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“Er sorcio de città…”, la poesia di Trilussa sulle discriminazioni sociali

Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, è stato un poeta noto per aver reso il romanesco la sua principale caratteristica letteraria

Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, è stato un poeta noto per aver reso il romanesco la sua principale caratteristica letteraria. Le sue poesie sono ancora ricordate per la grande carica umoristica ed educatrice. Una storiella che ha reso davvero famoso il poeta Trilussa è proprio “Il topo di città e il topo di campagna”. Questo poeta, di cui oggi ricorre la nascita, è forse il poeta dialettale più famoso di sempre. Ha saputo raccontare verità è spaccati sociali in maniera ironica ma molto analitica, prendendo come protagonisti caricature di personaggi quotidiani.

Il topo di città e il topo di campagna

In un mondo dove il dislivello sociale, oramai, è sempre più tangibile, come possiamo parlare di uguaglianza o giustizia? Trilussa compara due stereotipi: il topo, ovvero l’uomo, che vive in città e quello che vive in campagna. Due stili di vita diversi, esigenze diverse, modi di vedere il mondo diversi, che si ritrovano in questa storiella divertente. Il mondo rurale, rispetto a quello cittadino, viene discriminato e chi ci vive viene considerato nettamente più debole e inferiore. Davanti all’ingiustizia il topo di città parla chiaro “ci rimettono i poveri, non i ricchi”, sottolineando l’elite intoccabile delle persone privilegiate. Ironicamente e prendendo spunto dalla tavolo di Esopo, Trilussa condanna le discriminazioni e soprattutto la diseguaglianza sociale che ancora oggi avvertiamo drammaticamente.

"Io sono così", la poesia di Luigi Pirandello sulle molteplici identità dell'uomo

“Io sono così”, la poesia di Luigi Pirandello sulle molteplici identità dell’uomo

Luigi Pirandello in questa poesia, dopo una lucida descrizione della società del tempo, sottolinea la sua personalità multiforme, particolare e mutevole.

Er sorcio de città e er sorcio de campagna, la poesia

Un Sorcio ricco de la capitale
invitò a pranzo un Sorcio de campagna.
– Vedrai che bel locale,
vedrai come se magna…
– je disse er Sorcio ricco – Sentirai!
Antro che le caciotte de montagna!
Pasticci dorci, gnocchi,
timballi fatti apposta,
un pranzo co’ li fiocchi! una cuccagna! –
L’intessa sera, er Sorcio de campagna,
ner traversà le sale
intravidde ’na trappola anniscosta;
– Collega, – disse – cominciamo male:
nun ce sarà pericolo che poi…?
– Macché, nun c’è paura:
– j’arispose l’amico – qui da noi
ce l’hanno messe pe’ cojonatura.
In campagna, capisco, nun se scappa,
ché se piji un pochetto de farina
ciai la tajola pronta che t’acchiappa;
ma qui, se rubbi, nun avrai rimproveri.
Le trappole so’ fatte pe’ li micchi:
ce vanno drento li sorcetti poveri,
mica ce vanno li sorcetti ric

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