Si intitola “Incontro” la splendida poesia con cui Cesare Pavese ci racconta la forza del destino e il valore della speranza. È composta da quattro strofe diseguali e commuove per la sua potenza, perché racchiude tutta la bellezza, la paura e la speranza che si celano dietro l’attesa del nostro destino, che ancora si deve compiere e che cerchiamo di immaginarci nei momenti più intimi delle nostre giornate. Scopriamola insieme.
“Incontro” di Cesare Pavese
Queste dure colline che han fatto il mio corpo
e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio
di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla.L’ho incontrata, una sera: una macchia più chiara
sotto le stelle ambigue, nella foschìa d’estate.
Era intorno il sentore di queste colline
più profondo dell’ombra, e d’un tratto suonò
come uscisse da queste colline, una voce più netta
e aspra insieme, una voce di tempi perduti.Qualche volta la vedo, e mi vive dinanzi
definita, immutabile, come un ricordo.
Io non ho mai potuto afferrarla: la sua realtà
ogni volta mi sfugge e mi porta lontano.
Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane:
mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto
dell’infanzia vissuta tra queste colline,
tanto è giovane. È come il mattino. Mi accenna negli occhi
tutti i cieli lontani di quei mattini remoti.
E ha negli occhi un proposito fermo: la luce più netta
che abbia avuto mai l’alba su queste colline.L’ho creata dal fondo di tutte le cose
che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.
Il significato di “Incontro”
Cesare Pavese compone “Incontro” fra l’8 e il 15 agosto 1932, ma la fa pubblicare soltanto undici anni dopo, all’interno della seconda edizione della raccolta Lavorare stanca.
La poesia, che si costruisce su ventidue versi, disposti su quattro strofe eterogenee, procede con un ritmo che l’autore riprende dalla metrica classica, la cui unità è chiamata anapesto, formato da due sillabe brevi e da una lunga. Il ritmo della poesia è delicato, rilassante: ci fa entrare in punta di piedi nel mondo di un io lirico sognante, che sta osservando ciò che lo circonda ma, allo stesso tempo, sta guardando con gli occhi del cuore.
Dal paesaggio alla donna immaginata
La visione del poeta procede dall’esterno verso l’interno, dal tempo presente a quello dell’irreale. “Incontro” inizia con l’immagine delle colline tanto care da essere riuscite a plasmare il corpo e l’anima dell’autore. Da qui, si sviluppa la visione onirica, sospesa fra il ricordo e il futuro remoto, di una donna ancora solo immaginata, che non sa dell’esistenza di Pavese, né è pienamente comprensibile.
Un incontro non ancora avvenuto
L’incontro cantato nella poesia non è ancora avvenuto. La donna cantata da Cesare Pavese è una “voce”, una “macchia”, una premonizione che arriva dal cuore del poeta, una speranza.
È un amore sognato, atteso, ma non ancora realizzato. Per tale ragione è speciale: è una vita possibile, che si può immaginare, sognare e plasmare nella mente e nel cuore. Ha il fascino dell’irrealizzato, di una cosa perfetta nella sua incompiutezza, nel suo non essere intaccata dalle brutture della realtà. È come la poesia: un sogno, che si salva dalla violenza del reale con la sua perfezione.
Una celebrazione dell’amore puro
Cesare Pavese, insomma, canta un amore non ancora avvenuto, una donna incontrata soltanto nei suoi sogni e nei suoi ricordi primordiali. La descrive servendosi degli elementi della natura a lui cari: le colline, il mattino, le stelle, la foschia d’estate […], come a voler sottolineare la bellezza primigenia e quasi simbolica di questa figura.
“Incontro” è una poesia che celebra l’idea dell’amore, in tutta la sua purezza, e la forza del destino, che ci fa sentire il suo potere anche prima della sua realizzazione ultima.