La bufera di Eugenio Montale è una poesia che mette al centro le tragedie della storia e la relativa crisi esistenziale dell’umano immerso nella distruzione, nella barbarie e nell’ambiguità. L’amore biografico dell’autore s’inserisce nel contesto diventando tempesta emotiva che diventa l’unica via per resistere al disastro che l’avidità e la cattiveria umana genera con la guerra. L’amore diventa l’unica via per sopravvivere alla “bufera”
Il testo è dedicato a una figura femminile enigmatica e mitica, Clizia, trasfigurazione poetica di Irma Brandeis, musa dei Montale per un periodo della sua vita. Una relazione tempestosa anche perché il poeta ligure aveva già una relazione con un’altra donna, Drusilla Tanzi, che minacciò anche di suicidarsi pur d’interrompere il rapporto d’amore tra Montale e Irma Brandeis.
La Bufera fu scritta tra il 1940 e il 1942, quando Montale si era trasferito in Svizzera, ed è la prima poesia della prima sezione Finisterre (1943) della raccolta di poesie La Bufera e altro (1940 – 1954) di Eugenio Montale pubblicata per la prima volta nel 1956.
Leggiamo questa stupenda poesia di Eugenio Montale per coglierne il profondo significato.
La bufera di Eugenio Montale
“Les princes n’ont point d’yeux pour voir ces grand’s merveilles, Leurs mains ne servent plus qu’à nous persécuter…”
Agrippa D’Aubigné, À DieuLa bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell’oro
che s’è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella
eternità d’istante – marmo manna
e distruzione – ch’entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l’amore a me, strana sorella, –e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa…
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,mi salutasti – per entrar nel buio.
La bufera, la metafora della distruzione umana e il potere salvifico dell’amore
La bufera è una poesia di Eugenio Montale densa di immagini storiche, religiose e amorose, dove la figura di Clizia illumina il male del mondo con una speranza fragile e divina. È una delle poesie più rappresentative della maturità poetica di Eugenio Montale. In essa si intrecciano la violenza della storia, la crisi dell’umanità, la tensione religiosa e l’amore impossibile per Clizia, figura simbolica ispirata alla vera Irma Brandeis.
Il contesto in cui nasce la poesia
La bufera apre il ciclo di Finisterre, uscito nel 1943 a Lugano, un fascicolo di poesie scritte nei primi anni della seconda guerra mondiale. La “bufera” a cui si fa rifderimento nella poesia, come ci rivela lo stesso Montale in una lettera del 29 novembre 1965 all’amico Silvio Guarnieri, è la guerra,
«in ispecie quella guerra dopo quella dittatura; ma è anche guerra cosmica, di sempre e di tutti».
Ad ispirare le poesie del ciclo di Finisterre è Clizia, la stessa donna alla quale il poeta dedica i Mottetti della raccolta poetica Le occasioni. Clizia è la fanciulla mitologica innamorata di Apollo, la quale non staccava mai gli occhi dal suo dio, finché fu trasformata in girasole.
Clizia è un nome-schermo: la donna in questione è Irma Brandeis, una giovane studentessa ebrea-americana conosciuta da Eugenio Montale a Firenze nel 1933. Con “Clizia”, Montale ha una relazione che dura qualche anno, fino al rientro della donna negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali.
La figura femminile compare in forma salvifica, mediatrice tra il mondo terreno e ultraterreno, come le donne-angelo dello stilnovismo. In tutta la raccolta si evidenzia l’anelito del poeta verso l’eterno, anche se non si ha un vero e proprio approdo religioso.
Il significato dell’epigrafe
L’epigrafe iniziale ad apertura della poesia, tratta da Agrippa d’Aubigné
I principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani servono solo a perseguitarci
e si presenta come una condanna ai principi sanguinari che colpivano la libertà e agivano nell’avidità distruttiva della persecuzione, ne impediva la pubblicazione in Italia. Questo è il contesto morale in cui irrompe la poesia metafora della guerra e della distruzione, ma anche della crisi interiore ed esistenziale.
La bufera e il lampo: simboli della guerra e della rivelazione
La poesia si apre con un’immagine che attinge dalla forza distruttiva della natura. La bufera, che si abbatte con tuoni e grandine, rappresenta il male della storia, in particolare la Seconda guerra mondiale. È una forza cieca e devastante, che scuote la natura come lo spirito dell’uomo. A questa si contrappone la presenza di Clizia, evocata nel suo “nido notturno”, simbolo di intimità e resistenza.
Il lampo che “candisce” alberi e muri non è solo distruzione, ma atto rivelatore: illumina l’orrore e lo congela in un’“eternità d’istante”. Il mondo, per un secondo, è mostrato per ciò che è davvero: marmo, manna e distruzione, in un binomio di sacralità e rovina.
Clizia: luce tra le tenebre e figura salvifica
Clizia è la donna che porta la luce nella tempesta. Come un angelo della rivoluzione interiore, squarcia le tenebre del mondo con la sua sola esistenza. Ma il suo tentativo di purificare il reale fallisce: Clizia non riesce a salvare il mondo, e questa impotenza la lega al poeta in un legame più forte dell’amore, una fraternità spirituale.
La donna si carica di un significato quasi cristologico: la sua sofferenza, la sua rinuncia, il suo ruolo di guida morale nel buio del Novecento, la avvicinano alla figura di Cristo. È una salvatrice senza salvezza, messaggera di una religiosità laica e a-confessionale, che percorre tutta la raccolta La bufera e altro.
I segni della morte e la separazione definitiva
Nel finale della poesia torna il motivo della morte e della guerra. Strumenti musicali funebri, rumori da cerimonia pagana e macabra, evocano un mondo impazzito, che danza sulla propria tomba. Il fandango, danza di festa, diventa parodia tragica dell’esistenza.
Su questo sfondo, riappare il gesto intimo:
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,mi salutasti – per entrar nel buio.
È il ricordo dell’addio a Clizia, costretta a tornare in America per sfuggire alle persecuzioni razziali. Il poeta rivive il dolore di quella separazione, di quel gesto semplice e assoluto che segna la fine della loro relazione. Lei entra nel buio, come se sparisse nel nulla, lasciando solo un’impronta luminosa nella memoria.
Il messaggio di questa poesia non è consolatorio. Eugenio Montale non offre salvezza, ma uno sguardo lucido sul disastro. Tuttavia, la poesia diventa atto di memoria e resistenza, capace di fissare per un istante ciò che la storia tende a cancellare.
La bufera mostra come l’amore, la bellezza, la spiritualità, pur impotenti, non siano vani. Anche se non salvano, illuminano. Anche se si spezzano, resistono nella parola.
Chi era Clizia per Eugenio Montale?
Scopriamo la storia vera dietro la musa ispiratrice delle sue poesie più intense: Irma Brandeis, l’amore impossibile che ha lasciato un’impronta indelebile nella sua opera.
L’incontro tra Montale e Clizia: una storia tra poesia e passione
Nel cuore dell’estate fiorentina del 1933, Eugenio Montale incontrò Irma Brandeis, giovane studiosa americana di origine ebraica. Fu un incontro destinato a cambiare profondamente la vita del poeta. Irma divenne presto la sua musa, quella figura salvifica e misteriosa che egli avrebbe celebrato nei versi sotto il nome simbolico di Clizia.
Clizia non è solo una donna, ma un archetipo lirico: un angelo salvifico che porta luce nella “bufera” della storia. La loro relazione – intensa, segreta e segnata dal destino – durò pochi anni, ma fu una delle più profonde esperienze poetiche e umane per Montale.
Una relazione ostacolata: Drusilla Tanzi e il dolore privato
Quella tra Montale e Irma fu una storia d’amore contrastata e drammatica, resa ancor più complessa dalla presenza di Drusilla Tanzi, la compagna storica del poeta. Montale era legato sentimentalmente a Drusilla, che si oppose fortemente al legame tra lui e Irma.
Secondo le lettere pubblicate nel volume Lettere a Clizia (2006), Drusilla arrivò a minacciare il suicidio pur di impedire a Montale di partire per New York e raggiungere Irma. Un amore tormentato, dunque, combattuto tra dovere e desiderio, tra fedeltà e fuga.
L’addio e la fuga negli Stati Uniti
Nel 1938, con l’intensificarsi delle persecuzioni razziali in Italia, Irma – essendo ebrea – fu costretta a lasciare il Paese. La fuga negli Stati Uniti segnò la fine della loro relazione, anche se la corrispondenza epistolare proseguì per un anno ancora, fino al definitivo silenzio del 1939.
In una delle sue ultime lettere, Irma scrive a Montale:
«Purtroppo, io ti amo. Ogni cosa che fai per farti del male, la fai anche a me. Non posso sopportare questa nostra vita dolente e poco eroica, ridicola quasi, ma vedo che ormai è troppo tardi per porvi rimedio.»
Parole che racchiudono la stanchezza di un amore impossibile, consumato dal dolore, dalla distanza e da un contesto storico avverso.
Clizia nelle poesie di Montale: simbolo di luce nella bufera
Nella raccolta La bufera e altro, Clizia assume un ruolo quasi sacrale. Appare come una figura solare, beatrice moderna, capace di contrastare – anche solo per un attimo – l’oscurità della storia. Ma la sua è una salvezza fragile, destinata a svanire.
In poesie come La bufera, Irma-Clizia è evocata come “strana sorella”, figura che unisce amore, spiritualità e condanna. Il poeta non può salvarla, né esserne salvato. Clizia diventa simbolo di un amore alto e doloroso, inciso per sempre nella memoria poetica.
La storia tra Eugenio Montale e Irma Brandeis è una delle più affascinanti e struggenti del Novecento letterario. Un amore reale, ma trasfigurato in mito, che ha dato vita a pagine immortali della poesia italiana. Clizia continua a vivere nelle parole, nei lampi di memoria, nella bufera di un’epoca che non ha risparmiato nulla, neanche i sentimenti.