Una commovente poesia per ricordare Paolo Borsellino, grande giudice ma, prima di tutto, grande uomo.
Palermo, via D’Amelio, 19 luglio 1992: una Fiat 126 rubata viene fatta saltare in aria con l’obiettivo di colpire un uomo coraggioso che a lungo ha lottato contro Cosa Nostra. A seguito di questo vile attentato, perdono la vita il magistrato Paolo Borsellino, gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, e rimangono coinvolte altre 24 persone.
In occasione di questo triste anniversario, vogliamo condividere con voi “Giudice Paolo”, la toccante poesia che Marilena Monti – scrittrice, autrice televisiva e drammaturga – ha composto nel 1992 per ricordare Paolo Borsellino, e che lei stessa legge ogni 19 luglio a Palermo su richiesta dai familiari del compianto giudice.
Giudice Paolo di Marilena Monti
Col sole che brucia.
Coi gradi assoluti di luglio.
Possibile farsi riparo
e darsi frescura con niente?
Presenti.
Dolenti.
Furenti.
Pensosi.
Penosi gli sguardi.
Duemila, tremila, seimila.
I timidi, i buoni, i pavidi
e gli sbruffoni.
Magliette celesti,
ragazze,
signore ed occhiali,
scolari.
Tacete!
Ché Paolo dorme per sempre,
ormai non lo sveglia il mattino.
Onesti.
Parenti di un sangue
impreciso.
Palermo è la madre
violata.
Il giudice ucciso
è il padre caduto. L’ennesimo.
Tutti:
onesti, feroci, orfanelli…
Per oggi né mare,
né strade affollate:
fu atroce l’estate
dell’Isola azzurra,
fu fossa di pioggia sanguigna
e amara di pianto!
“Andiamo in vacanza,
andiamo a raccogliere fiori,
e pigri diletti e
dispetti,
manciate di sabbia
e spruzzi
e aranciata gelata,
e fiori di zucca
a frittata…
meloni,
gelati,
canzoni…
Andiamo a inventarci
un amore,
a fare bambini a Mondello,
ché luglio è maturo,
ed è bello…”
E invece
vestiti e
investiti
di un compito grave,
andiamo a vedere
che Paolo
oggi parte
per sempre.
“Che vengano i giusti
– ha detto la moglie,
e la madre –
che vengano i buoni!”.
Discreti.
Mattino otto e trenta.
Transenne.
Asfalto delira
cocente.
Le scarpe mordicchiano
i piedi.
Li abbiamo comprati anche noi
dei fiori vivaci!
Non sono “fiori di stato”
stirati,
eleganti e
bugiardi!…
I nostri son belli e sdruciti.
Son fiori arrabbiati e cocenti
di mani che stringono
gambi sudati,
bagnati di pianto.
Davanti la chiesa: duemila, tremila,
ottomila.
La strada
è una biscia
di immobili corpi serrati,
che tremano,
coi trenta gradi,
come fosse gennaio.
Cercare calore è possibile
il venti di luglio?
E il sole impietoso
tortura
le teste scoperte.
Immobili.
Quieti e rabbiosi.
Devoti ad un patto recente.
Puliti, lucenti,
bellissimi e veri:
Palermo!
Da occhi, da baffi, da mani;
da rughe, da guance,
il patto si fa più compatto
e cresce il dolore.
“Guardiamolo in faccia,
il dolore,
per l’ultima volta!
Domani saremo occupati
ad alzare la testa,
a dire di no,
a volere il diritto,
a negare
il favore!
Ti giuro,
Giudice Paolo
dagli occhi di miele
e mestizia,
che noi
ti faremo giustizia!”.
Respira la folla,
tenendo il respiro.
Nessuno che urli.
Qualcuno è svenuto
in silenzio.
Si compie nel piccolo
tempio,
il rito d’addio.
A Dio.
A quale Dio,
si chiede Palermo,
offriamo le lacrime
e il patto! …
A quale celeste sovrano
chiediamo conto e ragione
se Paolo è in croce,
con gli altri,
i ragazzi,
quotidiani soldati trafitti…
Silenzio.
La voce,
da dentro la chiesa.
Negli altoparlanti
ripete
parole di rito,
parole di pianto.
Promesse solenni.
Applaude Palermo.
Le bocche serrate
e gli occhi a dare,
col pianto,
una tregua al calore
dell’ingiustizia!
Parole taciute.
Oggi non c’è da gridare!
Oggi si nutre e si cresce
una nuova creatura,
lucida e chiara
futura
e presente:
il cuore, la mente
e l’amore l’hanno
voluta.
Palermo s’ingravida
al sole di luglio…
nei corpi assetati,
in tanto silenzio,
nel pianto,
nel muto linguaggio di mani
che paiono quiete.
Civili.
Belli e civili.
Nobili e dignitosi.
Austeri e teneri
figli.
Parenti di un sangue
comune
(genetici-azzurri legami…)
bastardi di storie
infinite!
Soldati di luce.
Coscienti.
Feriti e
uccisi
dalla morte medesima
che uccise quei Giusti!
Feroci.
Furenti.
Composti.
Gentili.
Assetati.
Uniti, eterni, splendenti…
I giudici giusti
caduti!
I giudici buoni,
gli arcangeli buoni
del nostro diritto!
E piange Palermo
Al mattino!
Le dieci e cinquanta.
Da tetti, terrazze,
finestre…
Il grido incredibile
è muto.
Mentre Paolo è
nel legno.
Con la sua devozione
e la sua solitudine.
E i vivi
respirano amore,
in questo momento,
non odio,
e pioggia di fiori, scomposta freschezza,
e lacrima ennesima
e tenerezza.
“Ti giuro,
Giudice Paolo
dagli occhi di miele
e mestizia,
che noi
ti faremo
giustizia!”