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“Dal cassetto” (1923), la poesia inedita di Kavafis che canta un amore segreto e prezioso

Scopriamo "Dal cassetto", un breve ed intensa poesia inedita di Konstantinos Kavafis, che qui canta l'amore custodito in segreto, impreziosito dal ricordo.

Dal cassetto” è una straordinaria poesia scritta da Konstantinos Kavafis nel 1923. Un componimento in verso libero che incanta perché racchiude alcuni dei temi più cari a ciascuno di noi: l’amore, la memoria, il tempo… Scopriamola insieme.

“Dal cassetto” di Konstantinos Kavafis

Pensavo di attaccarla a una parete di camera mia.
Ma l’ha danneggiata l’umidità del cassetto.
Non metterò questa fotografia in una cornice.
Avrei dovuto conservarla meglio.

Queste labbra, questo viso…
Ah, per un giorno soltanto, per un’ora,
se tornasse il loro passato!
Non metterò questa fotografia in cornice.
Soffrirei troppo a vederla rovinata.

Del resto, anche se rovinata non si fosse,
mi disturberebbe dovermi controllare casomai
una parola, un tono della voce mi tradisse…
se mai mi chiedessero di lui.

Il significato di questa poesia

Dove leggere “Dal cassetto”

La poesia “Dal cassetto” appartiene alla sezione delle liriche postume di Konstantinos Kavafis e può essere letta nella raccolta Kavafis. Poesie, edita da Garzanti nella raffinata traduzione di Andrea Di Gregorio, che ne ha curato anche un prezioso apparato critico.

Scritta nel 1923, la poesia non fu mai pubblicata in vita dall’autore, come altre sue liriche più intime, conservate con pudore e discrezione.

Questa riservatezza non è soltanto un tratto del carattere di Kavafis, ma anche una chiave di lettura della sua opera, che si muove spesso ai margini, in uno spazio sospeso tra storia e desiderio, tra memoria e timore. Ritrovare “Dal cassetto” oggi è come scoprire un piccolo tesoro che, nonostante l’umidità del tempo e dell’oblio, conserva intatta la sua anima.

Una voce libera e sommessa

Lo stile con cui Kavafis compone questa poesia è quello che gli è più congeniale per il tema trattato: un verso libero, che abbandona i rigori metrici per farsi voce naturale del pensiero.

Nessun ornamento, nessuna metafora ridondante, eppure ogni parola pesa, ogni pausa risuona. Kavafis predilige una lingua asciutta, prosastica, quasi narrativa, ma capace di incantare proprio nella sua sottrazione.

Qui la poesia si avvicina al parlato, ma con un’eleganza misurata e sotterranea, come se si trattasse di un monologo interiore sussurrato nel buio di una stanza.

Le ripetizioni (“Non metterò questa fotografia in una cornice”) scandiscono il tempo della memoria e dell’ossessione, mentre i verbi al condizionale e all’imperfetto rivelano un passato non del tutto trascorso, un presente trattenuto, una nostalgia trattenuta come un respiro.

Fotografie che parlano, silenzi che proteggono

Nel cuore della poesia vive una fotografia, non solo fisica ma emotiva, che diventa emblema della memoria e del desiderio, della passione vissuta e ormai sfuggita.

Konstantinos Kavafis parla di labbra, di un volto, di un tempo che non c’è più e lo fa con una tenerezza silenziosa, quasi impaurita. Ma dietro la malinconia si cela anche una consapevolezza sociale: quella, come osserva il traduttore Andrea Di Gregorio, di “una sana, assai borghese, preoccupazione di tradirsi”.

Kavafis, omosessuale in un’epoca e in un contesto culturale che non gli permettevano piena libertà, viveva l’amore come una esperienza intensa ma segreta, da custodire con cura e da non lasciare trapelare.

In questa poesia la tensione è evidente: c’è un desiderio che vorrebbe tornare a vivere, anche solo per un’ora, ma c’è anche il bisogno di nasconderlo, di non metterlo “in cornice” per non soffrire, per non svelare troppo.

La fotografia, lasciata nel cassetto, diventa allora metafora di un amore che non osa esporsi, ma che continua a esistere, caparbio e vibrante, nelle pieghe della memoria.

“Dal cassetto” è una poesia piccola e potente, che illumina il quotidiano con la luce fragile delle emozioni non dette. In essa convivono pudore e struggimento, un’intimità che sussurra più che gridare.

E nella scelta di non incorniciare quella fotografia c’è forse l’essenza stessa della poetica di Kavafis: dare voce all’invisibile, abitare il margine, proteggere ciò che il mondo non capirebbe.

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