Gitanjali 32 di Tagore: se l’amore “soffoca”, non è quello giusto. Un lezione da imparare

7 Novembre 2025

Scopri i versi di Gitanjali 32 di Rabindranath Tagore, la poesia che rivela la verità dell’amore che libera e non possiede. È solo questione di fede.

Gitanjali 32 di Tagore se l'amore "soffoca", non è quello giusto. Un lezione da imparare

Se il tuo amore si basa sul controllo, sulla protezione ossessiva o sul possesso, forse non è amore. È solo paura. L’amore vero è lasciare all’altro la ‘libertà di esistere’. Questa non è una frase di un guru moderno, ma la geniale intuizione della poesia Gitanjali 32 di Rabindranath Tagore.

La non parla di distacco, ma di fiducia assoluta. Non di assenza, ma di presenza silenziosa.

Perché amare significa sapere che l’altro c’è in assoluto, anche quando non è accanto, anche quando tace, anche quando la vita sembra allontanarlo da noi.

È il contrario del bisogno. È l’opposto del controllo. È la certezza che l’amore continua a esistere anche quando non si manifesta, come una fiamma che arde quieta, senza bruciare.

Tagore lo scrive con la grazia di chi ha compreso che l’amore, per essere eterno, deve saper rinunciare a se stesso. Perché l’amore che trattiene finisce, ma l’amore che libera dura per sempre.

La poesia è il trentaduesimo Canto della raccolta di poesie Gitanjali (Song OfferingsOfferta di Canti, in Italiano è stata tradotta Ghitangioli) di Rabindranath Tagore, pubblicata per la prima volta in India il 4 agosto del 1910 e tradotta in inglese, con l’introduzione di William Butler Yeats nel 1912.

La raccolta permise a Tagore di ricevere il Premio Nobel per la letteratura nel 1913, divenendo il primo non europeo, il primo asiatico e l’unico indiano, o meglio bengalese, a ricevere questo riconoscimento.

Leggiamo la poesia di Rabindranath Tagore per comprendere il profondo significato.

Gitanjali 32 di Rabindranath Tagore

Con ogni mezzo coloro che mi amano in questo mondo cercano di tenermi al sicuro.
Ma il tuo amore, che è più grande del loro, mi lascia libero.

Per timore che io li dimentichi, essi non osano lasciarmi solo.
Ma giorno dopo giorno passa, e tu non ti lasci vedere.

Se non ti invoco nelle mie preghiere, se non ti serbo nel mio cuore,
il tuo amore tuttavia attende il mio amore.

 

Gitanjali 32, Rabindranath Tagore

By all means they try to hold me secure who love me in this world.
But it is otherwise with thy love which is greater than theirs,
and thou keepest me free.

Lest I forget them they never venture to leave me alone.
But day passes by after day and thou art not seen.

If I call not thee in my prayers, if I keep not thee in my heart,
thy love for me still waits for my love.

Il vero amore ha bisogno di fede

Nel Poema 32 di Gitanjali, Rabindranath Tagore parla a Dio, al suo Creatore. Ma le sue parole vanno oltre ogni confine religioso: sono una meditazione sull’amore universale, quello con la A maiuscola, che trascende il tempo, la materia e il bisogno di possesso.

Il dialogo con il divino diventa, allo stesso tempo, il ritratto perfetto di ogni relazione umana autentica. Perché il senso non cambia. Amare davvero richiede una forma di fede laica, una fiducia assoluta nell’altro, anche quando non lo vediamo, anche quando tace.

Tagore usa il linguaggio spirituale per esprimere una verità terrena. Non c’è differenza tra l’amore che lega l’uomo a Dio e quello che unisce due anime nella vita quotidiana:  entrambi devono essere fondati sulla libertà e sulla fiducia.

L’amore, in ogni sua forma, è una preghiera senza parole. È un atto di fede nel mistero dell’altro, una scelta che si rinnova anche senza garanzie, anche senza prove.

In questo senso, Tagore ci offre una lezione sorprendentemente moderna. L’amore non è un patto di presenza, ma un patto di fiducia. È la certezza che, anche se la distanza si fa silenzio, il legame resta vivo in una dimensione più alta, dove il cuore riconosce ciò che gli occhi non vedono.

L’amore non è possesso

La poesia inizia con una verità che attraversa i secoli.

Con ogni mezzo coloro che mi amano in questo mondo cercano di tenermi al sicuro.
Ma il tuo amore, che è più grande del loro, mi lascia libero.

Chi ama spesso vuole proteggere, ma finisce per trattenere. L’amore umano tende naturalmente al possesso, perché nasce dal timore di perdere. Così si costruiscono relazioni fatte di controllo, di presenza costante, di attenzioni che non sempre sono dono, ma spesso sono catene invisibili.

Tagore riconosce la bontà di questi affetti, ma ne coglie il limite. L’amore “di questo mondo” nasce dal bisogno, non dalla libertà. È l’amore che stringe le mani per paura che l’altro si allontani, dimenticando che la sicurezza non è nel trattenere, ma nel lasciare esistere.

Solo un amore più grande, quello spirituale, o più semplicemente, quello consapevole, sa restare vicino senza occupare tutto lo spazio dell’altro.
È la differenza tra il voler “possedere” e il voler “condividere l’esistenza”.

L’assenza è una prova? No, è una forma di presenza

Il senso del controllo emerge in questi versi.

Per timore che io li dimentichi, essi non osano lasciarmi solo.
Ma giorno dopo giorno passa, e tu non ti lasci vedere.

Tagore affronta il dolore del silenzio, la distanza, l’assenza.  Dio non si mostra, l’amore sembra lontano, e il cuore umano,  impaziente, si riempie di domande.
Ma dietro questa lontananza si cela un mistero. L’assenza non è abbandono, è spazio per la crescita.

Ogni relazione matura deve attraversare il vuoto, imparare a sopravvivere senza la continua conferma. È lì che si misura la profondità del legame: non nella quantità di parole, ma nella qualità del silenzio condiviso.

Tagore ci invita a trasformare la nostalgia in consapevolezza. L’amore non ha bisogno di essere continuamente visibile per esistere: come la luce del sole che si sente anche quando è coperta da una nuvola, l’amore continua a riscaldare anche quando non appare.

L’amore che attende senza chiedere nulla

Il cuore del poema di Tagore è la rivelazione finale.

Se non ti invoco nelle mie preghiere, se non ti serbo nel mio cuore,
il tuo amore tuttavia attende il mio amore.

Tagore parla dell’amore che non si spegne anche quando viene dimenticato, che continua a esistere anche quando non viene ricambiato. È l’amore che attende in silenzio, senza risentimento, senza pretesa.

Questo è il modello di amore incondizionato, capace di restare saldo nella pazienza, di non trasformarsi in rabbia o indifferenza quando non trova risposta. È l’amore che nasce da una fede profonda nella bontà dell’altro, nella forza del legame invisibile che unisce due esseri al di là delle parole e delle distanze.

Tagore non sta parlando solo di Dio, sta parlando del senso stesso dell’amore, compreso quello terreno.
Esprime  le volte in cui si ama senza essere visti, di ogni attesa che ha reso più umani, di ogni silenzio che ha trasformato la mancanza in comprensione. Perché l’amore che attende è l’amore che crede, e solo chi crede, davvero, sa amare.

L’amore è un sentimento che riflette il divino

Alla fine, Tagore ci accompagna verso una verità che pochi hanno il coraggio di accettare: solo l’amore che ha in sé qualcosa di divino può essere davvero chiamato amore. Non perché appartenga al cielo, ma perché nasce da una sorgente interiore che supera l’ego, la paura e il bisogno.

Nel mondo reale, spesso confondiamo l’amore con la dipendenza, la cura con il controllo, la presenza con la paura della solitudine. Ma l’amore di cui parla Tagore è un’altra cosa: è una forza che non pretende, non si nutre di conferme, non si spegne nel tempo.
È l’amore che riconosce nell’altro un’anima, non un possesso, e per questo resta puro anche dentro l’imperfezione umana.

In fondo, il suo “Gitanjali” non è solo un canto rivolto a Dio, ma un modo per ricordarci che ogni amore autentico è già un atto di fede. Quando amiamo davvero, ci affidiamo a qualcosa che non vediamo, che non possiamo misurare, ma che sentiamo come assoluto.
Amare, allora, diventa la più concreta delle esperienze spirituali: un incontro tra due fragilità che si sostengono nella luce dell’invisibile.

E forse è proprio questo il senso profondo della poesia di Rabindranath Tagore. L’amore non è un sentimento tra due esseri umani, ma un riflesso del divino che si manifesta attraverso di loro.
E in quel riflesso, libero, silenzioso, infinito, l’umano ritrova la sua parte più vera, la sola che non può perdersi.

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