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Giovanni Fontana, storia del poeta che realizza “romanzi sonori”

Considerato tra i più conosciuti poeti sonori a livello internazionale, Giovanni Fontana è un poliartista, performer e autore di “romanzi sonori”

Personalità incredibilmente carismatica, Giovanni Fontana è un poliartista, performer e autore di romanzi sonori. Considerato tra i più conosciuti poeti sonori a livello internazionale, ha collaborato con Henri Chopin e Bernard Heidsieck, entrambi considerati i precursori della poesia sonora, e con Adriano Spatola con il quale ha collaborato per “Tam Tam” e per la rivista in audiocassetta “Baobab”. Ha scritto diversi testi poetici per svariati musicisti, tra cui Ennio Morricone, Roman Vlad, Antonio D’Anto, Antonio Poce e tanti altri. Scopriamo l’arte di questo poeta, specializzato in romanzi sonori.

Come mai definisci il testo poetico come un “pre-testo”?

La pagina è la sede in cui vengono svolte alcune importanti attività di laboratorio. La scrittura consente di effettuare operazioni fondamentali per l’organizzazione del testo: tessere trama e ordito e fare tutte le prove di verifica del caso. È un’occasione per pensare e ripensarci. Sarebbe pressoché impossibile fare questo lavoro a mente nuda, senza alcun supporto. Il testo scritto è il frutto di un’attività sperimentale e, nello stesso tempo, costituisce una sorta di memoria poietica in tensione.

Il testo pulsa per quelle che sono le sue qualità latenti: qualità che, però, potranno essere apprezzate solo in una dimensione dilatata, fuori dalla pagina, oltre la pagina, in uno spazio-tempo in cui tutte le sue potenzialità saranno sviluppate e valorizzate attraverso l’uso della voce, che sarà al centro di un contesto performativo particolarmente articolato. Lì moltissimi altri elementi ruoteranno intorno alla voce-corpo: gesto e movimento, colore e luce, rumore e suono e così via.

Pertanto il testo non è che un punto di arrivo temporaneo, non è che una memoria da riscrivere nello spazio tempo in una configurazione ben più complessa. In questo senso, è un progetto, dunque un pre-testo: un testo che è a monte della riscrittura d’azione, un testo che è un pretesto per mettere il corpo del poeta al centro del suo poema.

Da dove nasce l’idea di una poesia epigenetica? Cosa intendi con questo termine?

Il concetto di poesia epigenetica scaturisce dall’analisi del rapporto tra testo e azione, tra pre-testo e performance poietica. Dicevamo poc’anzi che il pre-testo è lì che attende una lettura, o meglio una ri-lettura, che, in realtà, ha il valore di una rigenerazione in chiave epigenetica, da imputare all’azione nel contesto ambientale. In effetti, il pre-testo è un organismo vivente che inizia a sussultare ogni volta che entra in rapporto con il performer. Ne scaturiscono, evidentemente, sorprendenti variazioni plastiche. Ma ciò che va evidenziato è che lo stesso pre-testo, nella sua immobilità del tutto apparente, subisce importanti modificazioni. È, infatti, oggetto di un rimodellamento di ritorno che ne riorganizza il senso.

Ci troviamo immersi in un gioco di specchi prospettici, di anamorfosi sequenziali. In sintesi, la cronologia del processo è questa: il pre-testo offre i suoi dati di entrata; il performer agisce sugli input testuali; l’azione si consuma nello spazio-tempo; l’esperienza della performance rimodella il pre-testo, che, ad una successiva lettura, pur apparendo identico, non sarà più lo stesso. Praticamente, ogni performance eseguita trasfigura il testo di partenza, che, comunque, conserva la sua unicità ed identità. Il suo DNA non cambia, ma trattiene gli echi del suo analogo dinamico. Possiamo dire, pertanto, che la struttura genotipica del pre-testo è alla base di un processo epigenetico che ha come risultato un fenotipo poetico in evoluzione continua.

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Sei autore di romanzi sonori. Come definiresti l’interazione tra oralità e scrittura dei tuoi componimenti artistici?

Sulla base di quanto ho appena chiarito, l’interazione tra oralità e scrittura è un’avventura necessaria, perché a mio parere non c’è poesia senza voce. La poesia nasceva infatti prima della scrittura e svolgeva alle origini un importante ruolo sociale. Viaggiava sulle ali della memoria. Le regole di composizione poetica, le formule, il ritmo, la rima erano strumenti atti a sostenere la memorizzazione. La poesia era con la voce, nella voce, dietro la voce, spesso accompagnata dalla musica e dalla danza, di fronte ad astanti pronti a lanciare i propri segnali verso l’aedo, che li recepiva facendone tesoro.

Dopo l’introduzione della scrittura è subentrato gradualmente il silenzio. Le sonorità sono diventate mentali, pur se, nei secoli, scrittura e voce hanno proficuamente convissuto, basti pensare alla poesia latina, a quella trovadorica o a quella delle avanguardie novecentesche. Oggi in full immersion nella fonosfera non possiamo trascurare le enormi risorse della «nuova oralità». Per il poeta, riappropriarsi della propria voce è un imperativo categorico.

Romanzi sonori: come nasce questo tipo di composizione poetica che prevede la confluenza tra diverse espressioni artistiche?

È da chiarire subito che il mio progetto poetico non nasce dal nulla. Alla sua base c’è la lezione delle avanguardie storiche, c’è la sollecitazione teorica di artisti e poeti, che, prima di me, hanno lavorato in questa direzione. Cito ad esempio Dick Higgins, con la sua nozione di «intermedialità», o Adriano Spatola con la sua idea di «poesia totale». Poi ci sono frequentazioni molto importanti sul piano dell’esperienza come quelle dello stesso Spatola o di Arrigo Lora Totino; ci sono amicizie determinanti come quelle di Henri Chopin, Bernard Heidsieck, Pierre Garnier, Julien Blaine, John Giorno, ecc.

Poi, naturalmente, molto scaturisce dalla mia formazione tecnica e culturale, condotta in ambito interdisciplinare e focalizzata su interessi molteplici: dalle arti visive all’architettura, dal teatro al cinema, dalla musica alla letteratura. In realtà, fin da ragazzo ho amato il fascino e il rischio della contaminazione dei linguaggi.

Le performances e i romanzi sonori di Giovanni Fontana assorbono il pubblico in una spirale catartica di suoni e parole dalla quale se ne esce rinnovati. Una poesia cruda e fredda che fa pensare alla pioggia battente su un marciapiede in inverno, in una qualche città straniera, di sera, tra traffico e pozzanghere. Tramutando la sua poesia in immagine, si intravedono semafori rossi riflessi sugli sportelli bagnati dei taxi; una luna solitaria, specchiata in una pozzanghera, trafitta da un noncurante tacco a spillo. È una produzione artistica che ricorda i quadri di Francis Bacon.

I suoi romanzi sonori, i suoi versi respirano con affanno. Sembrano neri, rossi e bagnati. Le sue performances poetiche sono immagine, suono, parola, grido, sospiro, rumore e soprattutto emozione. Fare poesia purifica l’anima e la produzione artistica di Giovanni Fontana ne è l’esempio.

Manuela Morrone

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