Di Luglio di Giuseppe Ungaretti è una poesia che svela una visione dell’estate come figura mitologica che aggredisce e divora la vita. Il poeta dona una riflessione sul tempo che attraverso la metafora della calura estiva guida il cammino impotente degli umani.
l’estate in una figura mitica e archetipica: non una stagione qualsiasi, ma una forza cosmica e millenaria, una divinità pagana della distruzione, una personificazione del Tempo (Crono) che spoglia la terra fino allo scheletro. La natura si fa furia, sete, luce abbacinante, un’energia che non lascia scampo, che travolge ogni cosa con la sua violenza.
Di Luglio è una poesia contenuta nella sezione Fine di Crono della raccolta dio poesie Sentimento del tempo di Giuseppe Ungaretti, pubblicata per la prima volta da Vallecchi a Firenze nel 1933.
Leggiamo questa poesia di Giuseppe Ungaretti per scoprirne il significato.
Di Luglio di Giuseppe Ungaretti
Quando su ci si butta lei,
Si fa d’un triste colore di rosa
Il bel fogliame.Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,
È furia che s’ostina, è l’implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
È l’estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro
Il tempo una forza che come il caldo d’estate domina tutto
Di Luglio è una poesia di Giuseppe Ungaretti in cui la calura estiva di un giorno di luglio a Roma, dove il poeta risiedeva in quegli anni con la moglie Jeanne Dupoix e la figlia Anna Maria, diventa allegoria del “Tempo” come forza invincibile e totalizzante, capace di segnare, trasformare e, infine, dominare ogni forma di vita.
Questi sono gli anni che segnano un’importante svolta stilistica nel poeta nato ad Alessandria d’Egitto. Dopo il periodo dell’espressionismo ungarettiano, che ha il suo manifesto in L’Allegria, la raccolta degli anni giovanili in cui come soldato era impegnato nella Prima Guerra Mondiale, con Sentimento del tempo, la raccolta che contiene la poesia, il poeta torna a una forma più distesa, più solenne, più ricca di riferimenti alla tradizione classica e barocca.
La lingua si fa più lessicale, più articolata. Le immagini diventano più ampie, più plastiche, più narrative. Il paesaggio romano, con la sua monumentalità e la sua stratificazione storica, fa da sfondo spirituale alla nuova poetica di Ungaretti. Roma diventa la città eterna per eccellenza, uno spazio senza tempo, dove il passato e il presente si fondono in un’unica, perenne visione.
Non a caso, Di Luglio fa parte della sezione La fine di Crono. Crono era padre di Zeus ed è la figura mitologica in assoluto che guida ogni cosa, ovvero il tempo.
Ed il vero cuore della poesia è una riflessione sul tempo, in cui presente, passato e futuro sono le dimensioni temporali in cui sono immersi gli umani, incapaci di poter reagire al dominio incontrastato di Crono.
Giuseppe Ungaretti, quindi, mette in scena la collisione tra tre dimensioni temporali. Il presente, fatto di calore, sete e disorientamento. Il passato, evocato dalla memoria collettiva, dai cicli eterni delle stagioni che si ripetono da sempre. L’eterno, un tempo mitico e sacro, senza inizio né fine, in cui ogni stagione estiva è solo una ripetizione dell’estate cosmica di sempre.
Questa visione trasforma un’esperienza fisica in una meditazione esistenziale e cosmica, dove l’estate diventa metafora del destino umano e della continua erosione della vita sotto il peso del tempo.
Il tempo che domina ogni cosa
Andando più in profondità nel significato dei versi di Giuseppe Ungaretti, fin dall’inizio della poesia il poeta rappresenta l’estate, che è la protagonista assoluta del poema, come un’entità viva, aggressiva, che si abbatte sulla terra senza alcuna pietà:
Quando su ci si butta lei,
Si fa d’un triste colore di rosa
Il bel fogliame.
L’estate con la sua calura asfissiante “di luglio” non è più una semplice stagione dell’anno, ma manifestazione fisica e violenta del Tempo. Un Tempo che irrompe, che modifica il paesaggio, che trasforma la bellezza in malinconia, che toglie vitalità alla natura, preludio alla morte e alla decadenza umana.
Nella seconda parte della poesia, l’immagine del Tempo si fa ancora più devastante:
Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,
È furia che s’ostina, è l’implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
Qui Ungaretti descrive una forza cosmica, una divinità cieca e inarrestabile. Il Tempo non conosce ostacoli: scava le gole, prosciuga i fiumi, erode i monti, invade lo spazio, disorienta ogni punto di riferimento.
Non ci sono vie di fuga. Il Tempo è “l’implacabile”, il dominatore assoluto di ogni forma di esistenza.
La chiusura della poesia amplia ancora di più questa visione, portandola dal piano naturale a quello cosmico e mitologico:
È l’estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.
Il Tempo non appartiene solo al nostro presente. È nei secoli, agisce da sempre e per sempre, una forza che non si arresta mai, che nel suo passaggio lascia solo desolazione e scheletri di ciò che un tempo era vivo.
In questo senso, l’estate diventa metafora del tempo cosmico, una figura mitica simile a Crono, il dio greco che divorava i suoi figli, simbolo per eccellenza del tempo che consuma e distrugge.
L’impotenza umana di fronte allo scorrere impetuoso del tempo
Lo scorrere inesorabile del tempo, così come la calura ossessiva di luglio, rende gli umani totalmente impotenti. Passano i giorni, le settimane, i mesi, gli anni e si è abbagliati dall’esistere inconsapevoli che la vita è destinata a finire.
Non a caso, Ungaretti nella poesia non descrive un io lirico che lotta o si ribella, ma mette in scena una natura soggiogata, una terra che subisce, un ciclo che si ripete nei secoli. La città di Roma con la sua storia è il simbolo da un lato dell’eternità e il testimone delle esistenze che passano trasportate dal tempo.
Tutto passa, sembra voler dire il poeta, solo le cose eterne che si creano rimangono e resistono all’erosione del tempo. Questa visione si collega profondamente al contesto storico e filosofico in cui nasce la raccolta: gli anni Trenta, un’epoca in cui l’Italia viveva una tensione tra il bisogno di ordine e la paura del disfacimento, in un clima di restaurazione culturale dopo le avanguardie, ma anche di crescente inquietudine esistenziale.
Di Luglio rappresenta la riflessione filosofica di Giuseppe Ungaretti sul destino dell’uomo nel tempo, sul senso della vita nella sua transitorietà, e sull’incontro inevitabile con la morte e la dissoluzione.
È un potente affresco del Tempo come dominatore assoluto della vita, una rappresentazione della fragilità umana di fronte all’eterno scorrere delle epoche, una meditazione poetica su ciò che significa esistere sotto il peso di un tempo che tutto consuma, tutto trasforma, tutto riduce in polvere.
Ungaretti, con la sua lingua scarna ma potente, ci costringe a guardare in faccia la nostra condizione di esseri transitori, sempre in bilico tra l’illusione della permanenza e la certezza della fine.