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“Dovete ascoltarmi” (1954) di Pablo Neruda, un potente inno all’umanità e alla libertà

“Dovete ascoltarmi” è la straordinaria poesia-preghiera che apre la raccolta “L’uva e il vento”, pubblicata da Pablo Neruda nel 1954.

Un inno da cui si irradiano il bisogno di libertà e la forza dell’umanità: questo e tanto altro racconta “Dovete ascoltarmi”, la struggente poesia che Pablo Neruda compone in un periodo complesso della sua esistenza.

“Dovete ascoltarmi” di Pablo Neruda

Io andai cantando errante
tra le uve
d’Europa
e sotto il vento
sotto il vento in Asia

Il meglio delle vite
e della vita
la dolcezza della terra,
la pace pura,
andai raccogliendo, errante
raccogliendo.

Il meglio di una terra
e dell’altra
ho innalzato nella mia bocca
con il mio canto:
la libertà del vento,
la pace tra gli acini.

Sembravano gli uomini nemici,
li copriva ed era lo stesso chiarore
quello che li svegliava:
il chiarore del mondo.

Io entrai nelle case quando
mangiavano intorno al tavolo,
tornavano dalle fabbriche,
ridevano o piangevano.

Tutti erano uguali.

Tutti tenevano bocca,
cantavano
rivoli alla luce, cercavano
il cammino.

Tutti avevano bocca,
cantavano
rivolti alla primavera.

Tutti
Per questo
io cercai tra le uve
e il vento
il meglio degli uomini.

Adesso dovete ascoltarmi.

 

Il significato di questa poesia

Dove leggere “Dovete ascoltarmi”

Scritto come prologo alla raccolta L’uva e il vento, il componimento “Dovete ascoltarmi” condensa con forza e grazia il senso più profondo dell’opera: la voce poetica come strumento di unione, di ascolto e di speranza.

La raccolta fu pubblicata nel 1954, al termine di un periodo complesso e tormentato per Pablo Neruda: erano passati pochi anni dalla sua fuga clandestina dal Cile, avvenuta nel 1949 a causa della persecuzione politica subita durante il governo di Gabriel González Videla.

In esilio, attraversò l’Europa e l’Asia, ospite di paesi amici, accolto da intellettuali e lavoratori, contadino tra i contadini, poeta tra i popoli. L’uva e il vento nasce proprio da questo viaggio errante, da questa peregrinazione che non fu solo geografica ma anche umana e spirituale.

Ogni poesia è un frammento raccolto lungo il cammino, un acino di umanità premuto nel calice della parola. Il prologo ne è la dichiarazione d’intenti: il poeta si è fatto testimone del mondo per poterne restituire il volto più autentico e comune, e ora chiede ascolto, non per sé, ma per ciò che ha visto, amato e compreso.

Lo stile e le immagini

Il linguaggio adottato da Neruda in questi versi è, come spesso accade nella sua produzione matura, semplice, diretto e intensamente lirico. La poesia si snoda in immagini nitide e fortemente simboliche: le uve, il vento, la luce, la bocca, il canto.

Ogni elemento naturale diventa qui metafora dell’esistenza umana e della sua ricerca. L’uva è la terra, il nutrimento, la condivisione; il vento è il viaggio, il soffio della libertà, ma anche l’impalpabile voce del mondo.

Neruda si muove “cantando errante”, raccoglie “la dolcezza della terra” e la “pace pura”, solleva le sue parole come frutti maturi del vissuto. La sua voce si fa corpo di ciò che ha visto, unisce le terre, fonde i popoli.

Le ripetizioni — “tutti erano uguali”, “tutti avevano bocca, cantavano” — scandiscono un ritmo corale, universale, che trasforma la singola esperienza in canto collettivo. L’effetto è quello di una poesia che si muove come un inno, che respira al ritmo del mondo.

Avere fiducia nell’umanità

Ma è nel significato profondo che “Dovete ascoltarmi” rivela tutta la sua intensità. Questa non è solo una poesia sull’esperienza dell’esilio o sul bisogno di libertà: è una preghiera civile, una dichiarazione di fede nell’umanità.

Neruda racconta di aver visto uomini e donne in ogni angolo della terra, “tutti uguali”, diversi solo per lingua o costume, ma uniti dalla stessa fame, dalle stesse lacrime, dallo stesso sorriso. Non è il potere, né la politica a unirli, ma la vita quotidiana — “mangiavano intorno al tavolo”, “tornavano dalle fabbriche” — e l’anelito comune verso la primavera, la rinascita. Il poeta si fa allora portavoce di questa umanità silenziosa, la solleva dal silenzio e ne canta la dignità.

L’ultimo verso — “Adesso dovete ascoltarmi” — è un imperativo affettuoso, carico di urgenza e umiltà. Non è un atto di vanità, ma un appello: ascoltate la voce di chi ha visto, ascoltate la verità dei popoli, la voce della terra, delle mani e del lavoro.

In questi versi, la poesia non è fuga, ma ritorno: è un andare tra le uve e il vento per riportare indietro il meglio degli uomini. È, in fondo, una promessa di fratellanza e di pace.

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