“Inverno a Roma” (1962), la poesia di Alfonso Gatto che celebra la spontaneità dell’infanzia

2 Gennaio 2025

In “Inverno a Roma” di Alfonso Gatto, oltre alla stagione fredda e grondante di pioggia, protagonisti sono anche i bambini e la loro spontaneità.

inverno a roma alfonso gatto

Dolce e malinconica, questa poesia di Alfonso Gatto miscela il tema invernale con quello della spontaneità fanciullesca. Il risultato è un componimento che trasmette calore, nonostante il freddo, e che infonde il desiderio di tornare bambini. Scopriamo insieme “Inverno a Roma

“Inverno a Roma” di Alfonso Gatto

I bambini che pensano negli occhi
hanno l’inverno, il lungo inverno. Soli
s’appoggiano ai ginocchi per vedere
dentro lo sguardo illuminarsi il sole.

Di là da sé, nel cielo, le bambine
ai fili luminosi della pioggia
si toccano i capelli, vanno sole
ridendo con le labbra screpolate.

Son passate nei secoli parole
d’amore e di pietà, ma le bambine
stringendo lo scialletto vanno sole
sole nel cielo e nella pioggia. Il tetto
gocciola sugli uccelli della gronda.

Il significato di questa poesia

Dove leggere “Inverno a Roma”

Sono tre strofe intense ed emozionanti, quelle concepite dalla penna di Alfonso Gatto. “Inverno a Roma” si costruisce su tredici versi endecasillabi in cui l’armoniosità del suono è ottenuta mediante la presenza di consonanze, anafore e allitterazioni.

Il componimento è tratto da Osteria flegrea, raccolta pubblicata a Milano da Mondadori nel 1962 che racchiude i versi composti fra il 1954 e il 1961. Oggi, le poesie di Alfonso Gatto si possono trovare in un unico volume curato dalla casa editrice meneghina e, in particolare, da Silvio Ramat. Si intitola “Tutte le poesie”.

Il freddo, la pioggia, la fanciullezza

L’inverno è dentro e fuori, permea l’intera poesia sin dal titolo: è negli occhi dei “bambini che pensano” e che si abbassano cercando uno spiraglio di sole fra le nuvole; è nei capelli e nelle labbra screpolate delle bambine che ridono e si coprono con lo “scialletto”; è nella pioggia che bagna capelli, uccelli e grondaie.

Nel freddo che si irradia da un corpo all’altro, c’è un termine che compare – anche più di una volta – in ogni strofa: quel “sole”, vestito di volta in volta dei suoi due significati diversi.

È, in alcuni casi, il sole che scalda e che si cerca con desiderio nella stagione più fredda. In altri casi, soprattutto associati qui alle piccole figure femminili protagoniste degli ultimi versi, è sinonimo di chi vive in solitudine. Queste bimbe e questi bimbi sono al contempo dolci e malinconici.

Ci ricordano i momenti in cui, ancora giovane, il cuore era lieve, e riusciva a sopportare tutto senza troppo soffrire: il freddo, la pioggia sui capelli, le labbra screpolate… perfino la solitudine non era poi così male.

In questo quadro, che sappiamo ambientato a Roma soltanto per via del titolo, il paesaggio descritto è quello di un’anima in cerca di pace, della stessa spontaneità di questi piccoli protagonisti, che giocano nella pioggia, senza preoccuparsi troppo del resto.

Alfonso Gatto

Nasce a Salerno il 17 luglio 1909, mostrando sin dai primi studi una innata predilezione per le lettere e la scrittura. Poeta, scrittore, pittore, critico d’arte e di letteratura, Alfonso Gatto vive una vita errante, sempre in movimento e in costante cambiamento.

Svolge le professioni più disparate, dal libraio all’istitutore, dal correttore di bozze all’insegnante. Vive a Napoli, a Milano, poi anche a Bologna e per un periodo a Roma. Viene arrestato per antifascismo, trascorre sei mesi in carcere nel ‘36. Si sposa, giovanissimo, a 21 anni.

Da Jole, con cui vive a Milano, ha due figlie. Anni dopo, nel 1946, incontra un’altra donna, la pittrice triestina Graziana Pentich: per lei lascia casa, moglie e figlie. Cambia vita.

In queste brevi righe si riesce già a notare l’animo dinamico, sempre il moto, di un poeta che Eugenio Montale ha descritto come sempre mosso, nella vita e nelle opere, dalla forza dell’amore.

Le sue poesie sono rarefatte, allusive, nello stile tipico dell’Ermetismo. Sempre presente il tema dell’amore, in ogni sua forma, e spesso anche quello del mare, tanto caro al poeta sia per motivi simbolici sia per le origini partenopee. Alfonso Gatto muore a Orbetello, per le conseguenze di un grave incidente stradale, l’8 marzo 1976.

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