Con i versi della poesia “Guido io vorrei che tu e Lapo ed io” conosciamo un Dante diverso da quello austero della “Divina Commedia”, quello dei sonetti immaginifici, giovane e sognatore, che vuole fuggire via su un vascello assieme ai suoi amici e le loro donne — ma non dimentichiamo Beatrice, la trentesima.
“Guido io vorrei che tu e Lapo e io” di Dante Alighieri
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.
“Quella ch’è sul numer de le trenta”
In “Vita Nova”, raccolta di cui fa parte questo sonetto, Beatrice viene nominata come “la donna che è sul numero delle trenta”, ma anche “trentesima”, perché Dante dice di aver deciso di elogiare non più di 60 donne al fine di non svilire la lode alla donna amata.
È in quel contesto che Beatrice è indicata come la trentesima, cioè la metà di un numero perfetto, simbolo d’equilibrio e centro assoluto dell’esperienza amorosa di Dante. Perché sì, nonostante lei sia la famosa “donna angelo”, non possiamo negare il vissuto del Vate.
Il numero perfetto
Ricordiamo che per Dante — e non solo per lui — il 3 è il numero perfetto, simbolo di Trinità. Da qui il rimando al 30, multiplo di 3. Beatrice è spesso associata al 3, al 9 (3×3), e in generale a numeri mistici, che Dante usa per caricare di senso religioso e cosmico tutte le sue opere.
Un esempio banale? La “Divina Commedia”, composta da 3 cantiche: “Inferno”, “Purgatorio” e “Paradiso”; dove ciascuna si forma di 33 canti — tranne l’“Inferno” che contiene un canto proemiale aggiuntivo — scritti in terzine.
L’amicizia di Dante in barca
Non è un caso che sul vascello siano tre amici e tre donne, quindi sei in tutto, guidati dalla magia di un mago misterioso, e che lui ritenga quest’immagine idilliaca, rilassante, perfetta.
“Guido io vorrei che tu e Lapo e io” è una delle prime testimonianze di amicizia letteraria italiana, e ha una delicatezza che sorprende il lettore. È fragile e preziosa come tutte le cose immaginate. E come tutte le fughe sognate, non si realizza.
La risposta di Guido Cavalcanti
Anche nell’immaginazione c’è un limite, e spesso siamo proprio noi a darglielo. La risposta di Guido risulta più dolente, fatta di versi struggenti, che rimandano all’Amore e alla donna dei suoi sogni. Sembrerebbe che non voglia proprio salire su quel vascello incantato, che non sia degno di Vanna e che sia successo qualcosa dal suo ultimo incontro con Dante. O forse no, non c’è dato saperlo. Fatto sta che il poveruomo è afflitto dal dolore.
Il mago
È come se Merlino avesse trasceso il tempo e lo spazio, conducendo il vascello con gli amici di Dante fino a noi. Ogni volta che gli studenti aprono il libro di testo e rileggono il sonetto ricoprono il valore dell’amicizia, la semplicità dei rapporti, l’autenticità delle relazioni e la bellezza della condivisione.
Al di là della risposta di Guido Cavalcanti, che potrebbe essere quella di chiunque a un messaggio su WhatsApp dove si organizza un’uscita per un aperitivo o un picnic.
Perché Dante ci parla di un bisogno profondamente umano: tutti abbiamo avuto, almeno una volta, il desiderio di fuggire con gli amici più veri. Tutti abbiamo immaginato un luogo dove poter essere davvero noi stessi, dove la poesia — o qualunque altra forma di bellezza — potesse vivere senza spiegazioni, senza dover lottare per esistere.
Un posto sicuro fuori dal tempo dove fermarsi per respirare lontano dai giudizi degli altri. Dobbiamo solo aspettare Merlino.