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La mia alba (1963) di Allen Ginsberg, geniale poesia sulla disillusione

Scopri i versi de "La mia alba" di Allen Ginsberg, una poesia intensa che racconta la disillusione giovanile e il lavoro alienante tipici del nostro tempo.

La mia alba di Allen Ginsberg è una poesia sempre attuale che offre un’importante riflessione sul decadimento valoriale e sociale che caratterizza il contemporaneo. È un crudo componimento che, nello stile peculiare dell’autore, esprime la delusione e la disillusione nei confronti della vita e della società.

La poesia di Allen Ginsberg sembra dare voce all’amarezza di moltissimi giovani e non solo costretti a fare i conti con una quotidianità sempre più ripetitiva e in grado di offrire poco o niente in termini di reali possibilità rispetto al presente e al futuro.

La mia alba fa parte della raccolta di poesie Reality sandwiches di Allen Ginsberg, pubblicata da City Lights Publishers per la  nel 1963, in un periodo di grande espressione artistica da parte dell’autore.

Leggiamo questa originale poesia di Allen Ginsberg per coglierne l’inquietudine e il significato profondo dei suoi versi.

La mia alba di Allen Ginsberg

Ora che ho sprecato
cinque anni a Manhattan
vita che decade
talento zero

parlare scollegato
paziente e mentale
cursore e numero
macchina su una scrivania

autografato triplice
sinossi e tasse
obbediente puntuale
mal pagato

rimasto sul mercato
gioventù dei miei vent’anni
svenuto negli uffici
pianto sulle macchine da scrivere

ingannato moltitudini
in vaste cospirazioni
deodoranti navi da guerra
industria finanza seria

ogni sei settimane chi
ha bevuto la mia banca del sangue
male innocente ora
parte del mio sistema

cinque anni di lavoro infelice
dai 22 ai 27 anni di lavoro
non un centesimo in banca
da mostrare comunque

spunta l’alba è solo il sole
l’est fuma O la mia camera da letto
sono dannato all’Inferno cosa
la sveglia sta suonando.

 

My alba, Allen Ginsberg

Now that I’ve wasted
five years in Manhattan
life decaying
talent a blank

talking disconnected
patient and mental
sliderule and number
machine on a desk

autographed triplicate
synopis and taxes
obedient prompt
poorly paid

stayed on the market
youth of my twenties
fainted in offices
wept on typewriters

deceived multitudes
in vast conspiracies
deodorant battleships
serious business industry

every six weeks whoever
drank my blood bank
innocent evil now
part of my system

five years unhappy labor
22 to 27 working
not a dime in the bank
to show for it anyway

dawn breaks it’s only the sun
the East smokes O my bedroom
I am damned to Hell what
alarmclock is ringing.

La mia alba, il ritratto di una generazione disillusa e senza speranza

La mia alba è la poesia di Allen Ginsberg che racconta l’esperienza umana del suo autore che coincide con la parabola amara di ogni giovane che si affaccia al mondo del lavoro con sogni e ideali, per poi ritrovarsi in una realtà che non ha spazio per la creatività e l’autenticità. Un ritratto della disillusione contemporanea in cui la ripetitività della vita, con i rigidi e ripetitivi  ruoli imposti dal mondo del lavoro finiscono per togliere qualsiasi capacità di liberare la gioia, la volontà, la speranza che ogni umano ha nella sua anima.

Oggi, più che mai, nella società della produttività a ogni costo, dei contratti precari, dei burnout e della fatica emotiva, questi versi risuonano con una forza inquietante. Come allora, quegli anni ’60 in cui Ginsberg scrisse la poesia, anche oggi la sveglia suona, ma non tutti riescono a vedere nell’alba qualcosa di più di una semplice necessità. Alzarsi dal letto la mattina per andare lavorare (quando un lavoro c’è) e immergersi nella ripetitività delle sempre piùà rigide routine produttive imposte dall”ingegneria e della tecnologia del lavoro, diventa un’esperienza alienante.

Non solo, gli ossessivi ritmi che la società contemporanea impone finiscono per non trovare il tempo giusto per coltivare il proprio talento, senza il lusso di “perdere tempo” a creare, a pensare, a sognare.

Eppure, proprio la poesia di Ginsberg insegna che riconoscere il vuoto è il primo passo per opporsi ad esso. Anche oggi, come ieri, serve qualcuno che sappia alzarsi — e urlare.

Serve sempre più coraggio da parte delle nuove generazioni e non solo, la volontà di ribellarsi agli schemi e dalle procedure imposte da una società sempre più attenta all’artificialità e non all’umano. È opportuno guardare oltre le mode e i trend imposti dal mercato del lavoro e trovare la via che possa permettere di poter dare energia all’anima ed ossigeno al cervello. La speranza è qualcosa che va costruita giorno dopo giorno, non spegnendo quella sveglia, ma cambiando il suono della suoneria.

La disillusione di una generazione in versi 

La mia alba è un componimento a dir poco particolare che ben esemplifica lo stile di Allen Ginsberg. Si tratta di otto quartine in versi liberi in cui sembra non esserci alcuna regola. Ad una prima lettura, anzi, le parole sembrano accostate in modo del tutto casuale, come se la poesia non avesse quasi senso.

Ad un approccio più approfondito, scopriamo che le nostre sensazioni sono date da un modo di arrangiare i versi che somiglia a quello tipico della musica jazz: il ritmo, la cadenza, il lessico che appare frutto di improvvisazione… Questa poesia è musica, ed è una musica triste, disillusa, a tratti rabbiosa.

Il titolo ci farebbe pensare a qualcosa di positivo, visto che l’alba è sempre sinonimo di luce, novità e risveglio. Invece, le parole che sono utilizzate nel componimento conferiscono all’insieme un’accezione disforica.

Gli anni a New York sono stati “sprecati”. Il talento è pari a “zero”, la vita e la società sono “in decadimento”. Nulla rimanda alla novità e alla luce dell’alba. Tutto ciò che segue è un elenco di parole che rimanda alla società consumistica in cui viviamo, dove hanno la meglio le armi, la sporcizia, le cospirazioni, l’arricchimento sulle spalle del prossimo… E come si può essere felici in un posto come questo? Le lacrime piovono anche sulla macchina da scrivere, sulle opere che l’io lirico cerca di produrre nonostante tutto. Frustrazione? Delusione? Parole troppo dure, troppo vere?

Quel che è certo è che l’alba di Allen Ginsberg non ha valenze metaforiche. È solo il sole, che con i suoi raggi si mescola al fumo di cui è impregnata la stanza del poeta e accompagna il suo risveglio traumatico.

Il senso di fallimento all’inizio della poesia

Ora che ho sprecato
cinque anni a Manhattan
vita che decade
talento zero

Cinque anni buttati a Manhattan, giovinezza consumata tra uffici e macchine da scrivere, talento sprecato in un sistema impersonale. In La mia alba, Allen Ginsberg fotografa con versi asciutti e disperati l’alienazione del giovane intellettuale americano degli anni Cinquanta, intrappolato tra lavoro ripetitivo, sogni infranti e risvegli senza redenzione.

Ginsberg apre la poesia con una dichiarazione di sconfitta. L’uso di termini crudi, “sprecato”, “decade”, “zero”, evoca un’autobiografia emotiva priva di edulcorazioni. L’autore non ha paura di mostrarsi vulnerabile. La sua alba non porta nuova luce, ma ribadisce il vuoto. Il lavoro impiegatizio, descritto come “macchina su una scrivania”, diventa metafora di una vita meccanica e priva di connessioni umane reali.

Il mondo moderno come cospirazione

ingannato moltitudini
in vaste cospirazioni
deodoranti navi da guerra
industria finanza seria

Qui Ginsberg alza il tiro: non si tratta solo della sua storia personale, ma di una critica feroce al sistema capitalistico americano. L’accostamento di “deodoranti” e “navi da guerra” evidenzia l’ipocrisia di una società che produce beni di consumo e al tempo stesso alimenta il complesso militare-industriale.

Con pochi versi, l’autore smaschera una cultura dell’efficienza e del profitto che fagocita l’individuo, rendendolo complice inconsapevole di dinamiche di potere molto più grandi di lui.

Una sveglia che non annuncia la salvezza

La poesia chiude in modo disarmante. Esplicita la sua pura amarezza e mette in scena il ritratto di una generazione che vive ancora oggi.

“Spunta l’alba è solo il sole… la sveglia sta suonando.” L’alba, simbolo tradizionale di rinascita e speranza, viene derubricata a evento naturale, privo di qualsiasi valore salvifico. La sveglia che suona non chiama a una nuova vita, ma a un’altra giornata di routine, alienazione e frustrazione.

Allen Ginsberg

Allen Ginsberg nasce a Newark, nel New Jersey, il 3 giugno 1926, da una famiglia ebraica. Il padre è un poeta e professore del liceo, la madre è membro attivo del partito comunista e convive con una rara malattia psichica mai correttamente diagnosticata.

L’infanzia e l’adolescenza di Allen scorrono in modo inusuale: accompagna spesso la madre nel corso delle visite mediche, e si reca di frequente alla sede del partito comunista dove assiste alle riunioni del comitato. Intanto, scopre la passione per le materie umanistiche, comincia a scrivere delle lettere su questioni politiche indirizzate al New York Times e studia le poesie di Walt Whitman, sua grande ispirazione.

Poiché ottiene una borsa di studio offerta dalla “Young Men’s Hebrew Association” di Paterson, Allen Ginsberg prosegue gli studi universitari iscrivendosi alla Columbia University, dove la sua bravura viene notata e ottiene, infatti, diversi riconoscimenti. Gli anni universitari sono fondamentali per la formazione di Ginsberg, perché proprio in questo periodo ha l’occasione di conoscere gli scrittori beat, fra cui anche Jack Kerouac, William Burroughs e Neal Cassady.

In questo periodo, lo scrittore si lega sentimentalmente a diversi uomini, ma la persona a cui è realmente interessato, senza essere tuttavia corrisposto, è proprio Neal Cassady. A partire dal 1954, Allen Ginsberg frequenta il vivace ambiente culturale di San Francisco, dove conosce altre personalità importanti della generazione beat e fonda la rivista di poesia “Beatitude”.

Il poeta viaggia molto: Marocco, Francia, Inghilterra, India, sono solo alcuni dei posti che visita e che gli rimangono nel cuore per diverse ragioni. In India, soprattutto, Ginsberg trova un equilibrio che non aveva mai sperimentato prima. È da questo viaggio che infatti si lega alla fede buddhista, di cui sono impregnate alcune fra le sue opere maggiori. Allen Ginsberg muore, a seguito delle complicazioni di un tumore al fegato, il 5 aprile 1997 a New York, circondato dai suoi affetti più cari.

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