lascia definitivamente il borgo natio e si trasferisce a Napoli in compagnia dell’amico Antonio Ranieri, dove scrive le liriche che costituiscono il piccolo testamento spirituale del poeta: “La ginestra” e “Il tramonto della luna”. Giacomo Leopardi muore il 14 giugno 1837.

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