Falsetto (1925) di Eugenio Montale, l’autentica gioia della giovinezza va resa eterna

20 Luglio 2025

Scopri il profondo significato di "Falsetto" di Eugenio Montale, poesia che offre una visione etrena della giovinezza come salvezza dall'inquietudine.

Falsetto (1925) di Eugenio Montale, l'autentica gioia della giovinezza va resa eterna

Falsetto di Eugenio Montale è una poesia che mette in scena la la vitalità spensierata della giovinezza, incarnata da una giovane donna, e la cupa e riflessiva vita del poeta, che non può che osservala da una prospettiva distante e pessimista. La vitale giovinezza della donna sempbra essere messa in pericolo dall’avanzare dell’età.

Ciò che il poeta vede, è di fatto un “falsetto”, qualcosa che stona con l’immagine della realtà così come appare attraverso i suoi occhi. È una finzione seppur viva perché chiusa nella visione distaccata di un Montale che vede la vita dalla sua condizione esistenziale, lontana dalla gioia tipica della giovinezza, che invece è presente nella figura femminile che lo conquista.

Falsetto è una poesia che fa parte della raccolta di poesie Ossi di Seppia di Eugenio Montale, pubblicata oper la prima volta il 15 giugno del 1925 a Torino da Pietro Gobetti. La poesia è dedicata a Esterina Rossi, giovane donna realmente conosciuta dal poeta a Genova nei primi anni Venti. Nella prima edizione della raccolta compariva esplicitamente la dedica: “A Esterina Rossi”, rimossa nelle ristampe successive. Esterina diventa, nel corso della poesia, molto più di una persona reale: è un simbolo, una visione, un mito personale.

Leggiamo questa meravigliosa poesia di Eugenio Montale per viverne il contenuto e coglierne il significato.

Falsetto di Eugenio Montale

Esterina, i vent’anni ti minacciano,
grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.
Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal fiotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un’avventura più lontana
l’intento viso che assembra
l’arciera Diana.
Salgono i venti autunni,
t’avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell’elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d’incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.

La dubbia dimane non t’impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola
ferma sul masso brullo;
te insidia giovinezza,
quella il lacciòlo d’erba del fanciullo.
L’acqua è la forza che ti tempra,
nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
noi ti pensiamo come un’alga, un ciottolo
come un’equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma torna al lito più pura.

Hai ben ragione tu!
Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortilizî
del tuo domani oscuro.
T’alzi e t’avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.

Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.

Un inno alla giovinezza eterna come atto per salvare la gioia e la felicità

Falsetto è la prima grande poesia femminile di Eugeio Montale, anticipazione di figure come Dora Markus, Liuba, Clizia. Ma a differenza di queste, Esterina non è strumento salvifico o angelo della storia. È vita che si tuffa, energia che non guarda indietro. Per questo il poeta la osserva con un misto di fascinazione, dolore e invidia.

La sua equoreità,  il suo essere tutta nell’acqua, è metafora di un’esistenza pura e presente, incontaminata. Esterina non invecchierà, non cadrà, resterà per sempre nell’atto del tuffo, sospesa tra cielo e mare, nella memoria del poeta e dei lettori. Il poeta vuole salvare quel momento per sempre, il tuffo nel mare si trasforma in potenza vitale, in giovinezza eterna.

In Falsetto, Esterina viene evocata attraverso la memoria del suono, della voce, del riso. Ma col procedere dei versi, il ricordo si trasforma, e con esso la donna si trasfigura: non è più solo una giovane reale, ma una divinità del mare, un’archetipo poetico di vitalità, giovinezza e bellezza senza fine.

Uno degli aspetti più affascinanti di Falsetto è che Eugenio Montale, attraverso la poesia, tenta di salvare Esterina dalla condizione umana. Non le offre salvezza spirituale o religiosa, bensì poetica e mitica: la sottrae al tempo, alla vecchiaia, all’angoscia dell’esistere, trasformandola in un essere divino e naturale.

Il gesto poetico di eternizzare la gioia

In questo senso, Esterina è la prima creatura femminile che Montale salva dalla realtà. E lo fa rendendola equorea, fusa con il mare e con la luce, senza ombre interiori, senza domande senza risposta, senza il tormento dell’“io” poetico moderno.

Nel mondo poetico di Eugenio Montale, spesso segnato da angoscia, silenzi, aridità, Esterina rappresenta un’eccezione luminosa. Lei è compiuta. Vive in modo pieno. Non ha bisogno di interrogarsi né di giustificare il proprio essere al mondo. È, semplicemente, vitalità allo stato puro.

Uno dei temi centrali della poesia è il tentativo di salvare la donna rendendola per sempre giovane, felice, armoniosa. Esterina, con la sua risata e il suo tuffo, vive nell’eterno presente, immune alla corrosione del futuro.

La dubbia dimane non t’impaura.

Questo verso non è solo un elogio, ma una constatazione che Esterina non ha bisogno di essere salvata, perché già possiede ciò che al poeta manca.

Montale, che nella sua poesia spesso mette in scena l’inquietudine, il dubbio, il male di vivere, in Esterina immagina una vita alternativa: un’esistenza piena, leggera, semplice e forte, come quella di chi non ha bisogno di interrogarsi, ma semplicemente vive.

La poesia diventa il luogo dove questa salvezza è possibile. Esterina è salvata non dal destino, ma dalla poesia stessa, che la trasfigura in un simbolo luminoso e incorruttibile.

Fermare il tempo: la donna come figura eterna

Il tuffo di Esterina dal ponticello è un gesto congelato nel tempo, che si imprime nella mente del lettore come un fermo immagine epifanico:

“il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.”

Esterina non invecchierà mai. Non tornerà sulla terra. Resterà sospesa nel gesto del tuffo, per sempre giovane, per sempre viva. È una salvezza che esclude il cambiamento, ma dona l’immortalità della bellezza.

La metamorfosi come strategia di immortalità

Nel cuore della poesia, Montale conduce Esterina in un processo progressivo di metamorfosi. Da ragazza reale, diventa, fenice, che risorge “dal fiotto di cenere”,  dea Diana, con il “viso intento” e il portamento regale, lucertola, creatura terrestre che prende il sole e infine “equorea creatura”, ninfa marina, pura e inattaccabile.

Questa metamorfosinon è solo un artificio poetico, ma una strategia di salvezza. Montale salva Esterina dal tempo, dalla caducità, dalla vita umana, consegnandola a una dimensione altra, divina, naturale, eterna. Il gesto del poeta è paradossale: per salvare Esterina dalla vita, la allontana dalla realtà. La rende mito, simbolo, visione fissa. La toglie dal tempo per consegnarla all’eternità.

In questo senso, “Falsetto” è una poesia di cristallizzazione: l’istante del tuffo, il profilo inciso sullo sfondo perlaceo, il ponticello sospeso nel vuoto sono immagini eterne, fuori dalla storia.

La metamorfosi in creatura marina, in sirena, ninfa, dea serve proprio a questo: preservare Esterina dal destino umano. Nel farlo, Montale esprime un desiderio profondo, ovvero congelare la felicità, renderla immutabile, senza conflitto né caduta.

La giovinezza eterna il vero falesetto di Montale

Non si può ignorare che questa forma di “salvezza” porti con sé anche un’ambiguità: Esterina è salvata, ma anche fissata, come un’immagine irraggiungibile. La sua gioia, la sua leggerezza, la sua giovinezza diventano emblemi, segni da adorare ma non da raggiungere.

È un gesto profondamente estetico: la donna non viene amata nella sua interezza umana, ma sublimata e idealizzata. Questo gesto non è privo di rischi: nella salvezza poetica, c’è anche una forma di esilio. Ma è l’unico modo che Eugenio Montale conosce per far sopravvivere qualcosa alla distruzione del tempo.

In Falsetto, Eugenio Montale non canta solo una donna reale, ma inventa una figura eterna, mitica e serena, attraverso cui salva una parte della vita dalla rovina. Esterina diventa giovane per sempre, viva ma invulnerabile, presente ma irraggiungibile. In sintesi una figura divina e quuindi salvata.

la donna si trasforma in una forma laica di immortalità, quella che solo l’arte e la poesia possono offrire. In un mondo dominato dall’”inquietudine dell’io”, Montale crea un altrove immaginario, dove la leggerezza è possibile. Dove la felicità non deve spiegarsi, ma semplicemente accadere.

L’ultimo verso della poesia è forse il più celebre e amaro:

Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.

Il poeta, e noi con lui, non partecipiamo al volo di Esterina. Restiamo al margine, sulla riva, a osservare. Questa distanza è fondamentale: la donna salvata dalla poesia è anche irraggiungibile. La salvezza, in Montale, passa attraverso la distanza e la perdita.

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