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“Dicono che la speranza sia felicità”, la potente poesia di Lord Byron per ricominciare ad amare la vita

I versi di "Dicono che la speranza sia felicità" comunicano con vibrante emotività quanto sia importante aver cura del tempo trascorso e delle proprie esperienze di vita.

“Il vero amore deve amare il passato”: questi versi, tratti dalla poesia “Dicono che la speranza sia felicità“, ci aiutano a riflettere su quanto sia importante custodire con cura il nostro passato e le nostre esperienze. Perché è proprio a partire da questi elementi che diventiamo ciò che siamo. Dal nostro passato deriva l’origine del percorso per raggiungere i nostri sogni.

“Dicono che la speranza sia felicità” è un componimento scritto da Lord Byron – di cui il 22 gennaio ricorre l’anniversario – e racchiuso in Hebrew Melodies del 1815, una raccolta di 30 poesie composte per fare da accompagnamento alle melodie di Isaac Nathan.

Ve la proponiamo nella traduzione del poeta Franco Buffoni.

“Dicono che la Speranza sia felicità” di Lord Byron

Felix qui potuit rerum cognoscere causas
Virgilio

Dicono che la Speranza sia felicità,
Ma il vero Amore deve amare il passato,
E il Ricordo risveglia i pensieri felici
Che primi sorgono e ultimi svaniscono.

E tutto ciò che il Ricordo ama di più
Un tempo fu Speranza solamente;
E quel che amò e perse la Speranza
Ormai è circonfuso nel Ricordo.

È triste! È tutto un’illusione:
Il futuro ci inganna da lontano,
Non siamo più quel che ricordiamo,
Né osiamo pensare a ciò che siamo.

Apprezzare i traguardi della vita

“Dicono che la speranza sia felicità” è una perfetta dedica per esortare noi stessi e chi ci sta accanto ad apprezzare i traguardi della vita e a trovare la forza di andare avanti, guardando al quotidiano, sempre e comunque, con stupore e meraviglia.

Per quanto vediamo la speranza come una tensione verso il domani, occorre fermarsi a pensare a quei momenti in cui la vita ci ha sorpreso donandoci qualcosa di prezioso.

Ma, soprattutto, “Dicono che la speranza sia felicità” ci ricorda come sia necessario essere coscienti del fatto che non esisterebbero presente e futuro senza il passato. Tutto ciò che è stato ci ha reso, nel bene e nel male, chi siamo adesso. Accettare il nostro passato serve per accogliere il nostro presente. Amarlo significa abbracciare tutte le nostre fragilità e renderle punti di forza.

George Gordon Byron

George Gordon Noel Byron, meglio conosciuto come Lord Byron, nasce a Londra il 22 gennaio 1788 da un’illustre famiglia di origine normanna per parte di padre, e imparentata con Giacomo I di Scozia per parte di madre. Il piccolo George, affetto da una malformazione del tendine d’Achille, è zoppo sin dalla nascita.

Trascorre i primi anni di vita ad Aberdeen, in Scozia, vivendo un’infanzia per niente felice: il padre, fuggito in Francia a causa dei grossi debiti contratti in Gran Bretagna, muore nel 1791 forse suicida. È in questi anni che in George Byron nasce l’amore smisurato nei confronti della selvaggia terra scozzese, con i suoi paesaggi mozzafiato e solitari.

L’autore di “Dicono che la speranza sia felicità” diventa Lord Byron nel 1798, quando il prozio muore e lui ne eredita il titolo. Adesso, George è il sesto barone Byron di Rochdale, e può non solo disporre di cospicui beni, ma anche ambire ad un’educazione adeguata al titolo che porta. Il giovane si trasferisce immediatamente in una delle proprietà ereditate dal prozio: l’abbazia di Newstead, splendida ma ormai trascurata e fatiscente. Per Lord Byron, comincia una nuova vita.

Nel 1809 rispetta le usanze tipiche dell’alta società intraprendendo il Grand Tour, e al suo ritorno pubblica i primi due canti di “Childe Harold’s Pilgrimage”, ottenendo un incredibile successo. Celebre, nobile e colto, Lord Byron vive di eccessi sfrenati, ha popolarità con le donne, e le relazioni che intraprende sono innumerevoli: ragazzine, donne sposate, fanciulle speranzose…

Si sposa pure, una volta, ma il matrimonio non è destinato a durare. Fra viaggi, relazioni sentimentali e amicizie fra cui spiccano i nomi di Madame de Staël, Percy Bysshe Shelley e di sua moglie Mary, Lord Byron continua a scrivere poemi e short poems, divenendo uno dei massimi esponenti del secondo Romanticismo inglese.

Lord Byron muore in Grecia, a causa di febbri reumatiche, nel 1824. Vi si era recato l’anno precedente per allontanarsi dai moti politici che interessavano il Regno Unito.

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