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“Il passero solitario”, la poesia di Giacomo Leopardi

La grandezza dei versi de "Il passero solitario" di Giacomo Leopardi, una poesia che ci spinge a vivere la giovinezza e ogni attimo della nostra vita per evitare i rimpianti della vecchiaia.

Il passero solitario è una delle più famose poesie di Giacomo Leopardi, indicato da molti come il maggior poeta dell’Ottocento italiano, nato 29 giugno 1798 a Recanati e scomparso il 14 giugno 1837 a Napoli.

Il passero solitario è stata pubblicata nel 1835 nell’edizione napoletana dei Canti, la prima in cui la poesia fa la sua comparsa a stampa, Il passero solitario occupa l’undicesimo posto, come prologo agli Idilli e subito prima de L’infinito.

La poesia rappresenta un autoritratto di Giacomo Leopardi fondato sulla solitudine, un’analisi della propria condizione di vita, in cui rimpiange quel passato che non ha vissuto.

C’è da segnalare che  il “passero solitario” protagonista del titolo della poesia, non fa riferimento alla solitudine dell’uccelletto,  ma indica una vera e propria specie. Il passero a cui fa riferimento Leopardi è noto col nome scientifico di monticola solitarius.

La caratteristica principale di questa specie è che non cinguetta, come il passero comune, ma canta. La volontà del poeta è creare un parallelismo tra sé e l’uccello.

Tra l’uomo e l’animale esiste però una differenza fondamentale: quel passero è solitario per natura (e non gregario, come il passero comune), non percepisce il suo dolore e non può provare che felicità.

Giacomo Leopardi, invece, potrà solamente rimpiangere, una volta anziano, la sua gioventù in solitudine.

Il Passero Solitario di Giacomo Leopardi

D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede la sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell’aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni nostra vaghezza
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all’altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentiromi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

Il tema della solitudine e i rimpianti del poeta

Il passero solitario di Giacomo Leopardi è impostata in forma di dialogo con un alter ego nel quale il poeta si riconosce.

L’avvio della poesia introduce una contrapposizione sulla quale si regge tutto il discorso: da una parte il poeta-passero solitario, dall’altra il mondo circostante, che vive un momento di festa.

A legare Leopardi alla figura del passero solitario è la solitudine: come il passero canta solitario, “pensoso” e “in disparte”, allo stesso modo il poeta non partecipa né ai divertimenti della gioventù, né all’amore che la rende vitale e piacevole.

Dietro a questa analogia, però, si nasconde anche una netta differenza: se quella del passero è una scelta necessaria e indolore, perché indotta dalla natura, per Leopardi invece la solitudine è una sorta di costrizione dolorosa.

Egli stesso, infatti, una volta venuta meno “la beata gioventù”, si pentirà di non averla saputa cogliere nel momento in cui gli si offriva.

Giacomo Leopardi mette in evidenza l’incomprensione e l’estraneità rispetto all’ambiente che lo ospita, a cui è legato tramite i suoi natali.

Il passero non avrà mai rimpianti la natura gli ha donato queste caratteristiche. Leopardi invece sente che una volta aver vissuto la sua vita i rimpianti saranno evidenti, non avendo potuto godere delle gioia che la vita invece dovrebbe regalare.

Le relazioni mancate per il poeta sono evidenti e sviluppano il suo senso di abbandono rispetto all’esistenza. 

Una poesia simmetrica

La prima strofa, come abbiamo avuto modo di leggere, è protagonista la vita che conduce il passero.

Nella seconda stanza del poema, invece diventa protagonista la vita vissuta da Giacomo Leopardi,  simile a quella del passero solitaria, ma diversa nelle intenzioni.

La terza strofa, emerge il confronto tra le due vite. Entrambi arriveranno alla vecchiaia ma per il passero sarà il mero volgere alla fine della sua esistenza, mentre Leopardi vivrà i suoi rimpianti per ciò che ha sprecato in giovinezza. 

La bellezza della poesia  è che mette in scena il bilancio che ognuno di noi dovrà fare o magari sta già facendo alla fine dei suoi anni migliori.

Ecco perché, Il passero solitario va letta come una poesia di stimolo a vivere la vita giorno dopo giorno. Ogni momento che lasciamo in balia della tristezza, dei rimpianti, della solitudine, è un attimo buttato via. 

L’umanità ha come natura le relazioni. Non si può prescindere dal fatto che curare la bontà dei nostri “contatti” ogni attimo della nostra vita ci renderà più ricchi di gioia e di soddisfazioni. ù

la vita va vissuta nel migliore dei modi, con positività. Allo stesso tempo più doneremo amore agli altri e più il bilancio finale segnerà un segno più dal punto di vista delle emozioni e delle soddisfazioni.

Le contrapposizioni esistenziali di Leopardi un insegnamento per tutti noi

La poesia rivela in ogni parte del suo contenuto le profonde contraddizioni vissute da Giacomo Leopardi.

La vecchiaia e la giovinezza; il dolore e il rifiuto per la vita e l’amore; il pessimismo e l’ottimismo; la folla e la solitudine sono tutti temi che il poeta porta avanti per lasciarci un messaggio sul vero senso di come andrebbe vissuta la vita.

Il rimpianto di Giacomo Leopardi sembra mescolarsi con la nostalgia che proverà quando la giovinezza sarà ormai perduta.

Ciò che di grande in Leopardi è che si fa vittima della società. Non emerge il lamentoso argomentare di molti critici che indicano in ciò che circonda la principale causa ai loro mali. 

Leopardi mette al centro il grande tema della volontà individuale. Siamo noi che dirigiamo il nostro fluire verso la positività o la negatività. 

In Leopardi la sua solitudine deriva dalla sua insicurezza e dal suo senso di impotenza, peculiarità che gli impediscono di creare un legame con gli altri e, di conseguenza, godere delle gioie della vita.

La giovinezza non è solo vista come un ricordo, ma vissuta, dato l’utilizzo del tempo presente, come se si trattasse di un momento attuale.

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