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“Fino a quando avrò”, la poesia di Samih al-Qasim che celebra la resistenza

“Fino a quando avrò” è una significativa poesia composta da Samih al-Qasim che celebra la resistenza.

Scritti con il lessico semplice ed evocativo che contraddistingue la produzione poetica dell’autore, questi versi rappresentano un importante esempio di scrittura impegnata e legata alla resistenza. Samih al-Qasim si è infatti servito delle parole per ribellarsi e resistere. Il suo è un componimento che celebra la resistenza, proprio come quella che caratterizza l’Ucraina e il suo popolo in questi giorni di guerra. Leggiamolo insieme.

“Fino a quando avrò”

Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo…un alberello di cactus!
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto… un muro!
Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-’Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,
le mie mani!
Fino a quando avrò… la mia anima!
La dichiarerò in faccia ai nemici!
La dichiarerò… una guerra terribile
in nome degli spiriti liberi
operai… studenti… poeti…
la dichiarerò… e che si sazino del pane della vergogna
i vili… e i nemici del sole.
Ho ancora la mia anima…
mi rimarrà… la mia anima!
Rimarranno le mie parole… pane e arma… nelle mani dei ribelli!

Resistere è esistere

“Fino a quando avrò” fa parte delle “poesie della resistenza palestinese” scritte da Samih al-Qasim, che ha dedicato larga parte della sua produzione a questo tema. I versi che abbiamo letto, che in lingua originale sono rimati, colpiscono nella loro semplicità. Il messaggio arriva veloce, immediato, come se non avesse bisogno di essere pensato e metabolizzato. Giunge dritto al cuore. Con immagini che rimandano alla terra natia e alle tradizioni che sopravvivono in essa, il poeta intona un canto di resistenza universale.

L’ulivo (v.2), l’albero di limoni (v.3), il pozzo e le piante grasse, come quella del cactus (v.3) sono elementi onnipresenti nelle campagne palestinesi. Sanno di casa, sono elementi naturali ed al contempo simboli. L’ulivo e gli alberi di agrumi, in particolare, sono spesso protagonisti dei componimenti della letteratura arabo-palestinese. Simboleggiano la vita, preziosa e profumata, che nasce e cresce radicata nella terra amata.

Anche il ricordo è un topos letterario importante nella produzione arabo-palestinese. Esso costituisce un motivo per andare avanti, per non spegnere la speranza e non farsi trascinare dal dolore: qui il ricordo interessa i propri cari (“un nonno defunto” al v.7) e i luoghi della vita quotidiana (“una piccola biblioteca” al v.6).

E poi c’è la lingua madre, l’idioma con cui si è imparato a parlare, a cantare, a sognare; la lingua che usa il poeta per celebrare la sua terra, che è la stessa utilizzata da numerosi altri poeti e cantori del passato. L’io narrante inneggia ad una resistenza che non cesserà finché esisteranno la sua terra ed il ricordo di essa.

Ma poi, al-Qasim si spinge oltre. Anche se tutto questo – le case, le strade, la vegetazione, i ricordi, la lingua araba – dovesse cessare di esistere, resterebbe ancora qualcosa. Resterebbe lui, l’uomo, in tutta la sua corporeità, con gli occhi, le labbra, le mani (vv.13-15) a perpetuare il ricordo della sua terra. E se neanche questo dovesse essere sufficiente? Nulla resiste più dell’anima. L’anima resta, esiste e resiste anche dopo la morte, per sempre impressa nelle parole con cui ha composto i suoi versi, “pane e arma… nelle mani dei ribelli” (v.25).

Samih al-Qasim

Samih al-Qasim nasce da genitori drusi nel villaggio di al-Zarqa’, in Transgiordania, nel 1939. Da bambino, prima che la guerra cominci ad infuriare in Palestina, conduce una vita tranquilla e serena. Ad al-Zarqa’ frequenta la scuola fino al 1948, quando scoppia il conflitto israelo-palestinese e ha inizio la “nakba”, la “catastrofe” che segna per sempre la vita dei palestinesi. Infatti, il giovane Samih e i suoi genitori sono costretti, come tutti gli arabo-palestinesi, a lasciare la propria casa. La famiglia al-Qasim si trasferisce quindi a Nazaret, dove Samih conclude gli studi.

A proposito del giorno in cui la famiglia è costretta ad abbandonare la sua casa, il poeta scriverà anni dopo: «Mentre ero ancora a scuola elementare la tragedia palestinese si è verificata. Ritengo che la data 1948 sia la mia data di nascita, perché le prime immagini che posso ricordare sono di quella guerra. Il mio pensiero e le immagini nascono dal numero 48.» Samih al-Qasim è uno di quegli intellettuali che ha accettato la cittadinanza israeliana ed è rimasto nella sua terra anche dopo la fondazione dello Stato d’Israele.

Giornalista apprezzato e prolifico, al-Qasim scrive per Al-Ittihad, Al-Jadid, Index e altri giornali arabi di spessore. Insieme a Mahmoud Darwish e ad altri intellettuali dell’epoca, aderisce al Partito Comunista Israeliano e, a causa delle sue posizioni politiche, viene imprigionato diverse volte e allontanato dalla sua professione d’insegnante. Samih al-Qasim ha pubblicato moltissime raccolte poetiche, ed è stato incluso nella prima antologia di letteratura della Resistenza palestinese curata nel 1968 da Ghassan Kanafani a Beirut. Muore nel 2014 dopo una lunga malattia.

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