“Ho sognato la mia bella” (1947) di Nazim Hikmet, poesia sull’amore senza libertà

28 Agosto 2025

Scopri "Ho sognato la mia bella" la lirica di Nâzım Hikmet, nata in prigione che racconta amore, assenza e la forza dei sogni come rifugio di libertà.

"Ho sognato la mia bella" (1947) di Nazim Hikmet, poesia sull'amore senza libertà

Ci sono poesie che, con pochissime parole, racchiudono mondi interi di emozioni. Ho sognato della mia bella di Nâzım Hikmet è una di queste. Nove versi soltanto, eppure bastano per raccontare un amore vissuto dietro le sbarre, il desiderio di un incontro impossibile e il rifugio onirico dove l’anima si concede un istante di libertà.

La poesia di Hikmet, non è solo una poesia d’amore: è una testimonianza storica e universale. Hikmet scrive dietro le sbarre, ma la sua voce attraversa il tempo e i confini. È una carezza per chiunque abbia vissuto la lontananza, per chi sa cosa significa amare senza poter toccare. Questa poesia ci insegna che, anche nelle situazioni più buie, l’immaginazione è un atto di libertà: nessuna cella può rinchiudere un cuore che sogna.

Ho sognato la mia bella fu scritta nel 1947 ed è inclusa nella raccolta Poesie d’amore di Nazim Hikmet, pubblicata a Milano da Mondadori nel 1963, nella celebre traduzione di Joyce Lussu.

Questa lirica è dedicata alla sua allora moglie, Piraye, destinataria di decine di lettere e poesie. In quegli anni bui, Hikmet viveva la prigionia nel carcere di Bursa, la donna amata era per il poeta una presenza costante e fonte d’ispirazione. Il sogno è il solo luogo dove l’incontro è possibile, e Hikmet trasforma la nostalgia in immagini disegnate con parole che arrivano dritte al cuore.

Leggiamo questa splendida poesia di Nazim Hikmet per viverne la bellezza e respirarne l’atmosfera.

Ho sognato la mia bella di Nazim Hikmet

Ho sognato della mia bella
m’è apparsa sopra i rami
passava sopra la luna
tra una nuvola e l’altra
andava e io la seguivo
mi fermavo e lei si fermava
la guardavo e lei mi guardava
e tutto è finito qui.

Quando il sogno di un amore diventa l’unica via di fuga possibile

Ho sognato della mia bella è la poesia di Nâzım Hikmet che apre le porte al mondo interiore del poeta facendo vivere cosa significa non avere la possibilità di poter vivere la propria esistenza in modo libero e non poter godere della vicinanza, dell’affetto della persona amata, allora la moglie Piraye.

Scritta nel 1947 e dedicata alla moglie Piraye, questa poesia nasce durante la lunga prigionia nel carcere di Bursa, dove Hikmet rimase rinchiuso dal 1938 al 1950. Hatice Piraye Altınoğlu, il nome completo della moglie, che stette al suo fianco in quel duro periodo, diventa la musa di un amore vissuto attraverso le lettere e i versi, un amore che nel sogno trova l’unico spazio di incontro.

In quegli anni difficili, la scrittura diventa per Hikmet resistenza e speranza. I suoi testi non sono solo il racconto di una passione privata, ma la testimonianza di come l’immaginazione e l’arte possano essere più forti delle sbarre e dell’isolamento.

I verI versi che abbattono i muri e aprono le sbarre

La poesia si apre come un sogno, una visione mistica che permette di abbattere le mura della prigione in cui il poeta turco è recluso. L’amata appare dall’alto, sospesa tra cielo e rami, circondata dalla luce della luna. È una figura irraggiungibile, eterea, lontana dalla realtà concreta e dalle mura della prigione.

La luna, simbolo universale di femminilità e mistero, e le nuvole, che svelano e nascondono la sua immagine, rendono palpabile la distanza. Questo non è un amore vissuto nella quotidianità, ma un amore idealizzato, custodito con devozione e dolore. Un amore desirato.

Ma, nello scorrere i versi si percepisce come un miracolo.

andava e io la seguivo
mi fermavo e lei si fermava
la guardavo e lei mi guardava

La lontananza svanisce e inizia a vivere una danza spirituale, fatta di gesti specchiati, di movimenti sincronizzati, come se il sogno annullasse lo spazio che li separa.

Il silenzio diventa linguaggio, e lo sguardo diventa l’unico contatto reale. Nazim Hikmet racconta qui l’amore più puro, quello che non ha bisogno di parole, ma che vive nello scambio di occhi e presenza.

Il verso conclusivo spezza l’incanto con una semplicità che lascia senza fiato. L’atmosfera sospesa e sognante si dissolve di colpo, restituendo al poeta la sua condizione di prigioniero e all’amore la sua distanza incolmabile.

e tutto è finito qui.

In questa chiusura c’è tutta la verità dell’esilio e della separazione: anche il sogno, rifugio e salvezza, ha una fine, e la realtà torna a imporsi con tutta la sua durezza. Purtroppo, qualsiasi illusione è destinata a svanire. Il triste ritorno alla realtà segna la consapevolezza che i versi, la poesia, l’immaginazione non bastano ad abbattere il muro della distanza.

Tutto purtroppo quando ci sono i muri, le sbarre, la distanza finisce per riportare al dolore che genera la mancanza. Il senso della perdita prende il sopravvento distruggendo la bellezza della fantasia.

Tutto diventa ancora più difficile quando la persona, o meglio le persone che ami sono fuori quella cella e non puoi prenderti cura di loro, condividere i loro affetti, godere della loro presenza. Tutto finisce per diventare assenza e quando ciò accade può subentrare la sofferenza, il dolore, la frustrazione.

Possiamo considerare, quindi, Ho sognato della mia bella un inno alla resistenza emotiva: anche in una cella, anche lontano da chi si ama, un uomo può continuare a vivere attraverso le parole, può trasformare il dolore in bellezza universale.

Le parole di Nazim Hihmet sono un monumento all’amore separato, agli amanti destinati a non condividere la loro fisicità. Sono in tante le coppie che vivono questa dura realtà, dove la prigione è di fatto la distanza. Si finisce per vivere della speranza che ci si possa incontrare prima possibile e i versi, le lettere, le telefonate, le chat diventano l’unico modo per poter volare liberi nel cielo e vivere il loro amore.

Il contesto in cui fu scritta la poesia di Nazim Hikmet

Nel 1947, l’anno in cui fu scritta la poesia, Nâzım Hikmet era incarcerato nella prigione di Bursa, in Turchia. Il poeta iniziò la detenzione nel 1938 e rimase rinchiuso in carcere fino al 1950, per ben 12 anni. Il motivo della sua condanna fu di natura puramente politica, mascherato da accuse di insubordinazione militare

All’epoca, la Turchia era governata da un regime a partito unico fortemente anticomunista. Nâzım Hikmet, con le sue idee marxiste e la sua enorme influenza come poeta e intellettuale, era visto come una figura pericolosa e un agitatore politico dal governo. Le accuse formali che portarono alla sua condanna a 28 anni e 4 mesi di prigione (poi ridotti) furono l'”Incitamento alla ribellione”. Venne accusato di aver spinto i cadetti della Scuola Militare a ribellarsi contro i loro superiori.

La vera ragione dietro le accuse era di fatto loa propaganda comunista. Le sue poesie e i suoi scritti vennero considerati sovversivi e utilizzati come prova della sua attività di propaganda contro lo Stato.

Il processo fu una farsa, condotto da un tribunale militare senza prove concrete se non la sua nota fede comunista. La condanna esemplare serviva da monito per tutti gli intellettuali di sinistra del paese.Nonostante la durezza della detenzione, gli anni a Bursa furono paradossalmente tra i più prolifici della sua carriera. Invece di essere annientato, trasformò la prigione in un laboratorio creativo e umano.

In cella scrisse alcune delle sue opere più importanti, tra cui il suo capolavoro epico “Paesaggi umani del mio paese” e moltissime poesie d’amore dedicate alla moglie Piraye. Imparò a tessere e organizzò dei laboratori per gli altri detenuti, insegnando loro a leggere, scrivere e a lavorare al telaio, cercando di migliorare le loro condizioni di vita e di dare loro una speranza.

La sua cella divenne un punto di riferimento per altri intellettuali e prigionieri politici, trasformando di fatto una sezione del carcere in un’incredibile fucina di idee e resistenza culturale. La sua lunga e ingiusta prigionia scatenò una vasta campagna internazionale per la sua liberazione, a cui parteciparono figure come Pablo Picasso, Jean-Paul Sartre e Bertrand Russell, che alla fine portò a un’amnistia nel 1950.

L’amnistia che portò alla liberazione di Nâzım Hikmet nel 1950 fu il risultato di una convergenza di tre fattori potentissimi: una vasta campagna di pressione internazionale, un suo gesto personale estremo e un cruciale cambiamento politico in Turchia.

Dopo oltre un decennio di ingiusta detenzione, la fama di Hikmet come poeta e la sua condizione di prigioniero politico iniziarono a mobilitare l’opinione pubblica mondiale. Fu creato a Parigi, nel 1949, un “Comitato internazionale per la liberazione di Nâzım Hikmet”. A presiederlo fu il grande poeta francese Tristan Tzara.

A questo comitato aderirono alcune delle figure più importanti della cultura mondiale dell’epoca. Tra loro c’erano i filosofi Jean-Paul Sartre e Bertrand Russell, il fisico Frédéric Joliot-Curie, e artisti di fama universale come Pablo Picasso, che dedicò un celebre disegno alla causa.

Questo movimento non si limitò a manifestazioni culturali, ma esercitò una forte pressione diplomatica e mediatica sul governo turco, mettendo in imbarazzo la Turchia sulla scena internazionale.

Intanto la  salute di Hikmet in carcere peggiorava (aveva già subito un infarto), decidendo di compiere un gesto estremo per dare ancora più forza alla campagna per la sua liberazione. L’8 aprile 1950, Nâzım Hikmet iniziò un durissimo sciopero della fame.

La notizia del suo sciopero ebbe un’eco vastissima. In Turchia, giovani poeti e intellettuali iniziarono a loro volta degli scioperi della fame a staffetta in suo sostegno. A livello internazionale, la sua protesta drammatizzò ulteriormente la sua condizione, rendendo la sua potenziale morte in carcere un’eventualità inaccettabile per il governo turco di fronte al mondo.

In Turchia intanto avveniva di fatto un cambiamento politico. Il 14 maggio 1950 si tennero le prime elezioni veramente democratiche nella storia della Turchia. Il Partito Popolare Repubblicano (CHP), al potere da quasi 30 anni, fu sconfitto. Vinse il Partito Democratico (DP) di Adnan Menderes.

Il nuovo governo, nel tentativo di segnare una rottura con il passato autoritario e di presentarsi come più liberale, varò una legge di amnistia generale per molti reati, inclusi quelli d’opinione. Il nuovo governo di Menderes colse l’occasione per mostrarsi aperto al cambiamento e sensibile alle pressioni internazionali, includendo i prigionieri politici nella nuova legge. Dopo 12 anni di reclusione, il 15 luglio 1950, Nâzım Hikmet fu finalmente un uomo libero.

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