Quando si pensa a Jean de La Fontaine, vengono subito in mente le sue favole morali, animate da volpi, corvi e cicale, celebri per il loro tono arguto e ammonitore. Ma La Fontaine era molto più di un favolista: era anche un poeta lirico.
Nelle pieghe meno conosciute della sua produzione troviamo pagine d’amore, di turbamento, di desiderio. Una tra le più belle e meno note è la poesia breve intitolata “Élégie. À M…”, dove l’iniziale dell’amata resta velata, quasi a proteggere un sentimento troppo vero per essere esposto al sole.
Non è una favola, non è una satira. È una confessione. Una di quelle che si fanno senza sapere se verranno mai lette, ma che bruciano lo stesso, come se scriverle fosse l’unico modo per sopravvivere all’urto di un incontro. “Élégie. À M…” è stata pubblicata per la prima volta postuma nella raccolta “Poésies diverses” ( Poesie diverse ) nel corpus completo delle opere di La Fontaine, spesso sotto la sezione “Élégies”.
“Élégie. À M…” (1660) di Jean de La Fontaine
(Francese)
Je vous vis, je rougis, je pâlis à votre vue;
Un trouble s’éleva dans mon âme éperdue;
Mes yeux ne voyaient plus, je ne pouvais parler;
Je sentis tout mon corps et transir et brûler.Je compris que l’Amour dans mon cœur s’allumait,
Et je bénis le coup dont mon cœur se consumait.
(Italiano)
Vi vidi, arrossii, impallidii alla vostra vista;
Un turbamento sorse nella mia anima sconvolta;
I miei occhi non vedevano più, non riuscivo a parlare;
Sentii tutto il mio corpo tremare e bruciare.Compresi che l’amore si accendeva nel mio cuore,
E benedissi il colpo che il mio cuore consumava.
Un amore che si manifesta nel corpo
Sei versi, tanto basta a La Fontaine per dare forma a una scossa interiore che è fisica, emotiva, assoluta. Non c’è dialogo, non c’è ambientazione, non c’è trama: solo un momento, un istante in cui tutto cambia. Il poeta vede la donna – M., la destinataria mai nominata – e ne resta travolto. L’amore qui non è dolce e controllato, ma improvviso e totalizzante. Fa arrossire, fa sbiancare, toglie la parola: è un incendio.
Una delle cose più potenti di questa poesia è l’uso del corpo come campo di battaglia del sentimento. Il rossore, il pallore, il tremore, l’afasia: tutto ciò che normalmente cerchiamo di nascondere viene invece messo in primo piano.
È il corpo a parlare per primo, prima ancora del pensiero. L’anima si sconvolge perché l’incontro con l’altro è un evento che scardina l’equilibrio, rompe la superficie del quotidiano.
In questo senso, La Fontaine si allontana dal modello del galante distaccato per entrare nella sfera della vulnerabilità vera, della confessione nuda. Non cerca di apparire brillante o eloquente: è colui che non riesce nemmeno a parlare.
Il colpo che brucia
Il verso finale è tra i più struggenti: “E benedissi il colpo che il mio cuore consumava.”
L’amore – benché doloroso – viene accolto come una grazia. È un colpo, sì, ma non è maledetto: è benedetto. Perché trasforma, sveglia, accende. La parola consumava suggerisce una fiamma che brucia lentamente, una combustione interiore. L’amore, quindi, è fuoco, ma un fuoco che il poeta accetta con gratitudine, anche se non sa se gli porterà gioia o distruzione.
A chi è rivolta?
L’iniziale “M.” rimane sospesa. Potrebbe trattarsi di una figura reale del tempo – una dama, un’amante, una nobildonna frequentata nei salotti parigini – oppure potrebbe essere una sigla letteraria, scelta per lasciare il testo aperto a ogni lettore.
In ogni caso, la scelta di non scrivere il nome completo contribuisce a creare un’aura di mistero e intimità, come se leggessimo una lettera mai spedita; e il non detto, in questo caso, è parte della forza della poesia.
Un’elegia senza morte
Il titolo potrebbe trarre in inganno: “Élégie” fa pensare subito a un lamento funebre. Ma nel mondo classico – da cui La Fontaine prende a piene mani – l’elegia è anche un canto d’amore, di attesa, di turbamento.
Qui non si piange una persona scomparsa, ma si registra la nascita improvvisa di un sentimento, con tutta la scossa che porta con sé. È un’elegia perché porta malinconia, sì, ma anche consapevolezza: da quel momento in poi, nulla sarà più come prima.
Il poeta che non parla
C’è qualcosa di profondamente moderno in questo testo. L’impossibilità di parlare, la paralisi emotiva, la vertigine dell’innamoramento improvviso: tutto questo suona familiare a chiunque abbia vissuto l’incontro che disarma, che fa tremare, che rende goffi.
La Fontaine, qui, è il poeta dell’istante emotivo assoluto, e in questo senso si avvicina a grandi come Saffo, Petrarca, o persino a certi frammenti di Emily Dickinson.
Un colpo che illumina anche se brucia
È un amore che non promette nulla, se non la certezza che qualcosa è nato. In un tempo in cui tutto è parola, La Fontaine ci offre il paradosso più raro: un poeta muto. Ed è in quel silenzio che nasce il vero incanto. Non ci serve sapere chi fosse M., né cosa accadde dopo. Quello che ci resta è il battito che riconosciamo — e il bruciore che, anche se fa male, ci fa sentire vivi.
“Élégie. À M…” non è solo una dichiarazione d’amore. È il ritratto del momento in cui ci si accorge di essere cambiati. Di essere vivi, nel senso più profondo. E forse, anche se non sappiamo chi fosse M., tutti noi siamo stati M. per qualcuno.